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Fintech, il decreto-legge e le sfide del digitale secondo Zanichelli

Di Davide Zanichelli

Dopo il via libera alla norma in Cdm, ora è tempo di trovare una sintesi tra necessità di vigilanza e spirito d’innovazione. Il commento di Davide Zanichelli, ex deputato e coordinatore dell’intergruppo parlamentare Blockchain e Criptovalute nella scorsa legislatura

La diffusione della digitalizzazione di questi anni ha permesso di superare numerosi limiti, e con l’introduzione dei registri distribuiti si sono incrementate le possibilità per l’automazione di processi per i quali la trasparenza delle informazioni di una comunità (o una società) possono progredire diffondendo fiducia tra i soggetti coinvolti e terzi; ma i benefici generali derivanti da una diffusa digitalizzazione dei processi delle nostre Pmi sarebbero innumerevoli e riguarderebbero non solamente la circolazione e l’attrazione di capitale ma anche tutti i processi legati alla governance come la gestione documentale, delle votazioni o dei verbali, che possono beneficiare della nativa digitalizzazione degli strumenti emessi.

La norma approvata in Consiglio dei ministri lo scorso 16 marzo riguardante le Dlt (Distributed Ledgers Technology) rappresenta sicuramente una sana attenzione da parte del legislatore ma non va dimenticato che, di per sé, il contesto normativo italiano presentava già molta flessibilità a partire dalla neutralità tecnologica del Codice Civile rispetto alle soluzioni tecnologiche e alla materialità dei supporti che ovviamente consente già alcune attività in maniera digitale.

Il Codice Civile infatti, nella sua attuale configurazione, non pone ostacoli alle modalità di funzionamento di molti meccanismi societari come, ad esempio, la tenuta del libro soci, tutti aspetti che sono tradizionalmente “materiali” ma che il nostro Codice Civile non esclude affatto che possano avvenire anche in maniera totalmente digitale o con il supporto di specifiche tecnologie come le Dlt. Alcune sperimentazioni operative di questa governance-digitalizzata in relazione a strumenti finanziari sono già avvenute con successo nel nostro Paese anche attraverso la sana sinergia tra istituzioni finanziarie e startup grazie al supporto normativo esistente.

In tale contesto le bozze circolanti del testo passato in Consiglio dei ministri definiscono, tra le diverse figure rilevanti, una fattispecie completamente nuova di soggetto “intermediario”, sottoposta alla vigilanza di Consob e Bankit (anche positiva nei suoi intendimenti orientati alla tutela del mercato) che dovrebbe fornire servizi di tenuta dei “registri digitali” in favore delle società che decidano di avvalersi del servizio e che non abbiano i requisiti di legge per svolgere tale attività. Questo, anche solo per il fatto di aver emesso strumenti digitali (le proprie azioni per esempio) e anche nel caso di società che non intendano fare ricorso al mercato dei capitali. Anche una società per azioni italiana non quotata e che decida di tenere i propri strumenti finanziari in formato digitale da una prima lettura delle nuove disposizioni normative, parrebbe dover quindi sottostare alle regole del nuovo decreto legge mentre, per converso, la medesima società che intenda conservare registri o certificati cartacei non sembrerebbe essere soggetta alle medesime regole. Non solo, ma se la stessa società decide di conservare un registro digitale delle proprie azioni rischia di incorrere in sanzioni, anche pecuniarie.

Il rischio è di disincentivare l’adozione delle nuove tecnologie e di tagliar fuori da un percorso virtuoso di digitalizzazione la massa di piccole realtà che avrebbero potuto beneficiare dell’ampliamento dell’innovazione e che non avranno intenzione di sobbarcarsi un sovraccarico burocratico che, non è presente nella gestione operativa delle Pmi e che tra l’altro rischia di non avere eguali nel contesto comunitario. Oltre al fatto di estendere il perimetro dei poteri di Bankit e di Consob anche alle società non quotate e che non fanno ricorso al mercato dei capitali si rischia di ingessare il perimetro d’attività e subordinarlo ad una vigilanza eccessiva oltre al fatto di non prevedere un preciso regime transitorio di passaggio per quelle realtà italiane che già oggi funzionano su Dlt ma che non possono essere aderenti alla normativa in tempo utile per la sua pubblicazione in gazzetta.

Oltretutto il contesto di cui sopra, per quanto meritevole di regolamentazione, non ci pare esponga i risparmiatori a particolari rischi (come invece può avvenire per altre tipologie di utilizzo del Dlt).

In questo momento di cambiamento tecnologico in cui la competizione nell’innovazione si gioca su piani anche internazionali la politica dev’essere sensibile, proprio in questi mesi in cui si parlerà di finanza per la crescita, anche ai temi che possono incrementare la digitalizzazione dei processi delle nostre Pmi riguardo alla libera innovazione digitale e alla sperimentazione effettuata anche facendo tesoro del programma Sandbox e della sana collaborazione tra realtà innovative e istituzioni.

Ecco perché sono queste le settimane in cui gli attori in gioco lavorino per trovare un quadro regolatorio efficace per far sì che i punti di vista delle diverse parti si condensino in una soluzione che contempli sia le necessità di vigilanza in relazione all’operare dei nuovi mercati europei basati su DLT, sia lo spirito d’innovazione nell’interesse di una semplificazione e della promozione della governance che non può che trarre benefici dalla digitalizzazione se questa viene opportunamente promossa.

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