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Ucraina, la grande débâcle del soft power russo. L’analisi di Pizzolo

Di Paolo Pizzolo

L’attacco manu militari contro l’Ucraina ha dimostrato ancora una volta l’insufficienza del soft power russo, riconfermando in modo evidente come la Russia necessiti del ricorso all’hard power per tentare di raggiungere i propri obiettivi di politica estera. L’analisi di Paolo Pizzolo, ricercatore in Relazioni internazionali presso l’Università Jagellonica di Cracovia, è Research Fellow presso il Centro di ricerca per la Cooperazione internazionale con l’Eurasia, il Mediterraneo e l’Africa Sub-sahariana (Cemas) dell’Università di Roma “La Sapienza”

Il nuovo contesto internazionale post-bipolare sorto nel 1991 si è caratterizzato da un rapporto altalenante tra Russia ed Europa, intervallando fasi di zelante cooperazione a momenti di accesa competizione. I complessi rapporti russo-europei hanno avuto forti ripercussioni sul piano politico, economico, diplomatico e strategico, che recentemente, attraverso un approccio olistico ed interdisciplinare, il progetto di ricerca “La Russia nel contesto post-bipolare. I rapporti con l’Europa tra competizione e cooperazione” (Ruspol), ha cercato di analizzare. Articolato in tre Geopolitical Brief, il progetto è stato coordinato dal centro di ricerca “Cooperazione con l’Eurasia, il Mediterraneo e l’Africa Sub-sahariana” (Cemas) dell’Università di Roma “La Sapienza” con il sostegno dell’Unità di Analisi, Programmazione, Statistica e Documentazione Storica del ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e con la collaborazione degli enti partner Geopolitica.info, Unitelma Sapienza e il Dipartimento di Scienze Politiche e Internazionali (Dispi) dell’Università di Genova.

Come messo in luce dal progetto, fino al 2014 i rapporti tra Russia e Occidente euro-americano potevano dirsi relativamente buoni, nonostante l’incrinatura in senso peggiorativo in seguito alle prime “rivoluzioni colorate” nello spazio post-sovietico – considerate dal Cremlino come tentativi di golpe antirussi da parte dell’Occidente – e all’intervento militare russo in Georgia del 2008. Tuttavia, la rivoluzione euro-maidanista e la conseguente annessione della Crimea hanno segnato lo spartiacque definitivo nelle relazioni russo-occidentali post-bipolari, che da allora hanno subito un crescente peggioramento, acuito dalla guerra in Siria e reso definitivo dalla guerra in Ucraina. Quale potenza sfidante dell’ordine internazionale, la Russia di Putin contrasta il sistema unipolare post-Guerra Fredda anche attraverso lo strumento del revisionismo territoriale. Oggi, di fronte allo scenario della deflagrazione di un terribile conflitto alla sua periferia orientale, che decenni di pace continentale avevano reso impensabile, l’Europa affronta una delle sfide più complesse dalla fine della Seconda guerra mondiale. Tuttavia, sebbene la Russia rappresenti la principale minaccia alla sicurezza europea, l’Europa è consapevole che nel lungo periodo una prolungata contrapposizione con Mosca è tanto indesiderabile quanto lesiva. Ecco perché l’esigenza di un ricorso al negoziato diplomatico che sostituisca le logiche dello scontro armato rappresenta non solo un obiettivo auspicabile, ma una condizione necessaria e urgente.

Uno degli aspetti più significativi delle difficili relazioni russo-europee messi in luce dal progetto fa riferimento al ruolo del soft power russo in Europa e in particolare in Ucraina. Al di là degli strumenti dei ricatti energetici, delle frequenti violazioni del diritto internazionale e dello scontro armato diretto, negli ultimi anni la Russia di Putin ha sfidato l’Occidente anche ricorrendo a quello che ormai è prassi diffusa definire soft power. La fine della Guerra Fredda ha comportato un ridimensionamento da parte dei Paesi della comunità internazionale dell’idea di utilizzo dell’hard power, ossia di strumenti di coercizione basati sulla forza militare e sulla pressione politica ed economica diretta, a vantaggio del soft power basato invece su incentivi di persuasione economica, diplomatica, socioculturale, istituzionale e giuridica. Ad oggi, l’utilizzo dell’hard power è divenuto l’eccezione e non la regola nella comunità internazionale, venendo principalmente utilizzato per contrastare quegli attori internazionali che violano il diritto internazionale o minacciano direttamente la sicurezza nazionale, regionale o globale. Ma che cosa si intende esattamente per soft power? Secondo la celebre definizione offerta dal politologo americano Joseph Nye, il soft power rappresenta la capacità di persuasione, che si declina sostanzialmente attraverso tre strumenti: l’attrazione culturale, la legittimità politico-morale e l’autorevolezza in politica estera. In altre parole, in virtù del soft power, un Paese riuscirebbe ad ottenere ciò che vuole attraverso la forza d’attrazione anziché attraverso la coercizione. Inoltre, grazie al proprio soft power un Paese si trova nella possibilità di persuadere altri a fare ciò che altrimenti non farebbero, a fissare un’agenda e a influenzare le loro preferenze politiche.

