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La Dc, il Pd e le correnti. La versione di Merlo

Le correnti della Dc rispondevano ad una cifra politica e culturale ben definita e contribuivano, al contempo, a fare di quel partito un vero ed autentico partito democratico, collegiale e partecipativo. L’analisi di Giorgio Merlo

Diciamoci la verità. Le correnti, o le aree o le sensibilità culturali, sono l’anima e il termometro che misurano se un partito è autenticamente democratico o se è semplicemente un “partito personale”, cioè un cartello elettorale alle dirette dipendenze del suo “capo”. Ma sul ruolo delle correnti, o dei “cacicchi”, come li ha definiti recentemente la segretaria del Pd Elly Schlein, occorre fare un po’ di chiarezza. E cioè, le correnti nei partiti della prima repubblica – la Dc innanzitutto, essendo stato il principale partito italiano per quasi 50 anni – erano strumenti organizzativi di elaborazione politica e culturale.

Seppur tra alti e bassi, le correnti democristiane erano pezzi di società che poi si riconoscevano, e partecipavano attivamente, ala costruzione del progetto politico del partito. Certo, non mancavano anche gruppi di potere, soprattutto a livello periferico, ma è indubbio che le correnti della Dc si sono caratterizzate nel corso degli anni come attori politici di primo piano all’interno del partito. Non a caso, come ama dire giustamente un grande leader della Dc, Guido Bodrato, “la storia della Dc è la storia delle sue correnti”. E questo per la semplice ragione che le correnti della Dc rappresentano pezzi di quella società, interessi legittimi a livello sociale e culturale, avevano riviste, organizzavano convegni di studio e di elaborazione politica, culturale e programmatica, costruivano classe dirigente e, infine, erano tasselli indispensabili e necessari per definire l’identità e il profilo del partito nel suo complesso.

Insomma, le correnti della Dc rispondevano ad una cifra politica e culturale ben definita e contribuivano, al contempo, a fare di quel partito un vero ed autentico partito democratico, collegiale e partecipativo.

Ora, al netto del profondo cambiamento storico e delle dinamiche culturali della società contemporanea rispetto a quella della prima repubblica, cosa centrino le correnti e le bande organizzate dell’attuale Partito democratico con le correnti dei partiti del passato, a cominciare appunto dalla Dc, resta sostanzialmente un mistero. Un mistero politico e non religioso, come ovvio. Nel caso specifico, infatti, oltre al numero esorbitante di gruppi e di correnti che scorrazzano in quel partito a livello come a livello nazionale, è abbastanza evidente che non si tratta di correnti che elaborano un pensiero politico definito, che rappresentano culture politiche altrettanto definite, che sono palestre di formazione politica e di classe dirigente o che, e men che meno, rappresentano pezzi di società. Nulla di tutto ciò.

Molto più semplicemente, si tratta di gruppi organizzati che nascono e muoiono con una rapidità impressionante e che sono funzionali esclusivamente alla spartizione degli incarichi nel partito e, come capita quasi sempre, nelle istituzioni e nel sottogoverno. E la controprova arriva dal fatto che tutti gli esponenti di questi gruppi, correnti e sottocorrenti salgono immediatamente sul carro del vincitore di turno per poi abbandonarlo, altrettanto puntualmente, appena va politicamente in disgrazia. E la parola d’ordine della neo segretaria di turno – com’è capitato puntualmente anche con la Schlein – è sempre quella di fare “una lotta durissima contro le correnti, contro i capi bastone e contro i cacicchi”. E, altrettanto puntualmente, le correnti e i gruppi interni al partito continuano imperterriti a fare ciò che hanno sempre fatto. E con l’ultima segretaria il film si ripete quasi scientificamente. E questo per la semplice ragione che la struttura del partito è quella e quella rimane. Il resto appartiene, come tutti sanno, al mondo della propaganda e della ipocrisia.

Ecco perché, quando si parla di correnti o di aree culturali all’interno dei partiti è sempre consigliabile evitare di tracciare paragoni e confronti impropri con il passato più o meno recente. E, per dirla con una battuta, un conto erano quindi le correnti di pensiero dei partiti rappresentative della società in cui erano inserite e altra cosa, radicalmente diversa, sono i gruppi interni ai partiti funzionali alla mera distribuzione del potere. Forse è bene ricordarlo per evitare di far tutta l’erba un fascio e, soprattutto, per non confondere la politica con la P maiuscola con la politica politicante.


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