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L’Occidente è vivo e il futuro passa dall’Europa centrale. Parla Poplawski

Di Giulia Gigante

Per l’analista del think tank polacco Centre for Eastern Studies (Osw), Bakhmut è la prova dell’incapacità russa di condurre una guerra su vasta scala, mentre la proposta di pace presentata dalla Cina si è rivelata una farsa. Il gruppo di Visegrad è spaccato, ma una volta finito il conflitto la regione sarà il baricentro della nuova politica europea. Nel frattempo, bisogna inasprire le sanzioni e dimostrare che chi viola il diritto internazionale ottiene solo danni

Konrad Popławski è un economista, già a capo del Central European Department del Centre for Eastern Studies (Osw), uno dei principali think tank polacchi. In passato ha coordinato la squadra di analisti internazionali che elaborano pareri per i ministeri dei paesi del Gruppo di Visegrad. A Formiche.net spiega il punto di vista polacco sull’evoluzione della guerra in Ucraina.

Il conflitto si acuisce di giorno in giorno. Dopo le dichiarazioni di Evgeny Prigozhin, fondatore del Gruppo Wagner, contro il Cremlino, Bakhmut potrebbe divenire la Waterloo russa?

È abbastanza chiaro che Bakhmut può rivelarsi una vittoria di Pirro. Per l’esercito russo, questa battaglia ha comportato una perdita di tempo e soprattutto di sodati. E ciò a riprova che Mosca è incapace di superare l’abile difesa ucraina e di attuare un’invasione su vasta scala. Nonostante la crudeltà e i metodi barbari messi in pratica dal Cremlino, la società ucraina dimostra ogni giorno la sua determinazione e la sua forza morale. Elementi indispensabili per continuare la resistenza.

Xi Jinping inasprisce le contro-sanzioni agli Stati Uniti e istituisce un’unica agenzia per controllare il flusso di dati che circolano all’interno e all’esterno della Cina. Il piano di pace ideato in 12 punti da Pechino è credibile? Qual è il ruolo della Cina all’interno del conflitto e cosa spera di ottenere in futuro?

Il piano di pace cinese sembra non rispettare il valore della missione per la quale è stato redatto. Certo, Pechino ha suscitato notevoli aspettative nell’opinione pubblica, tuttavia la proposta non può essere trattata seriamente poiché è satura di pregiudizi che rispecchiano la narrazione della propaganda russa. Da un lato, il governo cinese conferma il proprio ancoraggio al concetto di sovranità nazionale, dall’altro si rifiuta di esercitare una pressione significativa al fine di ottenere il ritiro delle truppe russe dall’Ucraina. La Cina lancia un appello per la cessazione delle ostilità attraverso il dialogo, eppure non riconosce la responsabilità di Mosca nell’invasione. Un’aggressione che non poggia su alcun tipo di provocazione.

Ritengo che il contenuto della risoluzione cinese abbia chiuso le porte a un dialogo sensato, per di più conduce a una conclusione molto semplice: Xi Jinping, di fatto, sostiene retoricamente Mosca e i suoi obiettivi revisionisti. Speriamo non oltrepassi la linea rossa della consegna di armi al Cremlino. Non bisogna sottovalutare il fatto che, in Europa, molti dubbi sono stati sollevati durante la fase pandemica. La Cina è un partner economico affidabile o forse dovremmo diminuire la nostra dipendenza dalle forniture di Pechino? In questo contesto di forte insicurezza internazionale, la posizione cinese assunta all’interno del conflitto russo-ucraino non migliora la reputazione di Pechino agli occhi dell’Unione Europea, anzi incoraggia gli stati membri a intraprendere un’azione più incisiva nel processo di diversificazione delle risorse.

Parliamo della postura del Gruppo di Visegrad verso la Russia. In futuro, quanto peseranno le crepe interne sullo scenario dell’Europa centro-orientale?

