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Il sociale, l’ambiente e la transizione. Le prossime sfide secondo Becchetti

La separazione tra problema sociale e problema ambientale non esiste. Il riscaldamento globale sarà pagato, è pagato soprattutto dai più deboli, quelli che hanno meno risorse per adattarsi e proteggersi dagli shocks. E sta producendo effetti dannosi già oggi in termini di perdite di reddito in agricoltura, siccità e migranti climatici. Il commento di Leonardo Becchetti

Il titolo di un quotidiano nazionale di ieri in prima pagina parla di siccità e razionamento dell’acqua…è il mondo che ci aspetta se non capiamo come ci ha ricordato qualche giorno fa il presidente Mattarella quando ha detto che non c’è un secondo tempo, ovvero che non possiamo oggi preoccuparci dei problemi sociali rimandando a domani la questione ambientale.

La separazione tra problema sociale e problema ambientale non esiste. Il riscaldamento globale sarà pagato, è pagato soprattutto dai più deboli (quelli che hanno meno risorse per adattarsi e proteggersi dagli shocks) e sta producendo effetti dannosi già oggi in termini di perdite di reddito in agricoltura, siccità e migranti climatici.

Se fa un po’ più caldo da noi sono già problemi seri, pensiamo quale possa essere l’effetto dello stesso fenomeno in aree sovrappopolate come il continente africano dove il rapporto tra popolazione e risorse rischia di diventare insostenibile spingendo moltissimi a migrare (la Banca Mondiale prevede che nei prossimi decenni si muoveranno almeno 200 milioni di persone verso il nostro continente).

Cosa possiamo fare? Accelerare la transizione ecologica per raggiungere più rapidamente possibile l’obiettivo dell’azzeramento delle emissioni nette di gas climalteranti che sono la causa del riscaldamento globale. La buona notizia è che la strada da prendere è chiaramente tracciata e basta come diciamo con l’economia civile essere levatori delle energie buone della società civile. Il ministro Pichetto Fratin ci dice che ci sono 300 gigawatt di progetti presentati che hanno iniziato l’iter di approvazione.

Ne bastano 85 per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione entro il 2030. Allo stesso tempo, sempre il ministro ci ricorda che nei prossimi anni, dopo il varo dei decreti attuativi imminente potranno nascere dalle 5 alle 10mila comunità energetiche che ci trasformeranno in produttori di energia riducendo i costi della nostra bolletta. L’obiettivo ambizioso del paese è di fare almeno 13 gigawatt all’anno. Sul fronte della mobilità, al di là della discussione sul regolamento Ue, è evidente che anche prima le maggiori case automobilistiche terranno in produzione solo auto ad emissioni zero (la discussione sul regolamento dunque è in parte oziosa).

Sull’edilizia è essenziale trovare il modo di ripartire e l’Ue deve battere un colpo rispondendo alla strategia di Biden e concentrando le risorse per gli investimenti proprio nel settore dell’efficientamento degli edifici dove altrimenti i privati non si muoverebbero da soli. Ripartiamo dopo aver tirato il freno d’emergenza con la riattivazione della cessione del credito d’imposta fissando la percentuale d’incentivo ben sotto il 100 percento e fissando un tetto di spesa pubblica aggregata annua che non si può e deve superare per esigenze di equilibrio del bilancio pubblico.

E la Cina ? L’idea che l’Unione Europea sia l’unica area del pianeta veramente preoccupata per il clima e che sia inutile il nostro muoverci in anticipo se gli altri non seguono è profondamente sbagliata. Ed è iniziata una gara competitiva per il futuro tra le grandi aree globali e Stati Uniti e Cina ci hanno sorpassato. Gli Stati Uniti con un ingente piano di sussidi alle imprese nazionali per la transizione ecologica e la Cina fissando per il 2060 l’obiettivo di energia prodotta da vento, sole e nucleare ciascuno per un terzo.

Non a caso la settimana scorsa l’Unione Europea ha varato una strategia per recuperare il ritardo su minerali e materiali necessari per realizzare la transizione. Restare indietro in questa corsa vuol dire essere condannati a posizioni di retroguardia con conseguenze pesanti per le nostre industrie e la nostra occupazione. Altro che prima il sociale e poi l’ambiente.

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