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La transizione ecologica? Non sarà una passeggiata rilassante. Il libro di Guandalini

Di Maurizio Guandalini

La svolta verde è già in soffitta per la crisi energetica? Riusciremo a rispettare lo stop alle auto a benzina e diesel dal 2035? Decarbonizzazione, sostenibilità, idrogeno, clima. Maurizio Guandalini ha raccolto in “La Transizione Ecologica (raccontata da chi la fa)” (ISTUD Business School) dei preziosi saggi, scritti da specialisti di imprese piccole, medie e grandi, studi professionali, giramondo del green. Formiche.net pubblica l’introduzione al libro

Della Transizione Ecologica sono incerti tempi e modi. Rispettivamente esposti. A burocrazia, alcune autorizzazioni richiedono addirittura 1000 giorni. E costi, di elet­tricità e gas. Con imprese e cittadini sotto questo cielo. A incrociare le dita. Dei 221 miliardi del Recovery Plan, circa 60 miliardi sono per il grande esodo verso il green. Risorse per l’economia circolare, la gestione dei rifiuti, l’efficienza energetica, le infrastrutture idriche e l’idrogeno.

Sia lode al dubbio

Sulla Luna c’è una grande ricchezza. È l’Elio 3. Un carburante naturale che fornisce energia pulita. Con un quintale di Elio 3 si potrebbe illuminare il nostro pianeta per un anno. Chi ci sta pensando? Il racconto, un paio di anni fa, di Tito Stagno, gior­nalista e decano delle cronache dei viaggi spaziali, è il paradigma della passione per il green. Si potrebbe fare, non si fa, chi lo dovrebbe fare? Fulminei innamoramenti. Nostalgici addii. Inframezzati da mode. Disneyane narrazioni. Rituali. Convenienza di brand facili. Avvolti nell’ideologia della scusa dell’ambiente, più che nella scien­za. Inquinamento, errori e false credenze. Dalla raccolta differenziata. All’agricol­tura, vittima di catastrofici fenomeni atmosferici e in costante evoluzione verso la sostenibilità bio. All’idrogeno, benzina del futuro in competizione con l’auto elet­trica, crogiolata nella sua tormentata diffusione. Alle pratiche soluzioni a partire dalle abitazioni dei nostri borghi, paesi e città. Fino alla gestazione (quanto dovre­mo attendere?) del mega aerosol per frenare il riscaldamento globale, finanziato da Bill Gates, che riduce le radiazioni solari spruzzando nella stratosfera particelle di anidride carbonica. E il sogno dell’atomo pulito, inseguito da anni, annunciato dal dipartimento dell’energia degli Stati Uniti.

Volli, e volli sempre, e fortissimamente volli

La volontà, appunto, abbinata alla consapevolezza che qualcosa c’è da fare. Perché la transizione ecologica è un cantiere aperto. Come i cittadini e le imprese possono farne parte? Candidare progetti, studi, esperienze? La nuova vita avrà un saldo atti­vo sia nei mastrini della salute che in quelli del portafoglio? Tra i cittadini, aleggia, da un lato, la consapevolezza di sostenere il peso dei sacrifici per benefici che sa­ranno goduti da altri, dalle generazioni che verranno e, dall’altro lato, che i cam­biamenti climatici che stiamo vivendo saranno irreversibili. Riusciranno gli stati a raggiungere la piena decarbonizzazione nel 2050 coniugando crescita economica e tutela ambientale? Sarà rispettato lo stop alle auto inquinanti dal 2035?

Il motore green si è riacceso nell’era del coronavirus rendendo palpabile la con­statazione che il cambiamento, in peggio, del clima, distrugge la qualità della vita. Parte rilevante delle nazioni è stata indaffarata a spegnere le flebili speranze di cura delle conferenze sul clima, sospinte dal principio fallimentare, “ogni Stato fa da sé”, che ha permesso il dilagare della pandemia. Sarebbe però ingeneroso non con­statare l’evoluzione della cultura ambientale. Ma s’insinua l’ansia del tempo. Che tanto si debba ancora fare, per anni, senza avere nell’immediato, risultati corrobo­ranti che stimolino a costruire un futuro accogliente.

Del doman non v’è certezza

Non siamo provvisti di una road map che segna perfettamente il grande esodo ver­so il green. Giorgio Parisi, Nobel per la Fisica, ha detto che per il clima servono misure drastiche ma eque e solidali. In generale l’applicazione al cammino della transizione ecologica richiederà gradualità, senza lasciare nessuno indietro ascol­tando e adottando soluzioni meditate, affrancate da inutili contrapposizioni. Quel­la che Carlo Petrini chiama la saggezza contadina dei saperi secolari che, insieme alla scienza, potranno fronteggiare scenari, di geoeconomia e geopolitica, popolati da ‘squali’, i decisori finali della rivoluzione energetica, impegnati a duellare per il controllo delle materie prime e delle risorse del sottosuolo.

