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Rosi non si è fermato a Eboli

Il Sud. La sinistra. I grandi misteri della politica e della società italiana. La denuncia del malaffare. Breve ricognizione sul grande regista napoletano. A sessant’anni da uno dei suoi capolavori: “Le mani sulla città”

Il cinema dell’impegno. Il cinema della questione meridionale. Il cinema di Francesco Rosi. Si allunga a oggi con nuovi materiali l’onda del centenario del regista napoletano, centenario caduto l’anno scorso e forse un po’ oscurato dalle coeve celebrazioni per il secolo di Pasolini, che è figura dai tratti più iconici anche per la sua più bruciante vicenda biografica. “Oltre Eboli”, della casa editrice CinemaSud, è un saggio a più firme che inquadra l’opera di Rosi soprattutto nella sua risonanza politica, inevitabilmente avvinta agli sviluppi della sinistra e del Mezzogiorno dagli anni Cinquanta in poi.

Francesco Rosi è uno dei grani di un rosario quasi leggendario: un gruppo di ragazzi nati a Napoli nella prima metà degli anni Venti, che raggiungono i vertici nei campi in cui decidono di impegnarsi: Giorgio Napolitano, Raffaele La Capria, Antonio Ghirelli, Giuseppe Patroni Griffi, Francesco Compagna. Alcuni di questi nomi ricorrono in questa sommaria ricognizione intorno all’opera di Francesco Rosi.

Lina Wertmuller, Francesco Rosi, Dino De Laurentiis, Gillo Pontecorvo

VITE PARALLELE. Il capolavoro assoluto di Francesco Rosi è unanimemente considerato “Salvatore Giuliano”. C’è un dato curioso che pertiene all’anagrafe e condisce un legame: Francesco Rosi è nato il 15 novembre 1922, Salvatore Giuliano il 16 novembre 1922. Le due vite corrono distantissime e parallele fino a incontrarsi per un film che ha fatto scuola in tutto il mondo. Il racconto del regista: “Nel 1961 fui tentato dall’affrontare un discorso sul cadavere di un giovane bandito diventato il nemico dello Stato italiano, morto in un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine secondo la versione ufficiale, in verità ucciso a tradimento per opera della mafia e consegnato morto allo Stato nel quadro della collusione tra il potere politico, quello delle istituzioni e quello della mafia. Nacque così ‘Salvatore Giuliano’”.

UNA MANO ALL’ANTIMAFIA. Il film è girato nel 1961 ma esce l’anno successivo. La sua forza e il suo successo contribuiscono ad accelerare l’istituzione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia, su proposta di legge di alcuni senatori tra cui Ferruccio Parri, partigiano di prima fila, capo di un governo di unità nazionale nell’immediato dopoguerra e indimenticato leader del Partito d’azione, poi sciolto e disperso in vari partiti laici progressisti. La proposta è votata unanimemente dal Senato e approvata in via definitiva l’11 aprile del 1962.  È da pochi mesi iniziata l’esperienza del centro-sinistra al governo.

SOTTO IL MERIDIANO DI ROMA. Sul set siciliano del film, per qualche giorno, il personaggio che cattura le maggiori attenzioni è Carlo Levi. Dal libro di Tullio Kezich dedicato proprio al film e alla sua lavorazione: “È arrivato Carlo Levi, letteralmente evocato come Madama Pace nei ‘Sei personaggi’ di Pirandello. Questo antifascista piemontese, medico e razionalista, sotto il meridiano di Roma diventa una matrice di miti. Gli intellettuali palermitani vedono in lui lo scrittore che ha fatto conoscere a tutto il mondo i problemi del Sud e gli si stringono intorno come assiderati intorno a una stufa calda”.

VISCONTI CON LA BANDIERA. “Salvatore Giuliano” esce in sala il primo marzo 1962, dopo aver aspettato a lungo il visto di censura. In una delle visioni private pare che Luchino Visconti abbia esclamato: “Finalmente ora abbiamo un film che se lo toccano andiamo in piazza con la bandiera”. Il legame tra i due registi è fortissimo: Rosi è stato a lungo suo assistente, da lui ha imparato l’arte del cinema.

