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Così Putin e Xi vogliono creare un nuovo ordine energetico. Parla Sassi

Xi Putin

Tra Mosca e Pechino ci sono ampie convergenze su energia e politica. Mentre la Russia cerca di aggirare le sanzioni e preservare lo status di potenza esportatrice, la Cina riflette su equilibri internazionali e sicurezza energetica, ed entrambe guardano al Sud globale. L’esperto di geopolitica energetica mappa risorse, strategie e la relazione tra le autocrazie

Per una potenza energetica come la Russia, le esportazioni di idrocarburi e la diplomazia vanno di pari passo. C’erano diversi dossier energetici sul tavolo durante la visita di Xi Jinping a Vladimir Putin, che ha rinsaldato l’asse Mosca-Pechino e rimarcato la volontà delle due autocrazie di diventare il riferimento del Sud globale. Cosa comporta questa entente sul versante energetico, diplomatico e politico? Abbiamo raggiunto Francesco Sassi, research fellow in geopolitica e mercati energetici presso Rie, per una conversazione a tutto tondo.

In molti si aspettavano che la visita di Xi a Mosca sancisse l’apertura ufficiale del progetto per costruire il gasdotto Power of Siberia 2. Aspettativa disattesa. 

Non sono sorpreso. L’attenzione della stampa occidentale sulle tempistiche di questo accordo deriva in gran parte dalla “scottatura” dell’Europa occidentale dovuta alla rottura dell’interdipendenza con la Russia, soprattutto nel settore del gas. Dico questo perché le negoziazioni per realizzare il già esistente Power of Siberia (che oggi macina record continui di esportazione) sono durate dalla caduta del Muro di Berlino fino alla sigla degli accordi nel 2014. Parliamo di opere dai costi e dai tempi faraonici. Argomento non di facile discussione in un momento come quello attuale, segnato dall’incapacità globale di figurarsi quale sarà l’equilibrio dei mercati energetici. Non solo nei prossimi sei mesi, ma nei prossimi 5, 10, 20 anni.

E come legge la relazione odierna tra Cina e Russia, per quanto riguarda l’energia?

Consideriamo che se venisse concordata un’opera come Power of Siberia 2 rimarrebbe in piedi per decenni e caratterizzerebbe l’interdipendenza energetica tra i due Paesi, che sono fondamentali tanto per i mercati energetici quanto per l’ordine internazionale. In questo intreccio di energia e relazioni, il solo fatto che i russi abbiano descritto la trattativa come in avanzamento – e soprattutto che abbiano fatto intendere che ci siano anche accordi per progetti relativi al gas naturale liquefatto – ci dice che la Russia sta cercando di raggiungere un coinvolgimento ancora maggiore da parte della Cina. Possibilmente questo implica anche l’ingresso di compagnie cinesi nell’upstream russo (le fasi precedenti alla distribuzione del gas, ndr). Questo sarebbe il vero cambio di prospettiva rispetto al passato, perché gli stessi russi non avevano ancora lasciato le porte aperte in quell’ambito.

Sarebbe possibile costruire le infrastrutture in questione senza tecnologie occidentali?

Le compagnie russe non hanno grossi problemi nel costruire un gasdotto come Power of Siberia 2: hanno accesso alle materie prime e anzi c’è interesse a riaccendere la produzione interna di materie destinate agli stessi gasdotti. Invece la costruzione di impianti di esportazione del gnl sarebbe più problematica, perché la tecnologia è largamente di derivazione occidentale e per creare un impianto su larga scala servono le aziende occidentali che non operano più in Russia. Il problema è molto reale per Gazprom e Novatek, la sua concorrente più diretta. Nemmeno i cinesi dispongono del know-how necessario, ma è possibile che diventino utili per triangolazioni di diverso tipo, facilitando l’importazione russa di tecnologie che negli anni possono essere adattate alla realtà industriale del Paese.

Dunque è escluso che la Russia possa espandere la propria capacità di esportazione di gnl?

No, anzi: i russi sono in grado di costruire impianti gnl di medio tonnellaggio. E qui la cooperazione con la Cina può diventare molto fruttuosa, perché questi terminal di esportazione sono essenziali per globalizzare i mercati energetici (rendendo possibile il trasporto del gas naturale via mare, ndr). In quest’ambito si aprono prospettive ghiotte verso l’Africa: Pechino e Mosca potrebbero sviluppare tecnologie da esportare in quei Paesi emergenti che vorrebbero diventare esportatori di Gnl e che al momento possono rivolgersi solo ad aziende occidentali come Shell o Bp. Un passo del genere farebbe guadagnare molto sia alla Cina che alla Russia, anche in prospettiva politica.

Ci sono stati segnali in tal senso durante la visita di Xi?

È emerso che Gazprom avrebbe invitato le aziende cinesi a lavorare assieme alle proprie consociate per costruire un impianto di liquefazione ed esportazione nel mar Baltico, quello di Ust-Luga, già in corso d’opera ma in difficoltà per via delle sanzioni. Una volta completato, questo impianto dovrebbe esportare gnl proprio verso i mercati dell’Europa occidentale. Se i cinesi dovessero entrare nel progetto a livello ingegneristico, e le compagnie dovessero esportare le proprie tecnologie, potremmo vedere in futuro la comparsa di gas russo importato in Ue anche grazie alla collaborazione di compagnie cinesi, che andrebbero a guadagnare un lauto compenso dalle vastissime riserve di gas russe che al momento non sono sfruttate per via del deterioramento dei rapporti con l’Europa.

Insomma, prevede che Mosca diventi il principale partner energetico di Pechino?