Direi che, in via generale, i paesi dell’Europa centro-orientale sono molto solidali con il popolo ucraino. Essendo i membri del V4 l’asse portante del fianco orientale della Nato, comprendono bene che da oltre un decennio l’imperialismo russo ha condotto un’aggressiva politica di espansione. Per questo, oggi, bisogna impedire alla Russia di raggiungere i suoi obiettivi politici e di violare ancora una volta il diritto internazionale. Anche la Bulgaria e la Slovacchia, paesi che storicamente hanno legami culturali molto stretti con Mosca, hanno deciso di fornire armi all’Ucraina. Inoltre, la Repubblica Ceca è stata uno dei primi paesi a inviare i carri armati, e gli Stati baltici, insieme alla Polonia, hanno scelto di incrementare la spesa militare.

L’Ungheria, invece, rappresenta un’eccezione. Budapest risulta ostaggio della cosiddetta “apertura ad Oriente”, e ritiene che questa politica porti grandi benefici all’economia ungherese. In tal senso, noi non vediamo alcun vantaggio. Bisogna sottolineare che l’Ungheria è diventata piuttosto dipendente dalle risorse energetiche russe, che spesso si riducono ad essere schemi di corruzione e minacce alla sicurezza nazionale, come dimostra la saga tedesca del Nord Stream 1 e 2. In realtà, dovrebbe verificarsi il contrario; in termini geografici, se Kiev dovesse vincere la guerra, l’Ungheria sarebbe il principale beneficiario di tale esito, in qualità di gateway per l’accesso ai paesi mediterranei. Diciamo che l’ambiguità della linea magiara, tesa alla diffidenza, non aiuta…

Può dirci qualcosa in più sul caso Pablo Gonzalez, giornalista spagnolo in carcere da oltre un anno? 

Purtroppo, non conosco i dettagli. So solo che, in Polonia, Gonzalez è sospettato di spionaggio.

Cosa ne sarà dell’Europa al termine della guerra? Ci saranno nuovi protagonisti (la Polonia, ad esempio, in veste di interlocutore privilegiato degli Usa) e nuove fazioni interne? Cambierà qualcosa nel suo rapporto e nel suo equilibrio con il mondo occidentale?

 Spero che la voce dell’Europa centrale si faccia sentire di più. La nostra regione ha saputo individuare gli obiettivi strategici di Mosca, e alcuni paesi come la Polonia o la Lituania si sono attrezzati per resistere al ricatto energetico di Putin. Quando molti centri di contatto con la Russia sono stati dissolti e archiviati come relitti della Guerra Fredda, nella regione si sono sviluppati vari think tank che analizzano la politica estera russa su base sistemica. La Russia diviene sempre più aggressiva non solo nella regione, ma anche in altre parti del mondo come la Siria o l’Africa, e per questo è stata premiata con nuove offerte di cooperazione. È sufficiente menzionare l’annuncio relativo alla costruzione del Nord Stream 2, avvenuto nel 2015, ergo un anno dopo l’invasione della Crimea e del Donbass. Nella fase post-bellica, la posizione politica ed economica assunta dall’Europa centrale sarà molto più forte. Speriamo che si verifichino le condizioni affinché l’Europa ritrovi la fiducia e la capacità di plasmare il mondo. Dobbiamo auspicare una nuova forma di autonomia dell’Ue, ma questa volta non contro Washington, bensì insieme.

Finora, per noi europei, cos’hanno significato le sanzioni contro Mosca?

Prima di tutto, esprimono la forza dell’Ue e dimostrano che i toni sulla morte dell’Occidente collettivo erano decisamente stonati. Le sanzioni sono state decisive e hanno scioccato Mosca. Questo indirizzo politico è un chiaro messaggio rivolto a chi intende stravolgere l’ordine internazionale. Tuttavia, le sanzioni sono ancora “un prodotto semicotto”. Bisogna lavorare non solo su nuove misure per affrontare l’economia russa, ma dobbiamo inasprire le sanzioni all’interno del Vecchio continente e spingere i paesi terzi ad allinearsi, magari attraverso il regime delle sanzioni secondarie introdotto dagli americani.  Vincere la guerra economica intrapresa con la Russia significa dimostrare che la violazione del diritto internazionale comporta gravi costi.  Non possiamo permettere alla Russia di eludere le sanzioni, di ricostruire le sue capacità militari e diffondere la sua propaganda non solo in Europa, ma anche nel Sud del mondo.

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