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Il nostro sistema elettrico davanti alle sfide di siccità e rinnovabili

Di Carmine Biello

Il nostro è un sistema elettrico disegnato per un’epoca dominata dalle fonti fossili e dalla prevedibilità dei flussi: quindi alta programmabilità e bassa incertezza. Esso ora va proiettato in un’era in cui i flussi si moltiplicheranno e si diversificheranno a dismisura, diventando poco prevedibili e in parte bidirezionali. Il commento di Carmine Biello, executive manager con esperienza trentennale in ambito energetico

La scorsa estate il nostro sistema elettrico ha rischiato come mai prima: il picco di domanda ha strappato con forza verso l’alto, per effetto della calura, e il parco di generazione si è trovato in emergenza, a causa dell’avversità concomitante di diversi fattori (siccità, indisponibilità tecniche, minore import).

Uno stress-test duro e inaspettato, dal quale trarre preziosi segnali. Lo facciamo sulla base dell’ultimo Rapporto Terna di Adeguatezza. Un passo indietro: in dieci anni (12-21) la capacità nazionale di generazione si è ridotta significativamente, a fronte di un picco di domanda sostanzialmente stabile. La crescita delle rinnovabili infatti non è stata abbastanza robusta da compensare la progressiva dismissione di potenza termoelettrica e il margine di adeguatezza del sistema si è assottigliato vistosamente, diventando prossimo allo zero: eppure partivamo da un livello (anche fin troppo agiato) che copriva quasi il 50% del picco.

Dunque dal 2021 stavamo viaggiando al limite. Come mai? Il fatto è che, in termini di capacità disponibile, il saldo netto di questi anni è stato decisamente più negativo, complice anche la contrazione dell’import: quella delle rinnovabili (solare ed eolico) è una potenza che solo per poco più di un decimo si può considerare disponibile, secondo i canoni probabilistici che interpretano l’incertezza legata ai fattori meteoclimatici. In pratica avremmo dovuto aggiungere nuova capacità non programmabile, come questa, per sette volte quella programmabile dismessa.

Più che di potenza nominale, il mix di generazione ha quindi riportato un marcato deficit di potenza disponibile, il che ha innalzato non poco il tasso di incertezza del sistema, rendendolo più vulnerabile, e quest’estate l’eccezionalità delle diverse concause ha colpito. E’ vero che eravamo anche in piena crisi del gas, ma quella l’avevamo tamponata con l’indesiderato ricorso al carbone: nonostante tutto, non è stato dunque per la sicurezza energetica che abbiamo rischiato il black-out. Vediamo ora lo scenario al 2030, quello del Piano EU Fitfor55.

Il fabbisogno aumenterà sensibilmente, trainato dal massiccio processo di elettrificazione dei consumi, e il picco di domanda crescerà due volte di più, diventando peraltro meno prevedibile: aumenteranno cioè i casi estremi di assorbimento di potenza, con strappi improvvisi alla punta. La capacità rinnovabile è prevista triplicare, necessariamente con poca omogeneità territoriale, quindi con interventi di vasta portata da effettuare sulla rete di trasporto. Anche la capacità di accumulo dovrà triplicare, ma questa contribuirà in maniera ben maggiore a dare stabilità al sistema, grazie al suo elevato grado di disponibilità. Altra capacità termoelettrica verrà dismessa, quella più obsoleta, ma in buona parte verrà rimpiazzata da innesti più efficienti e sostenibili: in questo modo il margine di adeguatezza si riporterà sopra i livelli di guardia. Allora tutto bene? Non proprio.

Almeno fino al 2028 il sistema si presenta ancora “mediamente adeguato”. Potrebbe cioè trovarsi di nuovo in emergenza, sia pure in casi solo “poco probabili”: però anche quello di luglio lo era, eppure si è verificato. Peraltro già ora incombe la siccità, che da sola in quell’occasione ha messo in ginocchio il “cuore” della nostra generazione al Nord: proprio lì siamo oggi al 35% di precipitazioni in meno da ottobre (CNR, Bologna) e la stessa Terna raccomanda di intervenire quanto prima in tal senso sulle nostre centrali.

