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Meno male che Zio Sam c’è (a fare da guardia alla libertà). Scrive De Tomaso

Senza gli Usa dilagherebbero i dispotismi visto che neppure gli accordi di Helsinki (autodeterminazione dei popoli) hanno mai scoraggiato gli aggressori delle democrazie

Dipende dai punti di vista. Ma la fortuna, o la sfortuna, dell’umanità è la presenza di una sola America nel mondo. È una fortuna perché senza gli Stati Uniti, la libertà sarebbe – da lunga pezza e dappertutto – soltanto uno struggente sogno interrotto. È una sfortuna perché una sola America, ossia una sola democrazia solida sul piano politico, economico e militare, potrebbe risultare inadeguata nella protezione di aree (democratiche) del pianeta dalle scorribande autoritarie/totalitarie di imperatori smaniosi di conquistare un territorio dopo l’altro.

E comunque. Meno male che Zio Sam c’è. Meno male che laddove la libertà è in pericolo, Zio Sam raramente rimane a guardare. E quando lui decide di restare alla finestra, lo fa solo per non correre nelle prevedibili ire dei pacifisti a senso unico, assai chiassosi nei Paesi occidentali, pronti a mobilitarsi tutte le volte che dagli Usa partono armi e soldati a tutela di Paesi amici aggrediti o di democrazie sotto assedio.

Provate a immaginare un mondo senza gli Stati Uniti. Oppure: provate a immaginare un mondo in cui gli Stati Uniti fossero del tutto insensibili alle vicende dell’Europa e/o di altre nazioni gelose della propria sovranità. Non ci sarebbe bisogno di galoppare molto con la mente: sarebbe un mondo completamente asservito ai voleri di un Grande Fratello orwelliano, anziché un mondo in linea, perlomeno parzialmente, con i precetti liberali di Montesquieu (1699-1755) e Tocqueville (1805-1859).

Certo, anche l’America non è al di sopra di ogni sospetto. Anche l’America, come l’antica democratica Atene, cova ambizioni e disegni di affermazione, di predominio. Ma, oggi, quale studioso o quale studente oserebbe dire che, 25 secoli fa, i cittadini ellenici vivessero meglio nella dispotica Sparta che nella più tollerante, dinamica, moderna, colta città di Pericle (495-429 avanti Cristo) e Socrate (469-399 avanti Cristo)? E oggi: quale cittadino del mondo preferirebbe vivere in Russia anziché negli States? E pensare che è sufficiente dare un’occhiata proprio ai flussi migratori a senso unico, quelli dalla Russia verso gli Stati Uniti, per dare una risposta esaustiva e definitiva alla domanda di cui sopra.

Eppure, nonostante tutto, nonostante le continue dimostrazioni di famelicità da parte delle odierne insaziabili autocrazie, vasti settori dell’intellettualità occidentale fanno il tifo, neanche di nascosto, per i predatori, non per le per le prede. Nemmeno le testimonianze, le sofferenze dei dissidenti perseguitati, delle minoranze che soffrono, spesso pagando con la vita, in stati illiberali come la Russia, riescono a commuovere gli animi e a smuovere i micidiali pregiudizi anti-occidentali. Basti pensare che nemmeno gli scritti, gli appelli, di una martire della libertà come Anna Politkovskaja (1958-2006) hanno ottenuto, in Occidente, l’eco e l’attenzione che meritavano.

Negli articoli e nei libri della Politkoskaja era descritto e anticipato tutto, persino, con largo anticipo, l’invasione dell’Ucraina. Era nelle cose – lasciava intendere Anna – che la Russia putiniana dovesse prendere direttamente di mira l’Ucraina zelenskiana, dopo aver effettuato le prove generali in Cecenia, Georgia e Crimea, peraltro senza incontrare insormontabili contrasti da parte della comunità internazionale. , invocava con disperazione la Politkoskaja chiedendosi se Putin fosse un essere umano.

Oggi, in Europa, non sono pochi coloro che, a dispetto della verità dei fatti, attribuiscono tutte le colpe della guerra russo-ucraina alla vittima, cioè a Zelensky. Neppure il doveroso, ma raramente richiamato, riferimento agli accordi di Helsinki (1975) sulla sicurezza e cooperazione in Europa, accordi sottoscritti anche dall’Urss oggi rimpianta da Vladimir Putin riuscirebbe a far cambiare idea al partito trasversale di quelli per i quali l’Occidente, cui guarda con trepidazione Kiev, ha sempre torto. A prescindere.

Non c’è bisogno di affidarsi a particolari raffinati esegeti per giungere alla conclusione che la Russia ha violato tutti i punti del cosiddetto decalogo di Helsinki. Rileggiamoli:
1) Eguaglianza sovrana, rispetto dei diritti inerenti alla sovranità
2) Non ricorso alla minaccia o all’uso della forza
3) Inviolabilità delle frontiere
4) Integrità territoriale degli stati
5) Risoluzione pacifica delle controversie
6) Non intervento negli affari interni
7) Rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, inclusa la libertà di pensiero, coscienza, religione o credo
8) Eguaglianza dei diritti e autodeterminazione dei popoli
9) Cooperazione tra gli stati
10) Adempimento in buona fede degli obblighi di diritto internazionale

Avete letto bene. L’ottavo punto prevede espressamente l’autodeterminazione dei popoli, che è in fin dei conti ciò che chiede Zelensky per l’Ucraina, vale a dire la possibilità di scegliersi pacificamente governi interni, alleanze estere e sodalizi sovranazionali (con cui cooperare). Nulla di più. Nulla di eccentrico, abbiamo visto, rispetto l’Atto finale della Conferenza di Helsinki, il cui testo, va ricordato, costituì il principale punto d’appoggio della dissidenza russa negli anni del comunismo brezneviano.

E, allora, perché l’Europa non ha preteso, dal 1975, l’osservanza del Decalogo di Helsinki da parte di quanti lo violavano? Semplice. L’Europa era disunita e non possedeva una forza di dissuasione tale da convincere i trasgressori a desistere. Solo l’America ne era dotata, ma gli Stati Uniti, obiettivamente, non potevano precipitarsi in ogni angolo del pianeta, anche perché, quando lo facevano, erano subissati da una valanga di accuse che manco Hitler (1889-1945).

Conclusione. In Ucraina non è in gioco solo la sorte di un popolo. È in ballo il futuro della libertà e della democrazia, non a caso, ritenuti a Mosca la doppia malapianta da estirpare. Nel mondo c’è solo Washington che si batte, anche con il ricorso alle armi, per la difesa della libertà, il che dovrebbe indurre il resto del mondo democratico amante della propria sovranità a ringraziare gli Usa per lo scudo da loro garantito e a sperare che giammai gli americani mandino alla Casa Bianca un presidente isolazionista, attento solo ai fatti suoi, una figura, per intenderci, opposta a quella di Joe Biden.



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