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Ira, aprire negli Stati Uniti non significa chiudere in Ue

Di Lucio Miranda

Gli Usa hanno bisogno di importare le tecnologie europee per dare attuazione all’Inflation reduction act (Ira), un piano di ricostruzione che vale più di mille miliardi di dollari. Viceversa, le aziende europee necessitano di espandersi in mercati affidabili e stabili. L’analisi di Lucio Miranda, presidente di Export Usa

Dalle nuove tecnologie, alla transizione all’elettrico sino allo sviluppo di un’economia sostenibile, l’Inflation Reduction Act (Ira) è un piano di investimenti federale (di stampo keynesiano) che darà nuova linfa all’economia americana, attraendo investimenti da tutta Europa. Si tratta di un’opportunità importante che guarderà, principalmente, all’importazione negli States di chip, beni industriali, macchinari, beni strumentali, componentistica, automazione, nonché tecnologie per le attività produttive. Tutti settori dove l’Italia storicamente eccelle: questo nuovo corso rafforzerà, giocoforza, le relazioni commerciali con gli Stati Uniti.

L’Ira prevede significativi incentivi federali per l’apertura di impianti produttivi negli Stati Uniti, che si sommano a quelli già disponibili a livello statale. È nostra opinione che aprire un impianto produttivo in America non vuol dire chiudere in Europa. Contrariamente, aprire negli Usa permette di non chiudere in Europa, e di cogliere un’opportunità che permetterà di restare aperti, assumere nuovo personale, investire in ricerca e innovazione per alimentare quel know-how che contraddistingue le nostre imprese consentendoci di continuare a crescere a livello internazionale e nazionale.

Un altro elemento fondamentale da considerare è che parte degli investimenti previsti nell’ambito dell’Inflation Reduction Act (e di tutti gli altri piani di investimento inaugurati dall’amministrazione Biden) si tradurranno in un aumento delle importazioni americane. Quindi i benefici dell’Ira si estenderanno anche a tutte quelle aziende che non prevedono necessariamente di aprire impianti produttivi in America.

L’Ira rappresenta quindi un’ottima occasione anche per quelle pmi italiane che vogliono esportare beni industriali oltre oceano, senza necessariamente aprire un impianto produttivo. Ovviamente, per cogliere quest’opportunità, serve essere preparati. Operare con successo in questo settore richiede di costituire una propria società negli Usa, con un conto corrente americano, e con una assicurazione RC prodotto sottoscritta da una compagnia di assicurazioni statunitense.

Lo diciamo con l’esperienza dei nostri 20 anni di lavoro negli Stati Uniti. Aprire e gestire una società di diritto americana è di gran lunga meno complesso e costoso che non in Italia. Inoltre, a livello di tassazione, i vantaggi sono tangibili. Gli utili derivanti dall’attività d’impresa svolta negli Stati Uniti, infatti, sono tassabili solo negli Stati Uniti, [Art. 7 della Convenzione tra il governo della Repubblica italiana e il governo degli Stati Uniti d’America per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le frodi o le evasioni fiscali. Accordo ratificato con legge 3 marzo 2009 n.20 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 64 del 18/03/2009)] dove l’aliquota è del 21% flat per le corporation, che corrispondono in pieno alle società per azioni italiane. Infine, i dividendi pagati alla casa madre sono esenti da tassazione in Italia per il 95%, mentre in America le spese sostenute dalla filiale americana sono deducibili in toto anche se le spese sono sostenute all’estero.

Tenendo presente questo quadro di riferimento due fattori, in particolare, favoriscono le aziende italiane: il primo fattore è legato alla natura dell’Ira che si rivolge principalmente all’infrastruttura produttiva e favorisce, quindi, l’ingresso dell’Italia in questo filone di esportazioni e vendita verso il mercato americano.

Il secondo fattore ha, invece, una connotazione diversa e risale al Covid, che ha fatto emergere rischi e limiti delle catene di approvvigionamento tradizionali. Oltre agli aspetti prettamente tecnici che hanno visto susseguirsi numerosi dibattiti sul futuro della supply chain, la necessità di rispondere alla sfida globale posta dall’economia cinese ha spinto il governo americano a favorire le forniture provenienti dai Paesi amici (friendshoring) unitamente alla ricostituzione in America di interi comparti industriali (reshoring), precedentemente trasferiti in massa verso paesi a basso costo, come nel caso della Cina.

In buona sostanza, gli Usa hanno bisogno di importare le nostre tecnologie per dare attuazione a un piano di ricostruzione che vale più di un trilione di dollari. Viceversa, le aziende europee necessitano di espandersi in mercati affidabili e stabili: la relazione è sinallagmatica. Tutti questi elementi rafforzeranno i rapporti commerciali tra Unione europea e Stati Uniti. Ecco perché è sbagliato vedere l’Ira come una minaccia alla nostra economia.

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