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Nuove frontiere per gli 007 e dossier TikTok. Intervista a Borghi (Pd)

La sfida delle autocrazie interessa anche il mondo dell’intelligence, spiega il senatore dem e membro del Copasir. Per questo bisogna “riflettere sulla specializzazione delle agenzie per funzioni, pensando a nuove frontiere come lo spazio e rafforzando il pilastro dell’intelligence economica”, dice. E sull’app cinese: “Non possiamo diventare fornitori ufficiali e inconsapevoli di informazioni per un’autocrazia che ritorce poi questi big data contro di noi”

La guerra in Ucraina ha evidenziato una “sempre più stretta osmosi” tra le dimensioni internazionale e interna della minaccia, si legge nella nota introduttiva della “Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza”, curata dal Comparto Intelligence e relativa all’anno 2022. Secondo Enrico Borghi, senatore del Partito democratico e membro del Copasir, “anziché imboccare una strada un po’ rétro di una unificazione, dovremmo riflettere sulla specializzazione delle agenzie per funzioni”.

Crede che dovremmo leggere questo passaggio come un segnale verso la riforma o una modifica del comparto nella direzione di un servizio unico?

È giusto riflettere sull’esigenza di allineare il Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica alle mutate circostanze storiche. Occorre farlo anzitutto con grande capacità analitica e prospettica, e allo stesso tempo con capacità di unità politico-istituzionale. Oggi il mondo dei servizi deve occuparsi trasversalmente di sicurezza nazionale, raccolta informativa, controllo delle minacce al Paese e promozione dei nostri obiettivi politico-diplomatici all’estero. In quest’ottica, la domanda è se l’attuale articolazione sia adeguata a tempi e obiettivi.

Lo è?

Se ci guardiamo attorno, vediamo che in Francia hanno un “sistema di servizi” che alla competenza su estero e interno assomma quella dell’intelligence economica, con un segretariato generale specifico che risponde al primo ministro. I servizi britannici hanno l’MI5 per la sicurezza interna e l’MI6 per lo spionaggio e le minacce internazionali. Il sistema informativo della Germania si avvale di tre principali servizi. Gli Stati Uniti hanno addirittura 17 agenzie, con alcune di assoluto rilievo, e anche un comitato, il Cfius, che tutela la sicurezza nazionale degli investimenti stranieri negli Stati Uniti. Forse, alla luce di ciò, anziché imboccare una strada un po’ rétro di un’unificazione, dovremmo riflettere sulla specializzazione delle agenzie per funzioni, pensando a nuove frontiere come lo spazio e rafforzando il pilastro dell’intelligence economica in quest’epoca di capitalismo politico portato avanti da Stati autocratici. Ma in questa fase ciò che conta è che il dibattito sia laico e aperto, senza strozzature né preconcetti.

La relazione pubblicata questa settimana si sofferma anche sul confronto tra gli Stati Uniti e la Cina e sul partenariato “senza limiti” tra quest’ultima e la Russia. Che cosa implica questo contesto per la sicurezza nazionale italiana?

La Cina sta vivendo un momento delicato. Secondo i dati del Fondo monetario internazionale, nel 2022 è cresciuta solo del 3,3% contro la previsione governativa del 5,5%, e la gestione del Covid ha creato una pressione interna come non esisteva dai tempi di piazza Tienanmen. Il controllo sociale del regime è aumentato, così come la repressione delle manifestazioni di dissenso, mentre lo yuan ha perso il 12% del suo valore rispetto al dollaro nel 2022. Nonostante ciò, Xi Jinping persiste nel suo obiettivo di ridimensionare il ruolo dell’Occidente: al vertice economico dei Brics ha ribadito l’esigenza di un ordine economico mondiale senza il ruolo dominante del dollaro, e punta sul fatto che l’Occidente è di fatto incapace di fare a meno della Cina. Quindi insisterà nella sua politica di raccordo con la Russia, con l’obiettivo di renderla sostanzialmente subalterna dentro lo schema del conflitto tra democrazie e autocrazie che caratterizzerà il XXI secolo. È bene capire un punto chiave: che lo schema su cui si è costruita la globalizzazione – che per noi prevedeva l’energia dalla Russia, la sicurezza dagli Stati Uniti e la manifattura dalla Cina – è saltato con la guerra in Ucraina. Bisogna riscrivere il “balance of power”, e in questo la Cina non ha più quel ruolo di nostro salvatore che troppi in Italia pensavano potesse e dovesse avere.

Dopo diverso tempo, anche in Italia si è iniziato ad affrontare la questione TikTok con attenzione alla sicurezza nazionale. Come si sta muovendo il Copasir?

Le azioni che il Comitato compie fanno parte di un percorso di riservatezza che non intendo violare. Posso solo assicurare che sul tema si è adeguatamente vigili e operativi.

Lei è favorevole a un bando di TikTok, almeno agli impiegati della Pubblica amministrazione?

Stiamo vivendo l’epoca del capitalismo della sorveglianza: i nostri dati vengono acquisiti quotidianamente per finalità di varia natura, e veniamo – a nostra insaputa o inconsapevolezza – profilati. La legge cinese fa obbligo a ogni persona, fisica o giuridica, di quella nazione di consegnare alle autorità statali ogni informazione di cui dispone nel caso in cui lo Stato (che lì corrisponde al Partito comunista) lo richieda. Pena la prigione. Non c’è privacy che tenga. Il fatto che gli Stati Uniti e l’Unione europea abbiano aperto un’istruttoria formale nei confronti di TikTok non può essere ignorato, né si può tacere circa il rischio da un lato della profilazione, schedatura e cessione dei nostri dati e della nostra popolazione più giovane in particolare e dall’altro del rischio di ingerenza e di influenza su milioni di nostri concittadini. Insomma, non possiamo diventare fornitori ufficiali e inconsapevoli di informazioni per un’autocrazia che ritorce poi questi big data contro di noi.

Durante la presentazione della relazione si è parlato anche della cooperazione internazionale in materia di intelligence, citando il rafforzamento delle consultazioni in sede Quint (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania e Italia) alla luce dell’invasione russa dell’Ucraina. Quali scenari vede per l’Italia?

La cooperazione a quel livello è fondamentale ed essenziale, e si inserisce in quel progetto rilanciato dal presidente statunitense Joe Biden a Varsavia, quello della “nuova comunità delle democrazie”. A mio avviso, Washington punterà a far emergere dalla genericità questa iniziativa per assurgerla a vera e propria nuova alleanza globale, che sarà tenuta insieme non tanto dalla ideologia generica che la sottende quanto da un più robusto sistema di rapporti economici privilegiati dove commercio, tecnologia, investimenti, aiuti finanziari seguiranno i confini dei nuovi standard democratici globali. Come europei dovremmo riflettere maggiormente su questi sviluppi, affiancando una nostra proposta dentro questo sistema di alleanze politica delle democrazie. Su questo si gioca il futuro, ed è anche per questo che temo alcune ambiguità nella compagine di governo italiana, con una pericolosa suggestione di un nuovo asse Roma-Varsavia-Budapest pensato come surrogato del rapporto con Parigi, Berlino e Bruxelles.


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