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Pensare l’Europa senza la Russia. Scrive Muzergues (Iri)

Di Thibault Muzergues

Ci siamo illusi che l’Europa andasse da Lisbona a Vladivostok, ma la Russia ha sempre puntato a essere un impero euroasiatico, senza mai condividere i nostri valori comuni. Dopo l’invasione dell’Ucraina non si potrà più tornare indietro. Il contributo di Thibault Muzergues, direttore dell’ufficio romano dell’International republican institute e autore di “War in Europe” (Routledge, 2022)

In guerra non si può fingere – in questo senso un conflitto militare è sempre un indicatore dei veri poteri e debolezze di una nazione. La guerra condotta dalla Russia in Ucraina ne è un esempio perfetto, tanto il differenziale tra le ambizioni e le capacità di Mosca è abissale. Vladimir Putin voleva espellere gli Americani dall’Europa dell’Est (e probabilmente dal continente), è riuscito a unire gli occidentali dietro la Nato. Voleva reimporre sua sfera imperiale, è riuscito a espellere la Russia dallo spazio di sicurezza comune dell’Europa.

Oggi nessuno sostiene ad alta voce che quest’ultima sia un tutt’uno “da Lisbona a Vladivostok”, e l’architettura di sicurezza del continente nel dopoguerra si prepara senza la Russia: il progetto (ri-)nascente di Comunità politica europea promosso dalla Francia per integrare il continente in un spazio di pace non include Mosca, che era considerata ancora qualche anno fa un partner essenziale per la sicurezza a Roma come a Berlino o Parigi.

Thibault Muzergues

Intenzionalmente o sotto la pressione degli eventi, l’Europa sta ora imparando a imaginare il suo futuro senza la Russia. Se Zbigniew Brzezinski aveva scritto negli anni ’90 che senza l’Ucraina la Russia cesserebbe di essere un impero, la realtà è che senza l’Ucraina o gli Stati baltici la Russia non può essere europea. Una realtà storica che è stata difficile da accettare, soprattutto ma non solo da noi in Europa occidentale. Ciò è dovuto principalmente al fatto che a Roma, Parigi o Berlino si preferiva immaginare la Russia non come era nella realtà ma come si voleva che fosse, in un immaginario romantico basato sui clichés dell’antica corte di San Pietroburgo, della letteratura o dei balletti russi (assimilati troppo facilmente alla cultura europea), o addirittura nel ricordo delle esperienze traumatiche del XX secolo.

L’idea di una Russia europea era infatti fin dall’inizio errata – per che la diagnosi d’inizio è  stata errata: infatti, molti di noi consideravano la Russia come un paese culturalmente europeo e geograficamente eurasiatico, quando in realtà la Russia è culturalmente e geograficamente un impero eurasiatico. E questo impero mantiene rapporti di alterità con l’Europa, che è un alter ego rispetto al quale i Russi si definiscono costantemente, sia per gli slavofili che cercano un Sonderweg russo in contrasto con il liberalismo europeo, sia per gli occidentali la cui ossessione rimane il confronto con l’Occidente.

Non c’è dubbio che i Russi abbaino saputo entrare ed interferire negli affari europei questi ultimi tre secoli: sono riusciti in questo tour de force grazie alle loro campagne militari, da Pietro il Grande a Stalin, e anche quando l’impero ha integrato le élite europee (baroni tedeschi balti, emigrati francesi o italiani, intelligentsia ucraina, etc.) si è modernizzato – cioè, europeizzato. Ma la Russia come stato ha sempre pensato a se stessa come un blocco eurasiatico, cercando di aprire una finestra sull’Europa. Ma senza territori fermamente radicati in Europa, senza élite europee importate e integrate in Russia, la verità è che Mosca si è fatta molto meno europea, e molto più eurasiatica.

Certo, molti hanno contrastato questa idea, citando per esempio l’aspirazione di Mikhail Gorbaciov a voler pacificare la “casa comune europea”. Ma anche questa era una illusione: a quei tempi, l’Urss (e quindi la Russia) era già un impero eurasiatico – solo che dominava l’Europa orientale, e di conseguenza era un attore non-europeo chiave nella sicurezza europea a causa dell’occupazione di metà del continente. Oggi non è più il caso, e la sconfitta russa in Ucraina lo mostra: la Russia non potrà ritornare in Europa dopo questa guerra.

Pensarci può sembrare paradossale: abbiamo tutti imparato che la geografia del continente europeo va, se non da Libsona a Vladivostok, almeno da Lisbona agli Urali. Ma gli Urali non sono il Mediterraneo (che non è stata sempre una frontiera), e definire i limiti dell’Europa con questa catena montuosa è una scelta arbitraria. Gli antichi greci definivano i confini tra l’Europa e l’Asia con il fiume Tana, che i slavi hanno chiamato Don – la scelta dei Greci sembra sensata oggi, poiché è tra il bacino del Don e quello del Dnepr che si gioca il futuro della guerra russa in Ucraina.

Ma non bisogna andare tanto nel passato per pensare l’Europa senza la Russia – I Russi stessi lo fanno, e non si dicono più europei: nel Libro bianco del 1999 sulla sua strategia nei confronti dell’Unione europea (cioè prima dell’arrivo al potere di Vladimir Putin), la Russia si definiva non come un attore europeo, ma come “una potenza mondiale a cavallo tra due continenti che custodisce e difende la propria indipendenza”: il carattere eurasiatico del paese era quindi già chiaramente definito, e Mosca già si definiva in opposizione a un’Unione europea sovranazionale, radicata nel continente europeo e impegnata nel multilateralismo.

Dal 1999, questa opposizione si è solo rafforzata nel tempo, sia attraverso l’affermazione del potere autoritario e poi autocratico di Vladimir Putin, sia attraverso la promozione di un modello rivale di integrazione economica (Unione Eurasiatica) e di valori politici propri, sia con la contestazione dei confini internazionali dal 2008 e l’invasione della Georgia. La guerra in Ucraina ha solo confermato una tendenza che è emersa lentamente negli anni 2010.

Ciò a cui assistiamo oggi dimostra che la Russia si è espulsa da sola dall’Europa, e nessuno scenario futuro consente di considerarla reintegrabile nell’architettura politica né tantomeno di sicurezza del continente: come dopo la Rivoluzione d’Ottobre del 1917 (che ha avuto gli stessi effetti), l’invasione russa dell’Ucraina ha ricordato agli europei una realtà fondamentale: la Russia non è europea – e forse non lo è mai stata se non per l’occidentalizzazione di parte delle sue élite nel XVIII e XIX secolo e per l’occupazione dei territori europei.

L’Europa deve quindi pensare a se stessa e al suo destino senza la Russia, ovvero guardandola come a una potenza esterna, un alter ego da tenere a distanza e di fronte alla quale deve essere forte. Questo non impedisce di voler mantenere scambi a lungo termine, ma sempre con la consapevolezza che i russi non sono uno di noi, che Mosca non aderisce ai nostri valori comuni. Qualsiasi rapporto con essa dovrà rientrare nel quadro delle relazioni esterne e dell’equilibrio di potere, non della sicurezza europea multilaterale.

L’idea di un’Europa che si estende da Lisbona a Vladivostok è un concetto proprio dell’eurasista Alexander Dugin. L’espressione è anche fuorviante, perché in realta descrive l’idea di un’Eurasia che va da Lisbona a Vladivostok, e il cui centro sarebbe Mosca. Dopo la guerra in Ucraina, l’unico concetto accettabile sarà quello di un’Europa dall’Atlantico al Don.



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