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Papa Francesco, il gesuita francescano raccontato da Milone

Di Massimo Enrico Milone

Il papa non perde occasione per riproporre, con forza, la figura e il messaggio del Poverello d’Assisi, San Francesco, esempio per eccellenza della cura per i deboli e per il vissuto di un’ecologia integrale. Pubblichiamo l’introduzione del volume “Da Francesco a Francesco. Dieci anni di un Pontificato innovatore”, Casa editrice Francescana di Assisi a firma di Massimo Enrico Milone, già direttore di Rai Vaticano

Tutto è cominciato il 13 marzo 2013. Al quinto scrutinio, il Conclave scelse, come successore di Benedetto XVI, dimessosi, un Cardinale che veniva «quasi dalla fine del mondo», come disse il neovescovo di Roma, annunciando di aver scelto come nome Francesco in onore del Poverello d’Assisi. Il Santo, il riformatore, il «fratello di tutti, di tutte e di tutto». A dieci anni di distanza, questo libro è una maniera per esprimere gratitudine per il ministero del Santo Padre.

Da allora ci sono state tre encicliche, cinque Sinodi, altrettante esortazioni apostoliche, quaranta viaggi internazionali, gesti profetici che fanno già parte della storia della Chiesa di Roma, come la preghiera in una desolata e struggente San Pietro nei giorni della pandemia, la volontà di operare riforme della Curia di Roma, l’impegno di lottare contro gli abusi sui minori, lo spazio alle donne nei luoghi di responsabilità. Tutto portato avanti con profonda umiltà, con la consapevolezza di essere il “servo dei servi di Dio”. E poi la preghiera, costante del Pontificato, dalla “sua” Santa Marta agli angoli più sperduti del mondo, come è avvenuto per il Giubileo a Bangui, in Africa. La preghiera che papa Francesco chiede alla fine di ogni incontro, di ogni discorso, di ogni saluto, di ogni relazione umana. Ai potenti della terra e alla gente comune.

Ho raccontato e fatto raccontare papa Francesco in questi anni. Arrivai a Rai Vaticano la sera delle dimissioni di papa Ratzinger, l’11 febbraio 2013. All’indomani, per la Rai, affrontai il tempo, non facile, dei due Papi, emerito e regnante, del Conclave, dell’elezione di Francesco. E, poi, dieci anni di un Pontificato straordinario.

La rivista San Francesco Patrono d’Italia è stata mensilmente il mio block notes, la mia agenda, il mio spazio di riflessione su ciò che accadeva nel mondo, alla luce del Magistero pontificio.

Tutto è cominciato il 13 marzo 2013, quando Jorge Mario Bergoglio, gesuita argentino con sangue italiano, scelse di chiamarsi Francesco, collegandosi alla figura di un Santo, per dirla con Martin Buber, che aveva il rapporto diretto “io e tu” con la natura e con tutte le persone. Ed è stata questa l’essenza spirituale, credo, che ha ispirato Bergoglio da sempre. Nel suo sacerdozio, nel suo essere Arcivescovo e poi Cardinale e, oggi, Pontefice. L’ha espressa profondamente in tutti questi anni. L’enciclica Fratelli tutti suggella tale rotta.

Cosa significa? Il percorso di vita di una persona può manifestare, per papa Francesco, quel tipo di fede che serve il Creatore e tutto il creato. Il profeta Isaia afferma che «quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi». Così il cammino non facile di papa Francesco, sin dall’inizio all’ombra del Santo di Assisi, prende forza col nascere di ogni giorno. Con una certezza. Il Vangelo, piaccia o meno, pone al centro i poveri. E la presenza per sei volte ad Assisi, nella terra del più povero tra i poveri, ha scandito i momenti solenni del suo Pontificato, facendone la capitale di un nuovo umanesimo costruito dal basso. Penso, tra l’altro, alla firma sulla tomba di San Francesco della Fratelli tutti, ai forum mondiali sull’economia del futuro, all’abbraccio simbolico ai poveri della terra all’ombra della Porziuncola.

Papa Francesco, insomma, non perde occasione per riproporre, con forza, la figura e il messaggio del Poverello, esempio per eccellenza della cura per i deboli e per il vissuto di un’ecologia integrale. E poi c’è Assisi, più che mai, icona di pace.

La rivista San Francesco Patrono d’Italia, la storicizzazione, mese dopo mese, delle scelte del Pontificato. Con i quattro verbi che il successore di Pietro, da Assisi, ha consegnato al mondo. Rianimare, rivedere, rispondere, riparare. Antiche e nuove fratture, aperte anche dalla pandemia, interrogano il nostro Paese. È il tempo, per papa Francesco, di fare fraternità e condivisione. Anche con chi non crede. È la politica dell’umano che fa proprio lo sguardo del Samaritano. E la terra di san Francesco, il suo intatto carisma universale, la potenza semplice del francescanesimo sono il motore dell’azione del Pontefice che chiede al mondo di agire per “riparare” la vita di migliaia di persone, che in un’epoca di divisione e disperazione si trovano a lottare contro diverse forme di povertà.

