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Parità che genera. L’inclusione vantaggiosa raccontata alla Camera

L’equilibrio di genere è un obiettivo ancora lontano, eppure aumentano le donne manager nell’impresa e sia il governo che l’opposizione sono a trazione femminile. L’evento organizzato dall’onorevole Elena Bonetti, in collaborazione con Comin & Partners, evidenzia i primi spiragli di luce in materia di parità

C’è una breccia nel famoso tetto di cristallo. Il nostro primo ministro e la leader del primo partito all’opposizione sono donne, eppure la percentuale femminile di seggi in Parlamento si è abbassata al 31%, segnando il primo calo in 20 anni. Nel settore privato si riscontra una situazione simile.

L’ultima analisi di Manageritalia dimostra che il numero di donne manager cresce del 13,5% (rispetto al 3,6% degli uomini), ma persistono dei rallentamenti nella carriere femminili, legati, per esempio, al congedo di maternità e al cosiddetto “gradino rotto”, ossia lo svantaggio sperimentato dalle professioniste, rispetto ai colleghi, negli scatti di carriera verso i vertici. Non è un tema di leadership, dunque, ma una necessità di strumenti concreti per incentivare sviluppi professionali fluidi e paritari.

Su questi temi si è concentrato “Parità che genera. L’importanza della parità di genere nelle imprese e in politica a 75 anni dall’entrata delle donne in parlamento”, l’evento organizzato da Elena Bonetti e da Elena Di Giovanni, vicepresidente e co-fondatrice di Comin & Partners, che si è svolto ieri presso la Biblioteca della Camera dei Deputati.

Certificare genera un vantaggio competitivo. L’intervento del ministro Calderone

I benefici legati alla parità di genere sono numerosi e tracciabili. Il percorso di certificazione nell’impresa, che ha una durata media tra i 6 e gli 8 mesi, dà diritto a una decontribuzione il cui massimale raggiunge i 50 mila euro (dati Accredia). Non solo, secondo il Diversity Brand Index, le imprese certificate fatturano il 23% in più. Inoltre, incentivare l’equilibrio di genere garantisce una serie di vantaggi intangibili, tra i quali la spinta all’innovazione e una crescita della reputazione nel mercato. La parità di genere rappresenta un pilastro della declinazione di sostenibilità sociale. Ce lo ricorda l’Onu, che pone come quinto tra gli obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile le pari opportunità tra donne e uomini nello sviluppo economico, l’eliminazione di tutte le forme di violenza nei confronti di donne e ragazze e l’uguaglianza di diritti a tutti i livelli di partecipazione. È elemento trasversale nel Pnrr, costruito con una prospettiva di genere. È sotto l’attenzione degli investitori, che sempre più guardano agli obiettivi ESG e alla Gender Equality nelle imprese. Il migliore augurio – e obiettivo – che possiamo regalare alla società è quello di operare affinché  sia possibile superare o eliminare gli ostacoli che si frappongono alla reale partecipazione delle donne alla vita del Paese”, ha dichiarato Marina Elvira Calderone, ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, intervenuta da remoto al convegno.

Le buone pratiche dall’impresa e dal pubblico. Serve tempo ma i risultati fanno la differenza

Dare voce ad esperienze concrete aiuta a sensibilizzare l’opinione pubblica sul fatto che l’inclusione conviene e può essere implementata. “La certificazione della parità di genere è  proprio creata per attestare le politiche e le misure concrete adottate al fine di ridurre il divario di genere in relazione alla parità salariale, di gestire e valorizzare le differenze e di tutelare la maternità”, ha riportato Fulvia Astolfi, avvocata e co-fondatrice Obiettivo Cinque. E ha proseguito: “Tutti i percorsi di sostenibilità hanno bisogno di coraggio, pazienza e tempo. Anche la certificazione per la parità di genere non fa eccezione e rappresenta uno strumento virtuoso in grado non solo di aumentare la brand awareness o la talent acquisition delle imprese ma consente soprattutto di fare un cambio di direzione in termini di civiltà, dando valore alle persone e alle donne”.

Banca Ifis, ad esempio, è la prima banca italiana ad aver ottenuto la certificazione per la parità di genere dal Winning Women Institute. L’istituto, da sempre convinto che l’ascolto delle esigenze delle persone rappresenti la base di partenza per valorizzare le potenzialità di ciascuno, lavora quotidianamente per implementare politiche di conciliazione vita-lavoro che comprendano un sistema di congedi parentali, flessibilità di orario e meccanismi di attivazione del part-time o dello smart-working che oggi viene adottato in maniera estensiva.

Anche Philip Morris ha deciso di intervenire con decisione in favore dell’equilibrio di genere, rivolgendosi a un ente terzo per certificare la parità salariale. “Siamo stati la prima azienda italiana ad aver ricevuto la certificazione equal salary, confermando il nostro impegno per sostenere le pari opportunità nel tempo”, ha affermato Eleonora Santi, direttrice External Affairs Philip Morris Italia.

Non solo il settore privato, anche il pubblico riconosce l’importanza di certificare. Monica Lucarelli, assessora alle Politiche della Sicurezza, Attività Produttive e Pari Opportunità Comune di Roma, ha portato l’esperienza del Comune di Roma che ha da poco intrapreso il percorso della Certificazione.

Includere e certificarlo, dunque, conviene. Per questo è necessario che le istituzioni dotino il privato di strumenti utili a stimolare un maggior equilibrio tra i generi, a vantaggio del Sistema Paese.

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