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Emissioni dai veicoli, facciamo chiarezza. L’analisi di Chiaramonti (PoliTo)

Di David Chiaramonti

Quel è l’approccio europeo sul tema delle emissioni da automobili, cosa significa technology neutrality e quali sono le opportunità. L’analisi del vicerettore del Politecnico di Torino, David Chiaramonti, ordinario di Sistemi per l’Energia e l’ambiente

La Commissione europea è al lavoro per rivedere la “CO2 regulation”. Quella, per intenderci, che blocca la produzione di veicoli con motore termico dal 2035. Tuttavia sarebbe auspicabile la Commissione procedesse utilizzando metodologie in grado di assicurare il principio di neutralità tecnologica. Secondo quanto si apprende, la proposta avanzata dalla Commissione ammetterebbe solo gli “eEfuels” (carburanti rinnovabili di origine non biologica), mentre per i biocarburanti sembra permanere lo stop, a prescindere dalle caratteristiche di sostenibilità del biofuel in questione.

Nei giorni scorsi i ministri Pichetto Fratin, Urso e Salvini hanno inviato una lettera congiunta al vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans, lamentando una mancanza di neutralità tecnologica nelle scelte della Commissione. Eppure proprio Timmermans, in una recente visita in Piemonte, aveva dichiarato: “L’Europa lascia all’industria la scelta della tecnologia. Non siamo noi che diciamo che cosa devono usare, ma dal 2035 le macchine prodotte in Europa saranno a zero emissioni. Questo non vuol dire che le altre auto non ci saranno più. […] questa decisione la prenderà l’industria. Non è una scelta che ci assumiamo noi […]”.

A questo punto è opportuno far chiarezza sulla metodologia di calcolo adottata in sede europea, cioè sui criteri con i quali sono valutate le tecnologie e le filiere a disposizione, e come si includono o escludono le diverse possibilità. Molto raramente, infatti, si entra nel merito e si descrive come, in concreto, la Commissione valuti la sostenibilità climatica (emissioni di gas serra) nel settore “passenger cars”, cioè secondo quali metodologie. Ed è invece proprio questo il punto critico, per cui le affermazioni del Vicepresidente non appaiono pienamente coerenti con il sistema attualmente vigente in Eu.

Il tema, come noto tra gli esperti, riguarda l’adozione del metodo Tank To Wheel (TtW) o Well To Wheel (WtW). Chiariamo bene in cosa consiste.

Nel settore automotive le emissioni serra sono calcolate secondo la metodologia Tank To Wheel: in sostanza, è indifferente cosa sia entrato nel serbatoio, conta solo quanta CO2 esce dal tubo di scappamento. Senza cioè considerare se questa sia fossile o biogenica, o che bilancio serra presenti il combustibile nella sua fase di produzione e distribuzione.

La metodologia Well To Wheel tiene invece in considerazione l’intera filiera, dalla produzione del combustibile al suo impiego sul mezzo, ed infine alla CO2 rilasciata allo scarico. In un veicolo elettrico, che non presenta ovviamente emissioni serra allo scarico, questa metodologia terrà conto di come l’energia elettrica è stata prodotta e distribuita, e delle relative emissioni. Nel caso di un biofuel, di come è stata coltivata e convertita in carburante la biomassa: analogamente, i cosiddetti Recycled Carbon Fuels (prodotti da Carbonio “riciclato”, cioè impiegato una seconda volta) saranno valutati e misurati allo stesso modo.

Da un punto di vista scientifico non ci sono dubbi che – con riferimento alle emissioni di gas serra – sia la metodologia WtW quella più idonea perché tiene in conto l’intero ciclo. Al contrario, quella TtW di fatto porta ad una unica soluzione, quella puramente elettrica (con il vincolo che questa sia ovviamente alimentata a sole fonti rinnovabili, delle quali sarà essenziale disporre rapidamente in grande volume). Ciò è dovuto al fatto di aver preso in esame solo una parte della filiera: il veicolo.

