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Perché scrivere un romanzo rock ambientato a Piombino. Lo spiega Assante

Di Ernesto Assante

Pubblichiamo la prefazione di Ernesto Assante al nuovo romanzo di Massimo Boddi, “Gli scarafaggi non si nascondono in casa” (la Bussola edizioni, 140 pp., 10 euro)

Si può scrivere un romanzo “rock” ambientato a Piombino? Ha un senso? Sì e Massimo Boddi ce lo dimostra con que­sto suo lavoro.
Un lavoro pregevolissimo perché si tende a pensare, er­roneamente, che personaggi come quelli che lui dipinge e racconta, siano legati a un universo lontano dal nostro, che la nostra provincia non possa essere ‘acida’ al punto giu­sto per confinare con il rock, che le vite dei giovani italia­ni, anche nell’era della globalizzazione, siano per loro na­tura chiuse nei confini di una cultura italiana che si è poco aperta, che non si è confrontata, che non ha subìto o avu­to gli stimoli della cultura giovanile internazionale che si è mossa, sviluppata, cresciuta, in tanti modi diversi nel corso degli ultimi sessant’anni.

E invece no, il mondo “provinciale” che Boddi raccon­ta è un luogo dello spirito più che un luogo fisico, conta poco che i nostri protagonisti siano a Hull, a Galveston, a Ajaccio, quello che conta sono i loro sentimenti, i loro sogni, le loro delusioni e i loro amori, le loro sconfitte e le loro prospettive. E conta addirittura poco che suonino. Conta il loro modo di fare le cose, il loro modo di vivere. Ora, è certamente chiaro a chi frequenta le cose della mu­sica che il rock non è un genere, non ha un suono determi­nato, non ha degli strumenti fondamentali, si può fare rock in tanti modi quanti la creatività suggerisce.

Perché il rock non è un genere ma un ‘modo di fare le cose’. Tutte le cose. Ed è così, con questo atteggiamento un po’ svagato ma profondo, un po’ cialtrone ma attento, un po’ ignorante ma colto, un po’ annoiato ma curioso, un po’ cinico ma sentimentale, un po’ devastato ma costrut­tivo, è all’interno di queste e di molte altre contraddizio­ni che vivono gli “scarafaggi” che animano la storia di que­sto romanzo. Ed è in quelle contraddizioni e nei problemi, come nelle possibilità che pongono, che sta il cuore del rac­conto e del suo svilupparsi.

Ed è nella contraddizione del linguaggio che Boddi usa, veloce, parlato, secco, apparentemente maleducato e poco “letterario”, che sta nascosta la verità e la ricchezza emoti­va della storia, che cattura riga dopo riga, perché è facile ri­conoscersi in quello che Boddi racconta, riconoscere qual­che parte di noi, o dei nostri amici, o della musica che gira intorno. Perché la musica è in tutto il romanzo, alle vol­te presente, alle volte solo evocata, in grado di avvolgere il racconto e farlo andare in direzioni diverse di volta in volta.

Boddi è bravo, tagliente, romantico, vuole bene ai suoi personaggi e gli dà vita in maniera esemplare. A noi il pia­cevole compito di portarli a spasso per il mondo.



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