LA LEGGE DEL PANE. Carlo Levi, che ritroveremo più avanti, l’anno dopo, nel 1963, diventa parlamentare. Di provenienza azionista, come Parri (a quella stagione aveva dedicato “L’orologio”), si fa eleggere nella Sinistra indipendente, gruppo vicino al Pci. Una scelta che lo differenzia dagli ex compagni, gran parte confluiti nel Psi, partito cui Rosi sarà vicino per tutta la vita. Levi non accetta il centro-sinistra e preferisce l’opposizione. Sarà rieletto anche nel 1968.

In una conversazione tra Rosi e Levi, raccolta da Michel Random per il programma “Italiques” realizzato per la televisione francese, lo scrittore ricorda: “C’è una legge che porta effettivamente il mio nome. La sola che porta il mio nome. Ho semplicemente autorizzato una cosa che era proibita da un’altra legge assurda che vietava di cuocere il pane nei forni a legna”.

SCIASCIA APPLAUDE. Nel saggio dedicato a “La Sicilia nel cinema”, Leonardo Sciascia in “Salvatore Giuliano” riconosce “l’opera più vera che il cinema abbia mai dato relativamente alla Sicilia”. Le strade di Sciascia e Rosi si incroceranno a metà anni Settanta per “Cadaveri eccellenti”, tratto dal romanzo del siciliano “Il contesto”. Per Andrea Camilleri, “Cadaveri eccellenti” è la migliore riduzione cinematografica tratta da un romanzo di Sciascia.

STORIA DI UN METRO QUADRATO. L’anno dopo “Salvatore Giuliano”, nel 1963, Rosi firma un altro film bandiera della sinistra. “Le mani sulla città”. Nessuno come Rosi sa raccontare i suoi film: “Un metro quadrato di terreno agricolo situato alla periferia di una grande città aumenta in maniera smisurata il suo valore se diventa edificabile, vale a dire se a spese della comunità vengono portati, fino a quel metro quadrato di terreno, acqua, gas, luce, telefono, fogne e tutti gli altri servizi necessari. Lo svolgimento del film rivelò attraverso quali intrighi, quali complicità e potere economico, quali corruzioni e interessi fuori della legalità fosse necessario muovere per raggiungere l’obiettivo di mantenere un potere incontrollato”.

DAI BANCHI AL SET. Il ‘contesto’ è la Napoli laurina. Personaggio principale, il costruttore Edoardo Nottola (un Rod Steiger in stato di grazia) che ha assoluto bisogno di diventare assessore per controllare l’avanzata dei propri cantieri. Suo antagonista, il consigliere comunale De Vita. Rosi, per dare corpo al personaggio, decide di attingere dalla realtà. Dal vero consiglio comunale di Napoli. Dai banchi del Partito comunista. La scelta cade su Carlo Fermariello. È il segretario della Camera del Lavoro. Nipote dell’avvocato Gennaro Fermariello, sindaco azionista – un altro azionista – di Napoli dall’inizio del 1945. Carlo, dal 1968 e per quattro successive legislature, sarà senatore del Pci. Il suo ricordo: “Rosi mi propose di partecipare a questo film: a dire il vero inizialmente ci rifiutammo, sia io che l’allora segretario della Federazione del Pci di Napoli, Giorgio Napolitano (compagno di scuola di Rosi al Liceo Umberto I di Napoli, ndr) in quanto sostenevamo che un consigliere comunale, personaggio pubblico – come allora si diceva – non potesse trasformarsi in un ‘guitto’ e partecipare addirittura ad un film. Ma la diatriba si concluse grazie a un deciso intervento di Giancarlo Pajetta, il quale ci invitò a non fare i ‘perbenisti’”.

