Annullata la sentenza della Corte d’appello di Ancona che aveva detto sì alle richieste di Pechino riguardanti un ex manager ricercato per presunti reati economici. Un calvario lungo diversi mesi, durante i quali il fratello in patria è stato sottoposto a “trattamenti inumani e degradanti”. L’avvocato difensore Di Fiorino: “La decisione impone una riflessione sui rapporti Italia-Cina”
La Corte Suprema di Cassazione ha annullato la sentenza della Corte d’appello di Ancona negando l’estradizione verso la Cina di un cittadino cinese. Il procuratore generale si era pronunciato contro l’estradizione sulla base di quanto sostenuto dalla difesa, secondo cui la consegna avrebbe violato gli obblighi dell’Italia ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
IL SOGGETTO
Il soggetto in questione è una donna, ex amministratore delegato di una nota società cinese, ricercata per presunti reati economici, arrestata in Italia nell’estate del 2022 alla luce di un Red Notice dell’Interpol, che ha passato sette mesi in carcere e qualche settimana agli arresti domiciliari. Nelle prossime ore la donna verrà liberata.
IL CALVARIO
Secondo quanto dichiarato dall’organizzazione per i diritti umani Safeguard Defenders, il suo calvario è stato ulteriormente aggravato dalle forti pressioni esercitate dalla Cina sui suoi familiari in patria nel tentativo di “convincerla a tornare” negli anni precedenti al suo arresto in Italia. Tra il giugno e il dicembre 2021, la polizia cinese ha trattenuto, immotivatamente e senza neppure informare i parenti, il fratello per sei mesi e sottoposto a “trattamenti inumani e degradanti”. “Non è mai stato accusato o interrogato su alcun reato specifico”, spiega l’organizzazione. Sembra che tutto fosse finalizzato “esclusivamente a fare pressione” per ottenere il rientro della sorella. È “una pratica sempre più nota”, scrive ancora Safeguard Defenders, che documentano il metodo del “persuadere a tornare”nel rapporto “Involuntary Returns”.
UNA DECISIONE STORICA
Si tratta della prima decisione da parte della massima autorità giudiziaria di uno Stato membro del Consiglio d’Europa, dopo che la Corte europea dei diritti dell’uomo – con la sentenza Liu contro Polonia (divenuta definitiva il 30 gennaio scorso) – ha messo in guardia davanti alla “situazione generale di violenza” nel sistema giudiziario e penitenziario cinese. Esprime grande soddisfazione l’avvocato Enrico Di Fiorino: “È una sentenza storica, che esprime una oramai comune e uniforme posizione che i Paesi occidentali hanno inteso assumere rispetto alle richieste estradizionali provenienti da Paesi che non conoscono né rispettano lo stato di diritto”, dichiara a Formiche.net. “La decisione rappresenta una forte presa di posizione, che impone una seria riflessione al potere legislativo ed esecutivo sui rapporti che il nostro Paese intenderà portare avanti con la Repubblica popolare cinese”.
LA DICHIARAZIONE DI SAFEGUARD DEFENDERS
Safeguard Defenders ha auspicato che “i governi che ancora mantengono i trattati bilaterali di estradizione prendano atto di questi chiari sviluppi e si muovano finalmente verso la loro sospensione”. “Senza dubbio, le autorità della Repubblica popolare cinese si lamenteranno ancora una volta di come questo stia trasformando l’Unione europea in un ‘porto sicuro’ per i cosiddetti ‘fuggitivi’, ma gli Stati membri dell’Unione europea possono e devono rispondere solo in un modo”, si legge in una nota. “Spetta alle autorità della Repubblica popolare cinese iniziare a mantenere le molte promesse vuote fatte nell’ambito dei trattati internazionali sui diritti umani che hanno sottoscritto, e perseguire una profonda riforma del sistema giudiziario e penitenziario in linea con gli standard internazionali. Purtroppo, sappiamo che l’ultima serie di riforme annunciate va esattamente nella direzione opposta”.