In più, una o più delle ipotesi al contorno (quanto a rinnovabili, accumuli, rete, import) potrebbero non realizzarsi e questo andrebbe a pregiudicare quel buffer di protezione che si conta di ricostruire: di certo esso non basterà in assenza di un adeguato sviluppo delle rinnovabili e degli accumuli. Quindi anche dopo il 2030 occorrerà monitorare con attenzione l’adeguatezza di quel margine, valutando nel corso del tempo la possibilità teorica di ulteriori rinunce a capacità termoelettrica: del resto parliamo di una riserva che, nel caso migliore, coprirebbe non più del 15% del picco di carico previsto.

Bisognerà anche sostenere quella parte di flotta termoelettrica il cui esercizio dovesse diventare non più economicamente sostenibile: in alcune aree del Paese infatti sarà più pronunciata la riduzione delle ore di funzionamento per questo tipo di impianti, che si sposteranno sempre più da un servizio di base verso uno di punta. Nel frattempo ogni sforzo dovrà essere rivolto alla crescita delle rinnovabili, accompagnate dagli accumuli, puntando ad un quadro anche di generosa sovracapacità produttiva e al contempo cercando di prevenire fenomeni disfunzionali come i distacchi o la “cannibalizzazione”, già in atto in altri Paesi.

Per i distacchi infatti sosteniamo già oggi costi non indifferenti per remunerare quella parte di energia rinnovabile che la rete non riesce a smistare, in alcuni momenti e in alcune aree: in questo caso capacità di trasporto e batterie sono la soluzione. Quanto alla “cannibalizzazione”, si tratta di evitare che le riduzioni di costo delle fonti rinnovabili diventino un boomerang per loro stesse, nell’indurre una situazione di prezzi non più sufficientemente remunerativi.

D’altronde il nostro è un sistema elettrico disegnato per un’epoca dominata dalle fonti fossili e dalla prevedibilità dei flussi: quindi alta programmabilità a fronte di bassa incertezza. Esso ora va proiettato in un’era in cui i flussi si moltiplicheranno e si diversificheranno a dismisura, diventando poco prevedibili e in parte bidirezionali. Basti pensare alla crescita cui assisteremo della mobilità elettrica, delle pompe di calore, dell’idrogeno e dell’autoproduzione: la flessibilità diventerà l’arma vincente, “sarà il nuovo petrolio” ha avvertito l’Iea tempo fa. E noi affrontiamo questa nuova era di bassa prevedibilità con un assetto a sua volta ad elevata incertezza, vista la sua scarsa programmabilità intrinseca: ma sarà la via per sfuggire alle trappole della dipendenza energetica, delle emissioni climalteranti e dei prezzi insostenibili. Le rinnovabili cresceranno in Italia e diventeranno il fulcro della nostra elettricità: ci sono già progetti in coda per quasi cinque volte il necessario.

La qualità fisiologicamente decrescente dei nuovi siti a terra, per gli impianti rinnovabili, potrà essere via via compensata da quella crescente delle prestazioni, con la quale si potrà dare seconda vita anche ai siti esistenti; mentre i nuovi siti off-shore potranno dare un impulso davvero decisivo alla transizione. Il mare mosso diventerà però la regola, l’incertezza sarà una costante: per navigare serviranno investimenti a tutto campo, ridondanze e regolazione continua, frutto di vigile capacità di decidere, con pragmatismo, tempestività e razionalità. Con buona pace del paradosso di Allais, con il quale si sostenne che gli individui, pur essendo prudenti per natura, in situazioni di incertezza scelgono irrazionalmente la soluzione più rischiosa, per perseguire una maggiore utilità attesa. La programmazione incessante sarà cruciale. A proposito, il nostro Piano Nazionale non sarà mica ancora quello del 2019?

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