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Elly, attenta alla sindrome giapponese. Il consiglio di Pennisi

Il Jobs Act è la bestia nera del nuovo segretario del Partito democratico, Elly Schlein. O almeno viene presentato come tale. E perché c’entra il Giappone. Lo spiega Giuseppe Pennisi

Il renziano Jobs Act è la bestia nera del nuovo segretario del Partito democratico, Elly Schlein, o almeno viene presentato come tale: il miraggio sarebbe il ritorno all’art.18 dello Statuto dei Lavoratori, la legge 300 del 1970 che richiedeva la giusta causa, dimostrata in tribunale, per poter licenziare un dipendente. In tal modo, di tornerebbe a impieghi di qualità, si eliminerebbe il lavoro al nero, si prospetterebbe un futuro e tante altre belle cose ai giovani. Si darebbe spazio ai giovani ambiziosi coniugando, alla John Rawls, “merito” con “bisogno”.

Ma le cose stanno proprio così? La mia memoria torna agli anni Settanta, quando lavoravo in Banca mondiale sull’Estremo Oriente. Allora la grande sorpresa era la rapida crescita della produzione e della produttività del Giappone. Si supponeva che dipendesse dall’elevato livello di istruzione, ma non ce ne era dimostrazione empirica. Dato che produzione e produttività erano associate a progresso tecnologico, si aveva l’intuizione che il nesso fosse l’università e, in particolare, il metodo di selezione e di contrattualizzazione dei docenti.

Dovendo andare da Washington a Singapore, decisi di fermarmi alcuni giorni a Tokyo per parlarne con il Rettore della Università Sophia della Capitale, una delle più antiche ed i cui vertici si esprimevano in buon inglese (anche perché è ateneo privato di antiche origini gesuite). Ci volle tempo per ottenere un appuntamento. L’incontro ebbe luogo e fu fruttuoso. Dopo i preliminari del caso, chiesi al “magnifico rettore” cosa avveniva quando una casella risultava vuota. Per me, di formazione ormai più americana che italiana, la struttura della selezione e della carriera era piuttosto semplice: tre livelli di reclutamento (assistant professor, associate professor, e – dopo nove anni – full professor con incarico a vita).

Il rettore mi rispose che veniva creato un comitato di selezione ed al prescelto veniva offerto un contratto per un anno. Pensai: si tratta di un logico periodo di prova. Chiesi quando e se vengono offerti contratti a più lunga scadenza. Al termine di una fase a monologhi alterni, compresi (più o meno) che dopo circa dieci anni, si arrivava a contratti triennali…e si restava lì. Pensai allora a “rovesciare” la domanda: cosa avviene se occorre “mandare via qualcuno”. Un bel sorriso di risposta: “il nostro sistema è perfetto: non capita mai di dover allontanare un docente, un amministrativo, un bidello o quant’altro”.

Attenta, se vuoi fare la giapponese…

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