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Politica estera, ecco la prova del nuovo Pd secondo De Tomaso

Se la situazione di belligeranza dovesse protrarsi nel tempo, non è escluso che anche le alleanze di governo, in ogni Stato nazionale, siano stabilite innanzitutto in virtù delle convergenze di opinioni sulle vicende e sulle crisi internazionali. Il discorso non vale solo per Schlein…

Che la politica estera avrebbe guadagnato posizioni nella gerarchia delle priorità nazionali, non soltanto in Italia, era palese già qualche anno fa, quando i focolai di guerra e l’irruzione di nuovi protagonisti sullo scenario planetario avevano iniziato a scombussolare lo status quo formatosi dopo la caduta del Muro di Berlino. Ma che la politica estera avrebbe addirittura condizionato le dinamiche e i rapporti di forza interni a ciascun partito politico, forse non lo avrebbe previsto neppure il più immaginifico tra i maghi. Invece, già da un pezzo, specie in Italia, la politica estera va monopolizzando, giorno dopo giorno, discussioni e scontri tra e nei partiti, roba andata in onda solo nell’immediato dopoguerra, quando la sfida di sistema tra Usa ed Urss imponeva a tutti gli altri Paesi la necessità di schierarsi, anche a quei governi che pure facevano diuturna professione di neutralità.

Cessata la guerra fredda, ha preso il sopravvento la politica interna, con tutti i suoi pezzi (economia, energia, informazione, giustizia eccetera) del mosaico. Ora, soprattutto, dall’inizio dell’attacco militare all’Ucraina, il pendolo si è riposizionato stabilmente sul primato della politica estera, fino al punto da renderla decisiva per la compattezza di un singolo partito, oltre che di un’intera coalizione. In breve: sono pochissimi gli osservatori della politica italiana disposti a scommettere un euro sulla spaccatura del Partito democratico dopo la vittoria di Elly Schlein alle primarie di domenica scorsa. Quasi tutti osservano che la novità rappresentata dalla giovane vincitrice è incontestabile e si farà sentire, ma quasi tutti assicurano che la discontinuità della scelta fatta ai gazebo non provocherà fughe e scissioni. A meno che, riflettono ad alta voce i più, la nuova leader del Pd non dovesse cambiare linea sulla guerra scatenata da Vladimir Putin. In questo caso, solo in questo caso, ipotizzano in parecchi, si registrerebbero gli addii al Pd da parte di alcuni esponenti dell’area riformista, ex renziana. Ma, pronosticano i bene informati, la Schlein si guarderà bene dal modificare o, addirittura, dal rovesciare la posizione dichiaratamente filo-ucraina portata avanti fino a pochi giorni fa da Enrico Letta. Non cambierà strada, la Schlein, anche o soprattutto, per evitare crepe e scossoni nel fortino del Nazareno dove si è appena insediata. Il che, qualunque sarà l’orientamento della segretaria Pd sul conflitto russo-ucraino, la dice lunga sull’importanza estrema che riveste la politica estera sullo scacchiere delle mosse e delle decisioni nazionali.

Per certi versi, lo scenario odierno è persino più delicato e complicato rispetto a quello ereditato da Alcide De Gasperi (1881-1954) e colleghi al termine della seconda guerra mondiale. A quei tempi la scelta delle alleanze era binaria, cioè semplice: o con Washington o con Mosca. Oggi, la scelta, nell’Europa non ancora unita politicamente, è come minimo tripolare, cioè complessa: o con Washington, o con Mosca, o con Pechino. Né deve trarre in inganno l’idillio tra Cina e Russia. I cinesi, si sa, sono proverbialmente maestri nell’arte della dissimulazione. I loro interessi hanno la precedenza su tutto e se, per tutelarli, si rende necessario dichiarare il contrario di quello che si pensa, non ci sono remore o freni che tengano. Non insegnava lo spregiudicato duca di Talleyrand (1754-1838) che gli interessi di un Paese sono stabili mentre le alleanze sono instabili? Non spiegava il mefistofelico Josif Stalin (1878-1953) che una diplomazia sincera è più rara dell’acqua asciutta o del ferro di legno? Ecco, i cinesi conoscono a memoria questi concetti.  Ma anche gli altri protagonisti della scena globale farebbero bene a tenere sempre a mente queste “lezioni” specie nei rapporti con gli stati dispotici, sovente adusi a cambiare le carte in tavola e ad alternare menzogna e durezza sulla base delle circostanze (e convenienze). La qual cosa fa della politica estera una materia da maneggiare con meticolosa cura, facendo attenzione a non sbagliare, a non tradire l’interesse generale di una comunità.

Premessa. Fare pronostici è metà da incoscienti metà da ingenui. Ma se la situazione di belligeranza, che tuttora coinvolge in tutto il mondo, direttamente e indirettamente, vaste aree continentali, dovesse protrarsi nel tempo, non è escluso che anche le alleanze di governo, in ogni stato nazionale, siano stabilite, in futuro, innanzitutto in virtù delle convergenze di opinioni sulle vicende e sulle crisi internazionali che, a loro volta, trascinano le questioni economiche interne e internazionali (vedi, in Italia, nel caso della Cina, la linea da adottare sul progetto della Via della Seta e sulla diffusione delle (invasive) tecnologie asiatiche). Altro che prevalenza della politica interna, delle affinità sui problemi del cortile domestico. Del resto, non potrebbe essere diversamente. Come si potrebbe restare a lungo insieme in una coalizione di governo se le difformità di vedute su una guerra in corso – che è quanto di più drammatico possa affrontare una classe al potere – dovessero risultare più irrecuperabili delle liti tra tifoserie ultrà? Logico che prima o poi si farebbero le pratiche di divorzio, come Totti e Ilary.

Ecco perché la politica estera è destinata a trasformarsi nel principale fattore di unione o disunione di un partito o di un’alleanza. Ora il test riguarda il Pd di Elly Schlein. Domani potrà riguardare tutti gli altri, gruppi e sodalizi vari. E siccome, per rimanere nella stretta attualità, oggi non è in ballo solo la sorte dell’Ucraina, bensì quella dell’intera Europa, buonsenso vorrebbe che partiti e coalizioni non lo dimenticassero mai, quando sono chiamati a prendere decisioni che riguardano l’avvenire di ciascuno di noi. A cominciare, appunto, dalle decisioni, sperabilmente sempre a favore delle libertà, sulla politica estera.


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