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I guai di Silicon Valley Bank e la possibilità di un contagio finanziario

Il fallimento della più grande banca delle startup americane potrebbe comportare un’altra crisi finanziaria globale, come nel 2008? Quali elementi hanno portato a questa crisi, chi ci guadagna e chi rischia di essere travolto dalla crisi di fiducia nel settore

Torna l’incubo della crisi finanziaria del 2008. Il fallimento della Silicon Valley Bank Financial Group (Svb) è il più grande crollo bancario degli ultimi 15 anni. Il commissariamento, seguito alla due giorni di tracollo in borsa (giovedì -60% e venerdì -68%), ha avuto un impatto significativo in tutto il settore, sia dentro che fuori dagli Stati Uniti.

Il bank run, ovvero, la corsa al ritiro del denaro dai conti correnti, è iniziata. In un solo giorno sono stati prelevati più di 42 miliardi di dollari. Il Department of Financial protection and Innovation californiano ha preso il controllo della compagnia, annunciando la mancanza di liquidità e insolvenza, con l’obiettivo di proteggere i conti assicurati dal governo federale fino a 250.000 dollari.

Con circa 200 miliardi di dollari, la Svb era il 16° più grande istituto di credito degli Stati Uniti, punto di riferimento delle startup del settore tecnologico. Ha aperto le porte alle nuove imprese innovative molto prima che le grandi banche le prendessero in considerazione, crescendo insieme alla Silicon Valley.

I depositi della Svb sono più che quadruplicati: da 44 miliardi di dollari alla fine del 2017 a 189 miliardi di dollari alla fine del 2021, secondo l’Economist: “Mentre il suo portafoglio prestiti è cresciuto solo da 23 miliardi di dollari a 66 miliardi di dollari. Dal momento che le banche guadagnano sullo spread tra il tasso di interesse che pagano sui depositi (spesso nullo) e il tasso pagato dai mutuatari, avere una base di depositi molto più ampia rispetto al portafoglio prestiti è un problema”.

Svb aveva bisogno di acquisire altri beni fruttiferi. Entro la fine del 2021, la banca aveva effettuato investimenti per 128 miliardi di dollari, principalmente in obbligazioni ipotecarie e buoni del Tesoro. Poi il mondo è cambiato e gli ultimi anni non sono stati facili.

“I tassi di interesse sono saliti alle stelle mentre l’inflazione si è radicata – spiega l’Economist -. Ciò ha spento la fortuna nel capitale di rischio e ha fatto precipitare i prezzi delle obbligazioni, lasciando Svb esposta troppo esposta in unico settore. I suoi depositi si erano gonfiati quando i tassi di interesse erano bassi e i suoi clienti erano pieni di contanti. Poiché la banca ha effettuato investimenti durante questo periodo, ha acquistato obbligazioni al loro prezzo massimo. Con il prosciugarsi della raccolta fondi di capitale di rischio, i clienti di Svb hanno ritirato i loro depositi: sono scesi da 189 miliardi di dollari alla fine del 2021 a 173 miliardi di dollari alla fine del 2022”. La banca è stata costretta a vendere l’intero portafoglio di obbligazioni liquide a prezzi inferiori rispetto a quanto aveva pagato, con perdite di 1,8 miliardi di dollari.

Ora la domanda che inquieta l’intero sistema finanziario globale è se ci sarà un effetto domino. “Quasi tutte le banche sono sedute su perdite non realizzate nei loro portafogli obbligazionari – si legge sull’Economist -. Se Svb è la banca che più si è trovata nella condizione di dover fare scorta di obbligazioni al loro massimo prezzo, probabilmente non è l’unica a fare i conti con il colpo di frusta dei prezzi”.

Svb “è la linfa vitale dell’ecosistema tecnologico”, secondo Ro Khanna, membro del Congresso del 17° distretto della California. Per cui è poco probabile che lo Stato americano permetta che fallisca definitivamente. Se questo comporta l’acquisto da parte di un’altra società o il salvataggio in mano del Dipartimento del Tesoro, ancora non si sa.

Certo è che già c’è chi trae vantaggio della situazione. Le startup sono alla ricerca di nuove banche dove mettere i fondi al sicuro. Mercury, First Republic Bank, Jiko, così come JPMorgan, e Goldman Sachs si stanno facendo avanti.

Immad Akhund, amministratore delegato di Mercury, ha twittato che è assaltato da messaggi di persone che cercano un nuovo conto, e si muovono verso i servizi di Choice Financial Group e Evolve Bank & Trust.

L’agenzia Bloomberg riferisce che “First Republic Bank e Jiko sono alcuni tra gli istituti in cui startup, venture capital e i loro finanziatori hanno trasferito capitali”.  Anche Revolut, con sede a Londra, ha registrato nuovi flussi dai conti di Svb. Ma non sono solo buone notizie. Molte di queste banche hanno visto crollare i titoli a causa delle preoccupazioni legate al loro modello di business, simile a quello della Svb.



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