Ai francescani ha dato un mandato chiaro, papa Francesco. «Non dimenticatevi dei poveri, che sono la carne di Cristo». Riecheggiano in queste parole le ore del Conclave, quando così, a Bergoglio, si rivolse il cardinale brasiliano Claudio Hummes, francescano, ricordandogli di non dimenticarsi dei poveri. E, per far questo, occorreva assumere il Vangelo come forma e regola di vita. Ecco la rivoluzione e la straordinarietà del Pontificato. Poi viene il resto. Le relazioni umane, l’impegno sociale e politico, le riforme. Insomma, la “macchina” che serve indubbiamente alla Chiesa.

La diversità di papa Francesco resta sempre la scelta tra Vangelo e non Vangelo. E se la conversione di Francesco d’Assisi è iniziata dall’incontro con i lebbrosi e da un gesto di misericordia, i gesti e le scelte di papa Francesco, e il suo stesso motto episcopale, ci hanno mostrato da subito un’attenzione evangelica, tutta particolare, agli scartati. Tutto è racchiuso nel brano evangelico in cui Cristo si identifica nel povero e nel bisognoso, che sono i suoi «fratelli più piccoli». È Matteo a parlare e papa Francesco segue le orme di Cristo. E in tutti questi anni, dai gesti, dagli incontri, dagli scritti, la spiritualità francescana, ossia il ritorno al Vangelo e del Vangelo come regola di vita da trasmettere prima con la testimonianza della vita e poi anche con l’annuncio, caratterizzano l’operato del Papa, che, nella Laudato si’ e poi nella Fratelli tutti, fa propri i temi della cura per le creature e della fraternità, proponendoli a chi crede e a chi non crede.

È tutto qui, penso, il senso dell’essere francescano di papa Francesco. Il Papa gesuita che ai francescani dice (riuniti in capitolo generale): «Vi incoraggio ad andare incontro agli uomini e alle donne che soffrono nell’anima e nel corpo per offrire la vostra presenza umile e fraterna, senza grandi discorsi, ma facendo sentire la vostra vicinanza di fratelli minori. Ad andare verso una creazione ferita, la nostra casa comune che soffre di uno sfruttamento distorto dei beni della terra per l’arricchimento di pochi, mentre si creano condizioni di miseria per molti. Ad andare come uomini di dialogo, cercando di costruire ponti al posto dei muri, offrendo il dono della fraternità e dell’amicizia sociale, in un mondo che stenta a trovare la rotta di un progetto comune. Ad andare come uomini di pace e riconciliazione, invitando coloro che seminano odio, divisione e violenza alla conversione del cuore e offrendo alle vittime la speranza che nasce dalla verità, dalla giustizia e dal perdono».

Un mandato imponente. Ancor più in una società alle prese con le fratture provocate dalla pandemia. Le nuove diseguaglianze, le nuovi solitudini, le nuove disperazioni. Ma anche le nuove speranze. Tutto ciò, mese dopo mese, con grande profondità d’analisi, racconta la rivista San Francesco Patrono d’Italia. Lo fa da cento anni. E gli articoli che vi riproponiamo sono solo un umile apporto a una riflessione antica.

È possibile annunciare la fratellanza, quella del Vangelo di Cristo? È possibile ascoltare la voce di Dio, del povero, del malato, della natura, trasformando tutto ciò in uno stile di vita?

Sulle orme di San Francesco ci incamminiamo con papa Francesco, con la consapevolezza che mettendo insieme tutti i volti, anche feriti, dell’umanità si può vincere la pandemia, si possono sconfiggere le guerre, limitare la povertà, arginare i cambiamenti climatici, dialogare tra diversi. Questo periodo della storia ci ha tolto forse la bellezza dello stare insieme, ma ci ha ancor più radicati nella convinzione che nessun uomo si salva da solo. E leggendo e rileggendo le pagine di una rivista ormai storica, siamo certi che sia possibile costruire, insieme, un mondo diverso.

Incorniciata tra le figure dei santi Francesco d’Assisi e Charles de Foucauld, nell’enciclica Fratelli tutti, firmata ad Assisi, c’è scritto: «Di fronte a diversi modi attuali di eliminare o ignorare gli altri, siamo in grado di reagire con un nuovo sogno di fraternità e amicizia sociale che non si limiti alle parole. Pur avendola scritta a partire dalle mie convinzioni cristiane che mi animano e mi nutrono, ho cercato di farlo in modo che la riflessione si apra al dialogo con tutte le persone di buona volontà».

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