FUOCO AMICO. “Le mani sulla città” concorre alla Mostra del cinema di Venezia. E vince il Leone d’oro, accolto da una platea spaccata tra entusiasmo e fischi. Il favore della critica è vasto. Si distinguono una parte della critica cattolica a partire da Gian Luigi Rondi che lo stronca al Lido, la destra politica ma anche, sorprendentemente, versanti della sinistra napoletana. “A nostro avviso, l’eccessivo manicheismo nuoce alla forza realistica dell’opera”, annota Vincenzo Maria Siniscalchi, cinefilo militante, principe del foro napoletano (tra i suoi assistiti, Maradona e Califano), per tre legislature dopo Tangentopoli deputato diessino.

Gli scrittori Luigi Compagnone e Luigi Incoronato (quest’ultimo anche segretario di sezione del Pci) pur riconoscendo che “l’opera di Rosi rappresenti un contributo molto serio ad una rappresentazione realistica della città meridionale”, rilevano “una certa staticità in De Vita, la cui protesta sviluppa insufficienti elementi di articolazione, e lascia lo spettatore un po’ in difficoltà, chiedendogli un atto di fiducia eccessivo”.

“Fuoco amico – rileva uno dei curatori di “Oltre Eboli”, Paolo Speranza – di cui avevano fatto esperienza diretta artisti di primissimo piano organici al Pci, come il regista Giuseppe De Santis per ‘Riso amaro’ o lo scrittore Vasco Pratolini con ‘Metello’, e che si rinnoverà con toni persino astiosi nella stagione del Sessantotto fra i registi vicino al partito e i critici della ‘nuova sinistra’ extraparlamentare”. Un esempio: Goffredo Fofi sui “Quaderni piacentini” a proposito di “Le mani sulla città” critica lo “schematismo dei personaggi, la loro povertà psicologica e sociologica (tutti d’un pezzo, con scritta in fronte la loro idea e il simbolo del loro partito)”. Più avanti sul “Caso Mattei”, Fofi dirà che “i padroni scendono in cinema direttamente sul campo di battaglia delle idee, non tutti i padroni, ma l’industria di Stato, che ci racconta la storia dell’Italia postbellica a suo modo, attraverso la storia del suo personaggio più prestigioso”.

FINALMENTE IN TV. “Soltanto oggi, e grazie al grosso spostamento a sinistra dell’elettorato, tutti gli italiani hanno potuto vedere il film. Quando lo presentammo a Venezia c’erano tra il pubblico, che applaudiva, quelli che fischiavano e che si erano portati le chiavi da casa per fare più baccano. Il film girò nelle prime visioni e poi fu subito tolto dalla circolazione. Mentre all’estero è stato proiettato dappertutto: in Francia, in Inghilterra, in Svizzera; in Germania è andato in televisione e persino nelle università, più di una volta”: è quanto osserva Rosi quando il film, ben dodici anni dopo la vittoria a Venezia, finalmente approda sulla tv di Stato: il 26 settembre del 1975. Il giorno dopo comincia ufficialmente il mandato da sindaco di Napoli del comunista Maurizio Valenzi.

L’INGAGGIO PER CRISTO. Il 1975 è un anno di cambiamenti anche per la stessa Rai. E’ l’anno della grande riforma, con il Secondo Programma che diventa Rete 2 e si struttura con un’impronta marcatamente  laica. “A dirigerlo – scrive Alberto Saibene in ‘Oltre Eboli’ – è chiamato Massimo Fichera, intellettuale siciliano che si era formato con Adriano Olivetti, poi principale artefice della Fondazione Olivetti, in seguito indipendente vicino al Partito socialista. È lui a proporre a Rosi, attorno al 1976, di portare sullo schermo ‘Cristo si è fermato a Eboli’”.

