La missione di Lukashenko in Cina è un’altra occasione per Xi Jinping di presentarsi come paciere del conflitto in Ucraina. Per il campo atlantico è la conferma che Pechino aggirerà le sanzioni alla Russia passando per Minsk
La Cina vuole compiere sforzi per agevolare lo sviluppo della cooperazione con la Bielorussia. È quanto detto dal presidente del Comitato Permanente del Congresso nazionale del popolo, Li Zhanshu, durante l’incontro di mercoledì con il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko.
Nella giornata di ieri il leader di Minsk ha incontrato anche l’omologo cinese Xi Jinping. Durante il meeting i due hanno firmato una serie di accordi che potrebbero facilitare l’evasione delle sanzioni alla Russia, facendo transitare gli aiuti cinesi dalla Bielorussia.
Gli accordi prevedono una strategia per lo sviluppo industriale congiunto, cooperazione tecnico-scientifica e un memorandum d’intesa sugli investimenti cinesi in progetti comuni.
Ulteriore punto di interesse è che l’incontro abbia prodotto un’intesa per la “cooperazione nella difesa (…) e nella lotta contro le rivoluzioni colorate”. Con questa espressione si indicano le rivolte di massa che hanno caratterizzato molti Paesi dello spazio post-sovietico, tra cui l’Ucraina nel 2004-2005, e che hanno solitamente portato alla rimozione di leader giudicati come portatori di politiche di vicinanza al Cremlino. Secondo la narrativa russa, che la Cina ha spesso abbracciato, le rivoluzioni colorate sono state fomentate, quando non proprio create, dalle agenzie di intelligence statunitensi e britanniche per instaurare regimi favorevoli al campo occidentale.
L’incontro tra i due leader, poi, avviene nel contesto della crescente preoccupazione occidentale che Pechino possa rifornire Mosca di tecnologia critica per l’industria militare. Così facendo, ne sosterrebbe la campagna bellica in Ucraina e annullerebbe i tentativi di soffocamento dell’economia russa che la coalizione del G7 porta avanti dall’invasione.
Difficile pensare che questa visita possa dare slancio al ruolo di Pechino come paciere del conflitto, un ruolo evitato per un anno e poi messo sul tavolo una settimana fa con un documento di dodici punti.