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L’insicurezza globale dopo un anno di guerra. Il punto di Calabrese (Secursat)

Di Giuseppe Calabrese

L’interdipendenza è divenuta motivo di insicurezza tra oscillazioni dei mercati finanziari, fenomeni inflattivi, approvvigionamenti condizionati, produzioni bloccate, poteri d’acquisto minimizzati. Quali risposte tra governance e consapevolezza dei rischi? La prospettiva di Giuseppe Calabrese, ad di Secursat

Superati questi giorni di tristi anniversari e commemorazioni, visite a Kiev, cyber attacchi (russi),  mentre i campi di battaglia si riarmano gradualmente e la narrazione e le immagini di colpi di mortaio ci rimandano città devastate, corpi straziati abbandonati per le strade, popolazioni in fuga, occorrerebbe forse riflettere sulla nostra insicurezza globalizzata.

L’idea che la sicurezza internazionale potesse reggersi sull’interdipendenza economica e finanziaria è tramontata, ci siamo globalizzati con l’inclusione dei paesi socialisti nel mercato mondiale e ciò ha fatto credere che l’interdipendenza economica creata avrebbe tenuto lontano guerre e conflitti relegandoli ad aree del mondo marginali, dove la conquista di territori era finalizzata ad un diverso posizionamento strategico, all’approvvigionamento di materie prime sempre più essenziali allo sviluppo tecnologico realizzato ed inarrestabile che ha sempre più bisogno di materie prime per progredire,  avrebbe tenuto a distanza la guerra,  quella vera, la guerra di droni e di trincee lontana dalle nostre città.

Il conflitto in corso ci dice, a distanza di un anno, che l’insicurezza è globalizzata e che il rischio di ingovernabilità politica del sistema securitario internazionale basato sull’interdipendenza economico finanziaria è molto alto e le sanzioni non hanno potuto e voluto ad oggi incidere: un’ arma a doppio taglio in un’economia globalizzata.

L’interdipendenza è, anzi, divenuta motivo di insicurezza non solo economica (oscillazioni dei mercati finanziari, fenomeni inflattivi, approvvigionamenti condizionati, produzioni bloccate, poteri d’acquisto minimizzati) e le conseguenze sono ben evidenti nel quotidiano di persone e imprese: difficoltà di affrontare decisioni, di delineare strategie d’impresa, d’intraprendere nuove strade, di selezionare nuove start up, di definire politiche di sicurezza, di percorrere scelte d’integrazione.

Mentre i guru della cyber security annunciano nuovi rischi nazionali e globali di cui sono le prime vittime e/o carnefici, e gli amministratori pubblici creativi disegnano improbabili smart city sostenibili, i sistemi e modelli tradizionali affrontano crisi sistemiche e ritornano d’attualità conflitti sociali, fenomeni microcriminali legati agli inarrestabili flussi migratori, insicurezza urbana, reati predatori, reati connessi all’isolamento e alla solitudine sociale, reati all’interno di contesti familiari.

Qual è l’impatto sui modelli di sicurezza del sistema paese, sulle aziende, sulle infrastrutture critiche? Forse c’è poco da attendersi dagli indicatori economici, dalla dissuasione nucleare, e molto dalla capacità di rileggere errori e ripensare iniziative, strategie; ridisegnare modelli, selezionare, qualificare sulle base di competenze, professionalità, progetti.

Se sostenibilità e digitalizzazione sono i nuovi mantra su cui ripensarci come organizzazioni sociali, noi non possiamo farlo se non attraverso la rilettura di ciò che abbiamo fatto in questi anni pre e post pandemici, pre e post conflitto, si spera, e da ciò che stiamo facendo, ripartendo dal ripensare modelli pubblici e privati sicuri, digitali, sostenibili. Niente proclami e allarmi generici, ci attaccano sulle reti! Continueranno a farlo!, cosa abbiamo costruito intorno a noi? Come funziona? Funziona? Chi gestisce la sicurezza delle imprese? Con quali competenze? Forse allora riusciremo ad uscire dall’insicurezza attraverso la consapevolezza dei rischi, circoscrivendone i perimetri e governandoli.

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