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Sessant’anni di magistrate. Così otto donne hanno cambiato la storia

Di Eliana Di Caro

Da qualche giorno in libreria, il libro di Eliana Di Caro, “Magistrate finalmente. Le prime giudici d’Italia” (Il Mulino) racconta il percorso che ha portato all’ingresso delle prime donne nella magistratura italiana. Un concorso vinto da otto “temerarie” proprio sessant’anni fa, il 3 maggio 1963. Ecco un estratto

È del 1959 la vicenda di una giovane e tenace campana, Rosanna Oliva. Nata a Salerno, laureata in Scienze politiche alla Sapienza, vorrebbe abbracciare la carriera prefettizia ma è bloccata dall’articolo 7 della legge del 1919. Chiede allora al suo professore di Diritto costituzionale, Costantino Mortati (tra i giuristi che furono un punto di riferimento all’Assemblea Costituente, eletto nella Dc, poi giudice della Corte costituzionale), di sostenerla patrocinando il ricorso contro il ministero dell’Interno. Nel giudizio davanti al Consiglio di Stato, è sollevata dai giudici la questione di legittimità costituzionale di quella legge che discrimina le donne, così il 12 giugno gli atti vengono trasmessi alla Corte, composta naturalmente da soli uomini. Il verdetto è epocale: la norma che esclude le donne viene dichiarata incostituzionale perché in contrasto con l’articolo 51 della Costituzione, secondo cui va garantito l’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive all’uno e all’altro sesso in condizioni di eguaglianza.

La sentenza n. 33, depositata in Cancelleria il 18 maggio 1960, segna un prima e un dopo nella strada verso la parità: per le donne si schiuderanno le porte di posizioni e professioni sino a quel momento inaccessibili. Certo, la pronuncia non comprende le funzioni giudiziarie e l’ambito militare, rimandando al legislatore il compito di cancellare le discriminazioni in quegli ambiti. E così saranno necessari altri tre anni… ma la strada ormai è segnata.

Gli anni Sessanta: l’ora del cambiamento

Non basta, poco dopo il 18 maggio 1960, l’iniziativa parlamentare della democristiana Maria Cocco (presidente del Cif) che, con l’appoggio delle colleghe di partito Angela Gotelli e Maria De Unterrichter (due Costituenti), il 5 agosto propone l’abrogazione della legge del 1919: dopo due anni di dibattito, come ben ricostruisce Francesca Tacchi in “Eva togata”, il governo guidato da Amintore Fanfani, il primo di centro-sinistra, “presenta un emendamento che rinvia la decisione finale circa la partecipazione della donna alle funzioni giudiziarie, alle carriere del personale degli istituti di prevenzione e di pena e dei corpi speciali, alle leggi ordinarie”. Nel frattempo, il 23 ottobre 1960, si era fatto un altro passo avanti con un provvedimento (n. 1196) che ammetteva le donne nelle cancellerie e nelle segreterie.

Il giorno chiave è il 9 febbraio 1963, quando viene promulgata la legge n. 66 (entrerà in vigore il successivo 6 marzo), che cancella – dando seguito alla sentenza della Corte costituzionale – l’intera legge 1919. È composta da due semplici, brevi, inequivocabili articoli.

Articolo 1: La donna può accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la Magistratura, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazione di mansioni e di svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge. L’arruolamento della donna nelle forze armate e nei corpi speciali è regolato da leggi particolari.

Articolo 2: La legge 17 luglio 1919, n. 1176, il successivo regolamento approvato con regio decreto 4 gennaio 1920, n. 39, ed ogni altra disposizione incompatibile con la presente legge sono abrogati. […]

Seguono i nomi del presidente della Repubblica Antonio Segni, del capo del governo Fanfani, del ministro di Grazia e Giustizia Giacinto Bosco e del ministro del Tesoro Roberto Tremelloni.

Con l’idea, forse, di recuperare improvvisamente il tempo perduto, si riaprono i termini di un concorso bandito prima dell’approvazione della legge, nell’agosto del ’62, per consentire alle italiane di partecipare, ma questa prima occasione – con pochissimi giorni a disposizione per prepararsi – va a vuoto perché nessuna supera le prove scritte. Il 3 maggio 1963 viene indetto il primo vero concorso che si rivolge a entrambi i sessi per coprire 200 posti da uditore giudiziario. Al termine dei lavori, sul “Notiziario del Consiglio Superiore della Magistratura” del 1° febbraio 1965 (anno V, n. 2), la commissione esaminatrice presieduta da Federico Criscuoli fornisce una fotografia puntuale di quel momento storico: le domande presentate sono 2.729, di cui 200 sono avanzate da donne; i candidati ammessi alle prove scritte, che si svolgeranno il 23, 24 e 25 marzo 1964, sono 2.667, solo in 668 si presentano alla prima prova scritta, 372 superano tutte e tre le prove; le candidate ammesse sono 196, alla prima prova scritta partecipano in 31, e in 18 consegnano tutti e tre gli elaborati.

La correzione dei temi dà luogo a una netta selezione: agli orali, che si tengono dal giugno alla fine di dicembre del ’64, arrivano 213 persone, comprese otto donne. Risulteranno idonei in 186 e tra questi compaiono i nomi delle otto vincitrici: Graziana Calcagno, Emilia Capelli, Raffaella d’Antonio, Giulia De Marco, Letizia De Martino, Annunziata Izzo, Ada Lepore, Maria Gabriella Luccioli. Sul Notiziario è riportata anche una nota in cui si sottolinea l’eccezionalità di quel concorso: “Per la prima volta entra a far parte della Magistratura un gruppo di otto donne. Tutte le candidate ammesse agli esami orali hanno superato brillantemente questa prova ponendo in evidenza una solida e seria preparazione dottrinaria acquisita con uno studio profondo e metodico delle varie mate- rie. […] Tuttavia l’ottimismo del giudizio sul comportamento delle candidate va in un certo senso attenuato dalla considerazione che, se è vero che tutte le donne ammesse alle prove orali hanno superato l’ostacolo con indubbia bravura, non è meno vero che di 31 candidate presentatesi agli esami scritti, soltanto otto sono riuscite a superarli”.

Nei successivi concorsi ci sarà un graduale aumento delle partecipanti e vincitrici. Fino, come vedremo, al sorpasso delle donne sugli uomini negli anni Ottanta.

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