Dopo la pandemia abbiamo riacceso la globalizzazione (rimasta senza le auspicate regole tanto ‘urlatè quando scoppiò la crisi finanziaria del 2008), i paesi, tutti, sono ritornati a intrecciare scambi commerciali e investimenti senza ostacoli mentre il conflitto russo-ucraino ha imposto chiusure tra nazioni facendo prevalere anche scontri di civiltà alimentati da rancori passati. In Europa, da un lato, prevarrà l’au­tarchia economica, dovuta al forzato fai da te, e dall’altro lato la ricerca spasmodica di mercati di sbocco. Il mondo si sta ricompattando in gruppi di nazioni (un mondo meno globale ma comunque internazionale), blocchi granitici che non si parlano.

Il conflitto russo-ucraino ha ridisegnato le ambizioni della transizione ecologica a casa nostra.. Ha svelato le dipendenze. Le incapacità di avere piani energetici. Ba­stava darsi da fare. Prima. Sfruttare le risorse presenti. Non girare i pollici per anni per poi svegliarsi dalla bella addormentata del non chiudeteci i rubinetti del gas, per carità. Sarà una corsa contro il tempo che ha già fatto decelerare molte ambizioni . Tra le quali l’auto elettrica, che subisce l’alto costo delle materie prime (litio e co­balto) per la costruzione delle celle di batterie. Ci sono altri carburanti intermedi, ecologici, dai costanti benefici. C’è voluto il buio energetico per capirlo. Camminare veloce. Nel verso della transizione ma senza dimenticare l’agonia della pista dove il protagonista è lo stop and go, andare avanti e indietro, perché le centrali carbone ritornano a servire, perché del petrolio non possiamo farne a meno, perché il gas dobbiamo imparare a estrarlo da noi. Un accidente epocale la guerra in Europa, un accadimento che ha stravolto i piani. Rendendoli funzionali fiancheggiatori delle priorità correnti. E quindi obiettivi diversi da perseguire perché ne va della solidità del nostro sistema produttivo e dei cittadini già colpiti dall’affaticamento della fi­liera alimentare.

Si approderà a una nuova Bretton Woods? Se sarà così al primo punto vi sarà l’ac­cesso alle commodities (petrolio gas, materie rare ecc.). Garantire approvvigiona­menti sicuri, sottratti al ricatto di chi le detiene. Parimenti le catene dell’offerta dovranno essere tutelate con paesi che condividono un assetto di norme e valori. Si andrà a una globalizzazione tra alleati, un decoupling in cui le delocalizzazio­ni saranno fatte soltanto nei paesi appartenenti al proprio sistema di alleanze. Un assetto da sperimentare del quale risentirà lo stesso svolgimento della transizione energetica. L’Italia da questa crisi può uscirne meglio di prima. Traduciamo. I cit­tadini sono disposti a far sacrifici ma occorre dare obiettivi, traguardi, segnare un sol de l’avenir possibile da raggiungere. Si è parlato insistentemente del Sud come hub energetico europeo per l’arrivo di gas dall’Africa. In quale data è previsto l’ini­zio lavori?

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato

La versione italiana del fenomeno ‘verdè è un indicatore fedele dei successi e delle incongruenze di un travagliato percorso. Si sa, l’individuo resta un paradosso, aspi­ra a cambiare tutto, macchina, dentifricio, vino, smartphone ma vuole anche che tutto stia fermo, immobile. La britannica Mary Renault ha scritto che c’è un solo tipo di shock peggiore rispetto all’imprevisto: il previsto per il quale ci si è rifiutati di prepararsi. Covid-19 e conflitto russo-ucraino (con il relativo default energetico) lo dimostrano.

Per licenziare un libro efficace e d’interesse per i lettori si è reso necessario trovare chi poteva spiegare con brio e chiarezza cos’è la transizione ecologica. E il parame­tro adottato è stato quello di coinvolgere direttamente chi la fa, chi la sta facendo da qualche tempo e ha i ferri del mestiere per capire dove si andrà. Incontrando i nu­meri uno di alcune imprese, professionisti, docenti universitari, tecnici, tutti quanti in prima linea, le nebbie iniziali, via via, si sono diradate. Ai saggisti abbiamo sug­gerito di iniziare dal sentiment più elementare della narrazione a estuario, l’incipit ‘vi spiego la transizione ecologica che vorrei’. Ne è venuto fuori un mosaico ordina­to di esperienze e speranze. Alla politica il compito di accoglierle, collegarle tra loro e metterle a Sistema. Senza arzigogoli. E neppure la presunzione di dare una rispo­sta, solo quella o non è, della transizione ecologica che è, e che sarà. Basta stare in livello con le parole di Montale che sono, guardando avanti, la bussola che, sempre, ci soccorrerà : “Non domandarci la formula che mondi possa aprirti […] Codesto solo oggi possiamo dirti. Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.

 

 



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