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L’economia russa non è crollata ma il futuro è incerto

Un grande surplus commerciale dato dagli alti prezzi dell’energia, una forte azione governativa a sostegno dell’economia, paradossi creatisi a seguito delle sanzioni sull’import. Ma il futuro non è roseo, soprattutto dopo le misure sanzionatorie sull’export del dicembre 2022 e febbraio 2023

Durante il discorso alla Nazione di martedì il presidente russo Vladimir Putin ha affermato che l’economia del Paese “va alla grande”. È davvero così? Perché le sanzioni non hanno stritolato l’economia russa? E dunque quali strumenti sarebbero adatti per limitare la macchina da guerra di Mosca mentre prosegue la sua aggressione all’Ucraina? Proviamo a fare chiarezza riprendendo uno studio di recente pubblicazione del professor Oleg Itskhoki, docente di economia presso la prestigiosa University of California Los Angeles.

Per essere chiari, l’economia russa non va “alla grande”. La contrazione del Pil alla fine del 2022 è stata di circa il 3% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, è un risultato molto migliore di quello che numerosi esperti, inclusi gli stessi funzionari russi del ministero delle Finanze e della Banca Centrale, avevano previsto: una drastica diminuzione dell’8-12%. Inoltre, piuttosto che una crisi improvvisa – cosa che a marzo 2022 sembrava possibile – la Russia ha vissuto e vive un graduale declino e stagnazione.

In sintesi, l’esperto identifica tre elementi che concorrono a spiegare il mancato crollo: un grosso surplus commerciale combinato a forti entrate dell’export; una forte azione governativa a sostegno dell’economia; un bilanciamento involontario tra le sanzioni finanziarie e quelle commerciali. Vediamoli uno per uno.

Surplus commerciale

Già nel 2021 era possibile osservare un significativo surplus commerciale, dovuto principalmente all’aumento dei prezzi dell’energia a causa della ripresa post-pandemica. Dal marzo 2022 – subito dopo l’invasione – la Russia si è ritrovata da un lato con le importazioni dimezzate a causa delle sanzioni (che non hanno mai colpito l’export fino a quelle sul petrolio nel dicembre 2022), ma dall’altro con rendite enormi vista l’impennata dei prezzi dell’energia. Secondo i dati del 2022, l’avanzo della bilancia commerciale rappresenta più del 10% del Pil. Si tratta di un valore superiore a quello registrato in Cina al culmine della crescita delle esportazioni a metà degli anni 2000.

Una crisi si verifica tipicamente in condizioni di deficit commerciale, che solitamente si somma a una fuga di capitali: entrambe condizioni non verificatesi in Russia. Questa condizione peculiare ha fatto sì che Mosca non dovesse ricorrere a politiche di austerità. Al contrario, l’impossibilità di acquistare molti beni di importazione ha massimizzato gli effetti positivi dei flussi di valuta estera provenienti dalle esportazioni. Da questo punto l’analisi deduce che sanzioni finanziarie e sulle importazioni non siano sufficienti a bloccare un’economia nel breve periodo. Al limite, stanno lentamente riducendo il potenziale produttivo russo.

Intervento governativo

Molte persone si sono chieste perché non ci sia stata una valanga di fallimenti aziendali e conseguenti licenziamenti. In effetti parecchie imprese hanno dovuto ridurre di molto i livelli di produzione, anche dell’80% nel caso del settore metalmeccanico, ma non si è assistito a una crisi generalizzata. I motivi sono molteplici.

In primo luogo, il governo ha elargito sussidi con grande generosità sia alle aziende sia agli individui, attingendo direttamente all’abbondante bilancio statale. In secondo luogo, le restrizioni sull’import hanno creato una situazione paradossale: l’impossibilità di acquistare beni e servizi esteri ha stimolato la domanda interna in diversi settori, con industrie che sono riuscite a crescere proprio grazie a questo fenomeno.

Oltretutto, le crisi classiche nascono solitamente in un clima di insicurezza economica, con gli individui più propensi al risparmio (o alla sopravvivenza) che al consumo. In Russia non si è verificato nulla di tutto ciò e non sono stati registrati cali della domanda. Lo studio sostiene, inoltre, che nel lungo periodo le importazioni caleranno ulteriormente, non come risultato delle sanzioni, ma come risultato dei diminuiti introiti dall’export.

Politica monetaria

In sintesi, in seguito alle sanzioni finanziarie il sistema bancario russo è stato fondamentalmente tagliato fuori dal mercato internazionale e gli investitori stranieri non possono più investire in attività denominate in rubli. Questo fatto ha paradossalmente protetto la Russia da shock speculativi che sicuramente sarebbero avvenuti in previsione delle sanzioni sull’export del dicembre 2022 e febbraio 2023.

Questo panorama fa sì che i tassi di cambio siano attualmente determinati soprattutto dalla bilancia commerciale, oltre al fatto che – ripetiamo – l’afflusso di valuta estera continua a generare surplus. Inoltre la domanda interna sia di valuta estera sia di rubli è ancora presente e le restrizioni interne introdotte in primavera sono state essenzialmente eliminate. Con il tempo e l’introduzione di nuove sanzioni si assisterà a una svalutazione del rublo.

Futuro

La situazione macroeconomica russa nel 2023 sarà molto diversa dall’anno precedente. Se il 2022 è stato l’anno delle sanzioni sull’import e della modifica delle catene di approvvigionamento, il 2023 vedrà una riduzione dei ricavi dall’export a causa delle nuove misure sanzionatorie con tutte le necessarie conseguenze. Inoltre, è probabile che si assisterà a una svalutazione del rublo, un calo del flusso di capitali in entrata e crescenti problemi di finanziamento dell’economia, sia in termini bancari sia produttivi.


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