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La nuova centralità di baltici e orientali nell’Ue passa da Kallas

Di Teresa Coratella

Il ruolo che la premier sta giocando nel panorama intra-Ue è di primo piano, e con le elezioni europee in vista le richieste per ruoli apicali affidati a baltici e orientali potrebbero essere soddisfatte

In prima linea nel sostegno militare, politico ed economico a Kiev; megafono delle necessità di mantenere alta la pressione sulla Russia; promotrice del rilancio della discussione sulla difesa europea; sostenitrice del ruolo rivitalizzato Nato; animatrice del distanziamento rispetto a Pechino; rafforzata dal consenso elettorale interno. Ma soprattutto protagonista del ribilanciamento degli equilibri di potere europei verso il gruppo baltico-orientale degli stati membri UE. Queste le caratteristiche che delineano oggi la figura di Kaja Kallas, premier estone riconfermata con il 31,2% dei voti alle elezioni parlamentari del 5 marzo 2023 e vincitrice sul partito di estrema destra Ekre, posizionatosi con un 16,1% di consensi.

Molto clamore ed interesse a livello europeo, meno in Italia come di solito accade per mancata comprensione ed attenzione alle vicende nordiche, hanno suscitato le recenti affermazioni della Kallas in vista del Consiglio europeo del 23-24 marzo: Bruxelles non potrà per sempre tenere gli europei dell’Est lontano dalle posizioni e ruoli apicali nelle istituzioni Ue e Nato. Soprattutto in un momento come l’attuale contesto di guerra in cui baltici ed orientali hanno svolto e svolgono ruolo trainante rispetto alle più politicamente caute Francia, Germania ed Italia.

La dichiarazione della Kallas è solo l’ultima manifestazione di come la premier veda oggi il proprio ruolo e dell’Estonia nell’Ue, nel contesto Nato, nel sistema multilaterale ma soprattutto nello scenario dell’invasione russa dell’Ucraina. Un ruolo caratterizzato da forti critiche alla lentezza europea nel reagire all’invasione russa, soprattutto sul price cap e nel mobilitare il sostegno a Kiev; alla lenta Zeitenwende di Berlino; alle posizioni francesi sulla gestione delle relazioni con Vladimir Putin. Come anche da proposte concrete da porre sul tavolo negoziale europeo, come l’istituzione di bond della difesa per rinforzare lo sforzo militare europeo; la richiesta di utilizzare 2 miliardi di euro per produrre ed inviare a Kiev 1 milione di munizioni in 12 mesi; l’istituzione di un tribunale per i crimini di guerra. Una mobilitazione totale che la leader estone ha paragonato al contesto pandemico ed allo sforzo fatto da Bruxelles per l’acquisto e distribuzione di vaccini, sforzo oggi necessario per fornire a Kiev quell’assistenza militare che possa aprire lo spiraglio di una sconfitta russa.

Questo attivismo politico non è esclusivamente relegato alla gestione europea della guerra ma guarda anche alle dinamiche globali scaturite dalla guerra. Nell’estate del 2022, quando fu ormai ben chiara la posizione di Pechino sul conflitto, fu proprio la Kallas, in allineamento con la Lituania, a decidere che l’Estonia non sarebbe più stata parte dello schema di cooperazione tra Pechino e gli stati europei dell’Europa centrale-orientale, continuando a sostenere le relazioni Bruxelles-Pechino puramente nel framework del diritto internazionale e della protezione e tutela dei diritti umani.

Protagonismo politico a livello europeo e Nato caratterizzano oggi il profilo della pemier estone, impegnata tuttavia nella gestione di importanti dossier interni. Se da una parte, il piccolo paese baltico è all’avanguardia dal punto di vista tecnologico, nell’accoglienza ai profughi ucraina, nel raggiungimento del 3% di PIL per la difesa entro il 2024, nella promozione e rispetto degli obiettivi di sviluppo sostenibile 2023, dall’altra importanti problematiche interne rimangono. Come uno tra i più alti tassi di inflazione in Europa, con un picco raggiunto del 25%, e la gestione di una delle più grandi comunità russe, pari a circa il 30% della popolazione.

Come descritto in “Anime Baltiche” di Jan Brokken, i paesi baltici storicamente costituiscono una delle principali culle della cultura europea odierna, avendo dato i natali a figure prominenti della filosofia, arte, politica che hanno fatto e costruito la cultura europea del secondo dopoguerra; tuttavia rappresentavano e rappresentano ancora oggi l’emblema, che spesso il resto d’Europa fatica a comprendere, delle difficili relazioni con la Russia e della irrisoluzione di profonde fratture e ferite storiche le cui conseguenze politiche e sociali sono ancora molto vive, a livello di classe politica ed opinione pubblica.

Gli stati membri baltici ed orientali, ben da prima dell’inizio della guerra, hanno sempre rivendicato il primato della capacità di interpretazione delle azioni di Mosca e di allerta sulle decisioni russe. Lo è stato in vista dell’invasione della Russia, quando il grido di allerta rimase inascoltato; e lo è oggi, in vista delle importanti nomine in sede Ue e Nato, nomine che, a parte l’eccezione dell’ex premier polacco Donald Tusk, hanno effettivamente “tenuto alla lontana” figure chiave politiche provenienti dalla regione ma che potrebbero invece arricchire la capacità di valutazione politica del ruolo dell’Ue.

Con le elezioni europee dietro l’angolo, sarà inevitabile vedere questo dibattito come dominante. L’Estonia ha votato, la Finlandia lo farà in primavera e la Polonia in autunno. I risultati elettorali nazionali di questi avranno grande influenza su un possibile riequilibrio dei poteri in seno all’Ue. Per questo, il forte richiamo monito della premier Kallas è quanto più attuale.



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