CORTOCIRCUITI. Piccola vertigine di tempi e film. Scrive nel saggio su Rosi, Ivan Moliterni, partendo da “Esterno notte”, la serie tv di Marco Bellocchio sul delitto Moro uscita l’anno scorso: “Il Moro di Fabrizio Gifuni consuma la cena buia e solitaria sul tappeto sonoro di una radio che annuncia la scelta di Gian Maria Volonté come interprete di Carlo Levi nel ‘Cristo di è fermato a Eboli’ di Francesco Rosi. Lo stesso Volonté che due anni prima, nel 1976, aveva incarnato il corpo del Presidente ucciso sotto i nostri occhi in ‘Todo Modo’ di Elio Petri, in quel finale paradigmatico nel quale la pistola ‘guarda in macchina’ prima di sparare, a favore di uno spettatore/elettore ‘cinico e feroce’ tanto quanto il Presidente. Lo stesso Volonté che otto anni dopo l’affaire Moro, nel 1986, avrebbe indossato nuovamente gli abiti dello statista nel film di Giuseppe Ferrara, ‘Il caso Moro’”.

A NERVI TESI. Italo Calvino osserva: “Capisco bene come Francesco Rosi, dovendo fare un film da ‘Cristo si è fermato a Eboli’, abbia deciso di mettervi al centro, al posto di Levi, un personaggio che è l’esatto opposto di quel che Levi era: un intellettuale ispido, spigoloso, a nervi tesi, quanto Levi era affabile, rilassato soffice. Uno pseudo-Levi sarebbe stato, comunque, un tradimento, mentre l’anti-Levi di Volonté, cancellando completamente quell’immagine, è un personaggio che ha una sua autonoma presenza drammatica, storicamente e psicologicamente credibile, un rivoltato introverso e arrovellato, personificazione d’una lontananza che la volontà e la razionalità non possono vincere (lo sguardo fisso è teso mentre Levi era sempre a occhi socchiusi; l’accento pesantemente piemontese mentre l’italiano di Levi era immune da ogni cadenza)”.

IL SUD IN MOVIMENTO. Rosario Villari sul “Cristo” cinematografico: “La pacatezza e l’attualità di Rosi consistono nel fatto che egli ha sentito e colto il movimento nel Mezzogiorno, la sua trasformazione, non nei termini delle strutture industriali o istituzionali, che vi sono state indubbiamente, ma nel senso del mutamento della coscienza collettiva”.

CHE DICE DUDÙ. Universalmente conosciuto per “Ferito a morte” e per la soavità della sua acuta leggerezza, Raffaele La Capria è stato cosceneggiatore di numerose pellicole dell’amico di una vita. Sulla sua filmografia spiega: “ ‘Il caso Mattei’, ‘Lucky Luciano’, ‘Cadaveri eccellenti’, ‘Uomini contro’, ‘Cristo si è fermato a Eboli’, ‘Tre fratelli’, ‘Dimenticare Palermo’: c’è sempre una storia vera e puntualmente documentata, piena di intrecci e di connessioni, di cui però non si viene a capo. Sono tutti casi non risolti, casi accaduti sotto gli occhi di tutti, e non risolti. Più che un cinema politico allora, il suo è il cinema del malessere dell’Italia di questo quarantennio. La terribile e rigorosa testimonianza di una democrazia ammalata perché non sa guardare a sé stessa fino in fondo – perché non vuole, o perché, dato il sistema che si è creato, non può – una democrazia che non vuole o non può conoscersi, e dunque non saprà mai come correggere i propri mali riparandoli”.

DAVANTI ALLE OMBRE. Francesco Rosi. Regista sanguigno. Meridionalista appassionato. Socialista convinto. Illuminista ostinato: “Con i miei film ho cercato più che altro di capire il mio Paese e di raccontarlo attraverso lo strumento, il cinema, che tra i mezzi di comunicazione e di conoscenza è quello che ci consente, davanti alle ombre che sullo schermo diventano vita, di riconoscere le nostre speranze, le sconfitte e le vittorie, dando incremento ai dubbi e alla ricerca del modo in cui il dubbio possa diventare una forza per la conquista del meglio attraverso la ragione”. Francesco Rosi. Un grande italiano.


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