“La bella confusione” di Francesco Piccolo ripercorre la lavorazione e il mito di due film girati in contemporanea e usciti sessant’anni fa: “8 ½” e “Il Gattopardo”. Due capolavori ricchi di retroscena.
Fellini e Visconti si odiano. E mentre si odiano, realizzano in contemporanea, tra il maggio e l’ottobre del 1962, niente di meno che “8 ½” e “Il Gattopardo”. Due film profondamente diversi, all’apparenza, ma in realtà legati da innumerevoli fili più o meno sottili. Francesco Piccolo in “La bella confusione” stende questa doppia descrizione incrociata di grande cinema, in pagine di avvincente densità: di temi, di personaggi, di riflessioni. Quest’invito alla lettura propone un breve percorso attraverso il libro per citazioni di brani e nomi.
Innanzitutto, le cattiverie. Ce ne sono diverse, infilate e dettagliate da Piccolo. Eccone alcune.
Il dolore di Ennio. La vita privata di Flaiano fu segnata da un dolore gravissimo: l’encefalopatia della figlia Luisa. “Fellini (ma non soltanto lui) evitava Luisa, alcuni amici quando arrivavano a casa nemmeno la salutavano, ma giravano la faccia per evitare di guardarla”. Un giorno, alla ragazza che si occupava di Luisa, Fellini disse una frase che pare avesse pronunciato altre volte con amici comuni: ‘Ma perché non la rinchiudono?’ (aveva anche detto, secondo ciò che riportano altri, frasi più terribili)”.
Sartoria e arredamento. Fellini e Visconti visti da Flaiano: “Fellini non mi interessa più perché va verso la sartoria. Visconti perché va verso l’arredamento”.
Stroncature incrociate. A proposito dell’odio tra Fellini e Visconti. “Si racconta che all’uscita della ‘Dolce vita’, Luchino commentò: quelli sono i nobili visti dal mio cameriere. E che Fellini avrebbe detto che Visconti faceva film da frocio”.
La doppiezza togliattiana. Esce il romanzo “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, il Pci decide che è un romanzo di destra e va bocciato. Togliatti ordina a Mario Alicata di stroncarlo. Il romanzo ha successo in tutto il mondo. Louis Aragon, uno dei più influenti artisti comunisti del mondo, scrive che è un capolavoro. E Togliatti ordina, sempre a Mario Alicata, di elogiarlo. Visconti, artista comunista, può lavorare in serenità ideologica alla versione cinematografica.
Contro-Senso. Mostra del Cinema di Venezia del 1954: l’anno in cui inizia la decennale faida tra i due maestri. Fellini presenta “La strada”, Visconti “Senso” (per la cronaca: in concorso ci sono anche “La finestra sul cortile” di Hitchcock, “I sette samurai” di Kurosawa, “Fronte del porto” di Kazan…). Pare però che “Senso” possa vincere. Piero Regnoli, cineasta e critico cinematografico dell’Osservatore Romano, uno dei nove giurati di Venezia (ben cinque sono italiani), viene convocato dal sottosegretario democristiano dello Spettacolo, Ermini, che gli spiega “il compito per cui era stato messo in giuria: andare con pieni poteri e impedire a ‘Senso’ di vincere il Leone d’oro. (…) E il termine pieni poteri significava avere a disposizione qualsiasi somma. (…) Secondo Regnoli, e per sua dichiarazione diretta, la maggior parte dei giurati furono comprati”. Il Leone va a “Giulietta e Romeo” di Renato Castellani.
Amori che non t’aspetti. Nel libro si racconta di vari amori e diverse relazioni. Due inedite, o così mi pare.
La prima. Piccolo è uno dei giurati del Premio Amidei. Con lui, tra gli altri, ci sono anche Ettore Scola e Giovanna Ralli. Chiacchiere in poltrona, a margine della riunione di giuria. Ralli a Scola: “Tu non l’hai mai considerato fino in fondo, ma io ero pronta a scapparmene con te, a lasciare tutto”. Curiosità dei presenti, nuovi dettagli. A un certo punto, Scola sbotta: “Ma lei andava con tutti…”. Pandemonio. Imbarazzo. Scuse. Pace.
La seconda. Flaiano frequenta per lavoro la casa di Suso Cecchi d’Amico. Ma all’improvviso sparisce. Succede al culmine della spaccatura tra felliniani (come Flaiano) e viscontiani (come Cecchi d’Amico). Ma i motivi sarebbero in realtà del tutto privati. Caterina d’Amico rivela: “Secondo me mia madre ha avuto una storia con Flaiano e a un certo punto sono arrivati a un grado di maturazione in cui dovevano scegliere. E quindi hanno smesso di lavorare insieme”.
