Il rapporto pone l’accento sulle relazioni tra Italia e Cina nell’ottica regionale mediterranea. Un approccio spesso ignorato dai media che preferiscono inquadrare le questioni estere cinesi nel quadro della competizione con gli Usa o concentrarsi sulle attività di influenza cinese in Italia
Qual è lo stato dell’arte dei rapporti tra Italia e Repubblica Popolare Cinese? E in particolare, come si può guardare alle relazioni tra i due nell’ottica strategica del Mar Mediterraneo? A queste domande prova a rispondere il report “China in the Mediterranean Region”, redatto dai sinologi Enrico Fardella e Andrea Ghiselli e pubblicato dalla piattaforma di ricerca ChinaMed.it.
Il 2022 è stato un anno in cui i media italiani si sono molto concentrati sul cambio di politica del nostro Paese nei confronti della Cina. Se l’amministrazione Draghi si era limitata a osteggiare l’influenza cinese senza pubblicizzarla eccessivamente, il nuovo governo di Giorgia Meloni ha assunto una posizione più forte.
L’attuale esecutivo è stato il primo a definire il memorandum sulle Nuove Vie della Seta – siglato dall’allora presidente Conte – “un grosso errore”. In campagna elettorale Meloni ha più volte denunciato le politiche di Pechino su Hong Kong, la repressione degli Uiguri nello Xinjiang e le minacce contro Taiwan.
Tuttavia, quando la presidente ha incontrato Xi Jinping in un bilaterale a margine del G20 di Bali lo scorso autunno, non è stata particolarmente aggressiva, ma si è essenzialmente concentrata sulle questioni commerciali tra i due Paesi. Inoltre, il neo-ambasciatore cinese a Roma, Jia Guide, è stato ricevuto dal Presidente Sergio Mattarella in persona. E non è chiaro se il Mou verrà riconfermato o meno, ma molti osservatori suggeriscono la prima opzione.
Ciononostante è certamente vero che diverse voci nel governo si sono espresse in maniera piuttosto netta sulla Repubblica Popolare. È il caso di citare il ministro dello sviluppo economico, Adolfo Urso, che ha sottolineato la necessità di evitare la dipendenza tecnologica ed economica dalla Cina. O il ministro della Difesa, Guido Crosetto, che ha accusato Pechino di neocolonialismo in Africa e nel Mediterraneo.
L’attivismo cinese nell’area mediterranea era presente anche nella Strategia di sicurezza e difesa dell’omonimo ministero e nella relazione annuale del Copasir. Entrambi documenti che sottolineavano la preoccupazione per il fatto che Pechino fosse ormai un attore consolidato sulle sponde meridionale ed orientale del Mediterraneo e che stesse sfruttando il parziale disimpegno statunitense.
Il report evidenzia come la presenza cinese nel Mediterraneo non riceva particolare spazio sui media italiani e, soprattutto, come venga quasi sempre inquadrata nell’ottica della competizione Usa-Cina e non attraverso una prospettiva regionale.
Analisti e giornalisti italiani sembrano invece molto concentrati sulle attività di influenza di Pechino nel nostro Paese. Gli articoli sui pericoli degli accordi tra media cinesi e testate italiane abbondano, così come quelli sulle attività degli istituti Confucio e sulle controverse stazioni di polizia cinese all’estero.
Anche gli investimenti cinesi sono un argomento trattato con una certa frequenza, soprattutto in relazione alle ricadute e ai rischi per i settori ad alta tecnologia e le infrastrutture strategiche. Ad esempio, il tentativo di Cosco di acquisire una quota del porto di Amburgo ha acceso anche in Italia un dibattito sull’ambizione cinese di controllare i porti italiani, nonostante la Cina abbia un interesse relativamente limitato.
Sempre a proposito di investimenti, il governo Draghi ha fatto abbondante uso del golden power, lo strumento che permette all’esecutivo di impedire acquisizioni o fusioni di entità che operano in determinati settori strategici. Tuttavia, questo non sembra aver impattato sugli investimenti diretti cinesi in Italia che hanno raggiunto i 3.4 miliardi di dollari nel 2021.
In ultimo, il report pone l’accento sul fatto che sono tendenzialmente i personaggi politici a proporre analisi sui temi sopra citati, mentre giornalisti e commentatori sembrano più interessati a seguire i rapporti cinesi a livello europeo o globale. Forse un sintomo del fatto che in Italia manca una consapevolezza di come la Repubblica Popolare sia un attore significativo nel nostro vicinato.