Non è una proiezione, è già realtà. La Cina è appena diventata il principale importatore di petrolio russo, in parte per via della guerra in Ucraina e le sanzioni, in parte perché Mosca sta costruendo il ponte verso oriente da due decenni. Gli esportatori di idrocarburi guardano al mercato cinese perché è stato quello che più si è espanso negli ultimi due decenni. Nel 2022 abbiamo visto il primo calo della domanda cinese di gas naturale dal 1982. Al contempo, tutti i Paesi stanno guardando al loro interno per impostare e plasmare la transizione, e ridefiniscono ruoli, aspetti e caratteristiche delle politiche e strategie energetiche. Avviene anche in Cina, dove l’equilibrio verrebbe certamente influenzato da un progetto mastodontico come Power of Siberia 2.

E Pechino potrebbe avere remore a legarsi ancora di più alla Russia?

Oggi, ancora più di ieri, è evidente come la dipendenza eccessiva da un Paese sia un problema che trasla facilmente dal piano energetico a quello politico. La Cina è dipendente dalle importazioni di energia: alla leadership cinese è chiaro dagli anni Novanta che questo è il vero tallone d’Achille della sicurezza nazionale. La fragilità si risolve guardando a più Paesi esportatori per sviluppare una strategia a prova di possibili ritorsioni; un tema a cui Pechino è sensibile, parallelamente a come si vuole presentare come attore affidabile e dialogante sulla scena globale. È significativo che i cinesi importino sempre più gnl statunitense, cosa che influisce sull’equilibrio geopolitico tra Washington e Pechino. Ma la Cina può ridurre la propria dipendenza dagli Usa, così come ha fatto durante le guerre commerciali della presidenza Trump, e l’asse Pechino-Mosca si rinsalderebbe come conseguenza.

Ha citato il petrolio, l’altra grande esportazione russa oltre al gas naturale. Le sanzioni stanno impattando la vendita di greggio russo, ma i Paesi non occidentali aumentano le importazioni. Può fare una radiografia dell’attività di Mosca?

Dal punto di vista internazionale e diplomatico, l’interesse principale della Russia è proporsi ai Paesi importatori non occidentali come una potenza capace di continuare a esportare idrocarburi e raffinati nonostante le sanzioni. Fa parte della narrazione del Cremlino, che vuole mantenere lo status di superpotenza energetica globale. Questa immagine è stata scalfita dalle conseguenze della guerra in Ucraina, ma la posizione della Russia nell’Opec+ ne è uscita rafforzata, al contrario dell’influenza statunitense. D’altra parte si vede come i Paesi e il cartello guardino sempre più a oriente per raggiungere altri equilibri regionali. In quel contesto il recente accordo tra Iran e Arabia Saudita, facilitato dalla Cina, dà la possibilità alla Russia di mantenere quel ruolo nel futuro: è un polo alternativo a quello di Washington per giocare una partita globale.

Dal punto di vista logistico, invece?

Le infrastrutture russe per esportare petrolio verso altri mercati non sono assolutamente sufficienti. Ma la Russia ha avuto mesi per prepararsi all’arrivo delle sanzioni: si è dotata di una flotta ombra e lavora per portare il petrolio dai porti sul mar Baltico, costruiti per esportare verso l’Europa, in mercati molto più lontani, che impegnano le navi per il doppio o anche il quadruplo del tempo. È un dato di fatto che attraverso la flotta ombra e un coordinamento molto più forte tra Stato e industria il Cremlino sia riuscito a organizzare una costosissima catena logistica che gli permette di mantenere alti i livelli di produzione e vendita. Chiaramente la possibilità di continuare a farlo diventa indispensabile nel momento in cui Mosca vuole continuare a disporre di risorse economiche per alimentare la propria campagna bellica in Ucraina.

Le sanzioni funzionano?

Sono state pensate per mantenere il petrolio russo sui mercati ma ridurre le capacità finanziarie del Cremlino. Per ora stanno funzionando come previsto: la Russia ha tagliato solo una frazione della propria produzione e i proventi sono diminuiti. Tuttavia, più tempo si dà al Paese per riorganizzare la logistica e più sarà facile che riesca ad adeguarsi e aumentare i guadagni, anche in vista della continua instabilità dei mercati e dell’industria. Lo dicono le stesse autorità russe, che hanno riorganizzato i ruoli statali legati alla regolamentazione dell’intera industria degli idrocarburi e sono intenzionate a cambiare il regime fiscale affinché il Cremlino guadagni di più, anche secondo le attuali condizioni di mercato. E ora l’export di petrolio russo guarda sempre meno verso l’Ue e più verso Asia, Medioriente e Africa: per Mosca ora è indispensabile catturare questi guadagni per alimentare la propria capacità bellica e deve tentare di “parlare” a quei mercati.

Infine, cosa ci può dire dell’uranio e delle tecnologie per la generazione di energia nucleare, che la Russia continua a esportare anche in Ue?

A livello economico, al pari del carbone, l’uranio non è importante come gli idrocarburi. Ma dal punto di vista tecnologico e diplomatico il know-how della Russia rimane una potenza a livello globale: probabilmente al momento non ha rivali per quanto concerne la costruzione di reattori ed export della tecnologia. In questo campo il Cremlino vanta un’immensa esperienza e può utilizzare i contatti diplomatici per esportare i modelli di reattori russi, cosa che assicura partnership più forti. Mosca è il principale partner in campo nucleare della Cina: uno degli accordi siglati da Xi e Putin riguarda il rafforzamento della cooperazione in questo ambito. Ma ci sono reattori russi in costruzione anche in Turchia, in Medioriente, nel Sud asiatico e in prospettiva anche nel Sudest.

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