È su questo punto che cade il presupposto di neutralità tecnologica della scelta.

Confrontare sistemi in modo non bilanciato ed oggettivo, imponendo a priori un vincolo metodologico non giustificato, forza verso una unica soluzione. Questo, peraltro, proprio in un momento in cui è palese come realizzare la transizione in tempi così rapidi richieda l’impiego di una molteplicità di opzioni, tutte quelle possibili ed attuabili rapidamente. No Silver Bullet solution, non c’è un’unica magica soluzione, purtroppo.

Un approccio di questo genere porta a perdere opportunità, che invece sarebbero possibili e necessarie in un momento in cui siamo disperatamente alla ricerca di alternative sostenibili che possano essere rapidamente messe in campo (dai bio agli eFuels ai combustibili riciclati), e spinge ad una contrapposizione tra alternative sostenibili, che invece non dovrebbe esistere, consentendo anche una transizione equilibrata che l’industria e le filiere possano attuare in modo sostenibile anche dal punto di vista economico e sociale.

Ma non è neppure solo questo: con tale impostazione risultano escluse filiere estremamente virtuose, anche quelle in cui il nostro Paese è oggettivamente un campione ed un esempio. Tra tutti, il modello del Biogas Done Right (BDR), uno degli strumenti fondamentali anche per aumentare la resilienza dei suoli del Sud Europa rispetto agli impatti del cambiamento climatico. Un modello che riporta sostanza organica e nutrienti negli stessi.

L’urgenza di agire sui suoli è particolarmente viva nell’area del Mediterraneo, che come noto presenta un tasso di riscaldamento superiore del 20% alla media globale, e già segnalato dall’Agenzia europea per l’ambiente, la European Court of Auditors, EC JRC, etc. Non è necessario ricordare in questa sede come il Sud Europa abbia in corso di marginalizzazione conclamata circa 8.5 Milioni di ettari, come documentato dalla Commissione stessa (da cui anche la Mission Soil Europea).

Escludere dal sistema queste filiere rappresenta quindi una perdita di opportunità per supportare il settore agricolo con soluzioni virtuose, possibili tramite l’integrazione dei settori. E quindi una perdita per l’ambiente, in primis, e per i settori socioeconomici connessi al comparto primario.

Modelli come il BDR o il Biochar possono inoltre realizzare filiere Carbon Negative, qualcosa che altre soluzioni rinnovabili non possono offrire, e su cui sempre più è posta l’attenzione della comunità Internazionale e dell’Unione Europea.

Un tema, quello del Carbon Removal, del Carbon Farming e della Certificazione delle Rimozioni di Carbonio, sul quale infatti la Commissione europea DG Clima ha appena avviato un tavolo di confronto specifico, e che IPCC, sin dalla lontana e pluricitata COP21 di Parigi, ci ha spiegato essere componente essenziale per il contenimento del riscaldamento globale entro i 2°C.

Non è cioè più sufficiente essere Carbon Neutral, ma dobbiamo iniziare a pensare in termini di Carbon Negative. Le filiere biobased sostenibili possono offrire una soluzione quasi unica, nel campo delle rinnovabili, quella Carbon Negative. Questo si combina virtuosamente con il contrasto all’abbandono e alla marginalizzazione dei terreni dovuta alla ampiamente documentata desertificazione.

Sarebbe dunque saggio applicare un metodo di calcolo corretto ed equilibrato, il Well To Wheel, su cui poi i diversi processi e le diverse tecnologie possano competere sulla base delle prestazioni oggettive … e certamente avremo bisogno di tutte quelle possibili! Ciò consentirà all’industria di mettere in campo una transizione sostenibile sotto tutti i punti di vista, salvaguardando sia gli elementi ambientali che quelli sociali ed economici, e stimolando l’innovazione nelle filiere.



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