Furti adriatici. Chi ha amici pescaresi anziani, magari, l’avrà sentito: “Uhe vitello’, cum’a stì?”. Il ‘vitellone’ era il giovane perdigiorno da bar. Tipo umano che pascolava (e pascola) in tutt’Italia, ma solo nella Pescara del dopoguerra lo chiamavano così. A Pescara, città di Flaiano; mica a Rimini, città di Fellini. “Negli anni, i ‘furti’ di Federico, veri o presunti e comunque raccontati, si sono moltiplicati. Per quanto riguarda ‘8 ½’, per esempio, le scene del collegio dei gesuiti non appartengono alla memoria di Fellini, che non è mai stato in collegio, bensì alla memoria di Flaiano, che invece c’è stato eccome: a Fano. (…) Perfino ‘paparazzo’ sarebbe un’invenzione pescarese usata per i molluschi”. A un certo punto Fellini rompe con Flaiano. E uno dei suoi sceneggiatori di fiducia diventa Tonino Guerra, romagnolo di Sant’Arcangelo. Probabile sia stato lui a inventare la parola ‘amarcord’, mi ricordo. E comunque Guerra ammetterà: “I ricordi di Amarcord? Sono i miei all’80%”. Però aggiungendo che, essendo della stessa generazione e della stessa terra, lui e Fellini avevano ricordi assai simili.
Il dire e il dare. “’Il Gattopardo’ e ‘8 ½’ sono due film autobiografici. In ‘8 ½’ l’autobiografia è sfacciata, nel ‘Gattopardo’ è sorprendente” (…) Sia ‘8 ½’ sia ‘ Il Gattopardo’ sono dei film decadenti che hanno al centro dei personaggi decadenti, che si pongono il problema della fine di un’era. Nel ‘Gattopardo’ si tratta della fine di un’epoca storica. In ‘8 ½’ c’è la fine della giovinezza (o la paura della fine della potenza) per un individuo e soprattutto per un artista”. Sintesi di Piccolo sui due personaggi: “Uno non ha più niente da dare al mondo, l’altro non ha più niente da dire al mondo”. Piccolo annota poi da spettatore: “Fellini mi raccontava che si poteva tentare di esprimersi, Visconti mi raccontava che non si poteva. Erano due modi opposti di affascinarmi”.
Punto Cardinale. “Tutti e due i film ruotano intorno al desiderio per chi interpreta Angelica e Claudia”. Cioè Claudia Cardinale (onorata in copertina). Punto di contatto, col colore di capelli che cambia, tra i due capolavori. Ma non unica unione. C’è anche Nino Rota. Firma le musiche, straordinarie e famosissime, di entrambi i film.
La volpe e il riccio. Poi Piccolo tira in ballo – genialmente – Isaiah Berlin. “La volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande”. Cioè: “Ricci sono quelli che si rifanno a un unico principio ispiratore, sulla base di una visione morale del mondo. Volpi sono quelli che si appassionano a modelli diversi e contraddittori, senza un faro etico”. E quindi: “’8 ½’ racconta che Guido (il nome del protagonista, nda) è volpe. ‘Il Gattopardo’ racconta che don Fabrizio è riccio. Tutti e due concludono il film accettando la propria essenza. E forse, Fellini, Mastroianni sono volpi; Visconti, Lancaster sono ricci”.
Tipo Zeno. C’è una pagina, la 135, dedicata a un sorprendente paragone tra “8 ½” e “La coscienza di Zeno”. Applausi.
Come eravamo, come guadagnavamo, come vincevamo. Siamo nel 1963: “I due film incassano subito molto bene. ‘Il Gattopardo’ farà il miglior incasso dell’anno. Finirà intorno al miliardo di lire nel solo periodo della prima visione. ‘8 ½’ non può certo emulare gli incassi favolosi della ‘Dolce vita’, ma alla fine è il terzo film italiano più visto della stagione, preceduto solo dal successo del ‘Sorpasso’. Al quarto posto ci sarà il ‘Mafioso’, il film con Sordi girato in Sicilia nello stesso periodo del ‘Gattopardo’”. E ancora: “Tra il 1962 e il 1963 i film italiani vincono tutto: ‘Il Gattopardo’ vince la Palma d’oro a Cannes, ‘Le mani sulla città’ di Rosi vince il Leone d’oro a Venezia, ‘Il diavolo’ di Polidoro vince l’Orso d’oro a Berlino, ‘8 ½’ vince il premio per il miglior film al Festival di Mosca ed è un evento straordinario proprio perché accade nel mondo al di là della cortina di ferro. Viene premiato anche ‘Il sorpasso’ a Mar del Plata e il ‘Mafioso’ al Festival di San Sebastián, senza dimenticare la Vela d’argento a Locarno per l’esordio di Lina Wertmüller con ‘I basilischi’ (e la Wertmüller è stata, fino a poche settimane prima di girare, sul set di ‘8 ½’) e poi tutto questo finisce, si allunga al ’64 con l’Oscar a Fellini e si può dire che si allunga ancora fino al 1965 con l’Oscar al miglior film in lingua straniera a ‘Ieri, oggi e domani’ di Vittorio De Sica, ma anche questo è un film del 1963 (proprio come accadde a ‘La strada’ che fu premiato due anni dopo)”.
PS: “La bella confusione” è il primo titolo di “8 ½”. A Fellini non piaceva. Una delle poche invenzioni di Flaiano che Fellini rifiutò.