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Perché Bakhmut è lo specchio della guerra in Ucraina

Bakhmut per gli ucraini è il simbolo della riuscita della controffensiva e perderla significherebbe aprire di nuovo ai russi la strada verso Kharkiv. Il bivio drammatico di fronte ai vertici militari e politici è tra il continuo tamponamento del fronte e il conservare le forze per la prossima ipotetica offensiva

La battaglia per Bakhmut dura da più di sei mesi. Ma perché quella cittadina di settantamila persone è così importante? E perché entrambi i contendenti vi assegnano grande valore? Ha provato a rispondere Rob Lee, senior fellow del Foreign Policy Research Institute, in una analisi condivisa sui suoi canali social.

La cittadina di Bakhmut, situata nella regione di Donetsk e denominata Artyomovsk fino al 2016, vede i primi scontri armati già nel 2014 quando le forze secessioniste filorusse approfittano dei disordini scatenati dall’annessione della Crimea per espellere i presidi militari ucraini prendendo il controllo di una parte della città. L’intervento delle forze ucraine, regolari e paramilitari, poco dopo respinge i filorussi prima fuori dall’area urbana e poi definitivamente verso est.

La zona rimane soggetta alla guerriglia a bassa intensità che ha interessato tutto l’estremo oriente ucraino dal 2014 in avanti. Poi l’invasione del febbraio 2022 riporta le forze russe, questa volta anche quelle regolari, nell’area. L’assedio su Bakhmut è quindi parte del più ampio sforzo di controllare l’intero Donbass, composto appunto dalle regioni di Donetsk e Luhans’k. I bombardamenti di artiglieria sulla città iniziano già a maggio, ma l’assalto di fanteria viene lanciato l’1 agosto in seguito al ritiro ucraino dall’area.

Bakhmut non attira particolarmente l’attenzione dei media in questa fase. Sia perché non ci sono grandi progressi da raccontare, sia perché la maggioranza dei commentatori preferisce concentrarsi sull’impressionante avanzata russa nel sud. Gli assedi di Mariupol e Melitopol, gli scontri intorno a Zaporižžja con il suo impianto nucleare, e la battaglia di Kherson.

Proprio da Kherson arriva un cambiamento. Nella prima metà di novembre le forze ucraine riescono a ricacciare i russi verso sud est, dall’altra parte del fiume Dnepr. Grazie a questa svolta, Kyiv riesce a disimpegnare parte delle proprie risorse dall’area e le invia su Bakhmut riconquistandola. Al contempo però, anche la Russia ha nuove risorse da schierare nei dintorni della città grazie all’evacuazione da Kherson e, soprattutto, alla coscrizione interna.

È lì che inizia da parte di entrambi i contendenti l’esaltazione dell’importanza della città. Per gli ucraini diventa simbolo della riuscita della controffensiva e la sua caduta significherebbe aprire nuovamente la strada ai russi verso Kharkiv. Per i russi ha un significato speculare, ma anche leggermente diverso. L’importanza che Mosca assegna a quel fronte deriva dal voler controllare l’intero Donbass, ma anche dalle ambizioni personali dei comandanti che dirigono le operazioni in quel preciso quadrante. Infatti, le principali forze russe che agiscono nell’area sono i mercenari della Compagnia Wagner e i soldati aviotrasportati dell’unità d’èlite Vdv, la quale gode di un certo grado di autonomia rispetto al resto delle forze armate regolari.

I comandanti mercenari godono di grande discrezione nel combattere come ritengono opportuno e riescono dunque a sfruttare meglio i punti deboli ucraini. Ad esempio prendono spesso di mira gli spazi presidiati dalle Territorial Defense Forces di Kyiv, unità di riservisti solitamente composte in gran parte da ex civili.

Il numero delle perdite è pesante per entrambi gli schieramenti, ma bisogna tenere conto del fattore tempo, che gioca a favore della Russia, e che la stessa ha a disposizione un bacino umano almeno tre volte più grande di quello ucraino. Oltre al fatto che le perdite ucraine consistono solitamente in militari di buona qualità, mentre dal lato russo si trova, per dirla in maniera molto cinica e brutale, carne da macello di scarsa qualità militare.

Inoltre nei mesi di gennaio e febbraio 2023 le forze russe conquistano i fianchi settentrionale e meridionale prendendo dunque il controllo di terreni sopraelevati e alterando il rapporto delle perdite a proprio favore.

Ulteriore difficoltà per le forze ucraine deriva dal fatto che le postazioni fuori dal centro urbano consistono in case prive di cantine. Il che le rende inutilizzabili come postazioni di combattimento se vengono prese di mira dall’artiglieria russa. Artiglieria che, dalle posizioni sopraelevate, può tirare direttamente sulle principali vie di rifornimento.

I vertici militari e politici ucraini si trovano oggi davanti alla drammatica scelta tra il continuare a tamponare il fronte con nuove unità o sacrificare la linea per avere un maggior numero di unità bene addestrate da utilizzare nel prossimo futuro. Da quello che si sa pubblicamente sembrerebbe che abbiano scelto la seconda opzione. Decisione obbligata se Kyiv vorrà effettivamente dare luogo a una nuova controffensiva nei prossimi mesi.

Non mancano le voci critiche all’interno delle stesse forze armate ucraine che evidenziano la mancanza di uomini per poter condurre un’offensiva su larga scala. Ma se quest’offensiva avrà effettivamente luogo, Kyiv dovrà cercare di evitare a tutti i costi le battaglie di attrito, dove la Russia ha un naturale vantaggio. Come fa notare Rob Lee, non esistono opzioni prive di rischi. Se le forze ucraine dovessero ritirarsi da Bakhmut per riconcentrarsi in vista di un’offensiva potrebbero trovarsi schiacciate dall’avanzata russa e non c’è alcuna garanzia di riprendere la città più avanti. D’altro canto, se si “sprecassero” troppe forze per tenere Bakhmut si metterebbe a repentaglio un’offensiva più grande e strategica.

Quali scelte siano state giuste e cosa si poteva fare e non fare sarà tema di dibattito storiografico tra qualche decennio.


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