A partire dagli anni Duemila, la Russia di Putin ha portato avanti una strategia di soft power volta a diffondere un’immagine persuasiva della Russia tanto in Europa che nello spazio post-sovietico e nel resto del mondo – in particolare in alcuni paesi afroasiatici emergenti. Per vent’anni, il soft power russo è diventato uno dei principali strumenti attraverso cui il regime di Putin ha cercato di legittimare sé stesso, incontrando a seconda delle circostanze consenso o opposizione. L’uso del soft power russo ha avuto per obiettivo quello di aumentare l’influenza della Russia nel proprio “estero vicino” attraverso metodi non militari, migliorare la propria immagine all’estero e portare avanti la propria agenda di politica estera. D’altronde, le attuali strategie di soft power di Mosca ricalcano in parte il vecchio schema della propaganda russa, già molto sofisticata tanto in età zarista che sovietica. Inoltre, il soft power russo ha svolto un ruolo particolarmente importante per rafforzare i legami tra la Federazione Russa e le minoranze russo-etniche e russofone all’estero, in particolare nell’area del Baltico e del Partenariato orientale dell’Unione europea (Ue).

Negli ultimi anni, la strategia di soft power della Russia ha fatto perno sul concetto del “mondo russo” (Russkij Mir). In particolare, a partire dal 2007 Putin ha assimilato i principali assunti del Russkij Mir nella posizione governativa ufficiale. Il Russkij Mir fa riferimento all’idea che esista un “mondo russo” che si estende al di là dei confini della Federazione Russa e che rappresenta una sfera di civiltà “unica” con una specifica visione del mondo e un proprio specifico modello culturale e di civiltà. Nello specifico, il concetto del Russkij Mir ha fatto perno sull’idea che il “mondo russo” rappresenterebbe una comunità di civiltà caratterizzata da alcuni elementi culturali, tra cui la lingua russa, il cristianesimo ortodosso e la cultura russa in senso lato. L’incorporamento dell’idea del Russkij Mir nel discorso ufficiale russo ha mobilitato diversi strumenti politici, diplomatici e propagandistici, tra cui la “Fondazione Russkij Mir”, l’“Agenzia federale per gli affari della Comunità degli Stati Indipendenti, i compatrioti residenti all’estero e la cooperazione umanitaria internazionale” (Rossotrudničestvo) e la Chiesa ortodossa russa. Al contempo, il nucleo del Russkij Mir è stato fatto coincidere con i tre paesi che hanno rappresentato storicamente il territorio della Rus’ di Kiev, ossia la Russia (Moscovia/Grande Russia), l’Ucraina (Piccola Russia) e la Bielorussia (Russia Bianca). I fattori di coesione tra queste tre entità sono considerati sostanzialmente l’appartenenza al cristianesimo ortodosso, la fratellanza etnica slava, il comune ceppo linguistico slavo-orientale e la coincidente esperienza storica. Il governo russo ha sostenuto l’idea che la Rus’ di Kiev sia stata la nazione madre da cui sono nate la Russia, la Bielorussia e l’Ucraina moderne, affermando che i popoli dei tre paesi condividono una comune storia, mentalità, cultura e tradizione.

In generale, la Russia di Putin non si è dimostrata sempre capace di utilizzare efficacemente il proprio soft power per sostenere la propria politica estera. Un esempio concreto di come il soft power russo non sia riuscito a portare a termine i propri obiettivi è quello dell’Ucraina. Negli ultimi anni, l’Ucraina è stata uno dei principali Paesi a subire una forte pressione da parte del soft power russo. In Ucraina, il soft power russo incentrato sull’idea del Russkij Mir era volto soprattutto a contrastare l’esclusivismo del nazionalismo etnico ucraino e i sentimenti russofobi. Nonostante gli sforzi della Russia, tuttavia, la narrativa del “mondo russo” è stata accettata in Ucraina soltanto in parte. Oggi in Ucraina un’identità slavo-orientale basata sull’identificazione con la Russia e il “mondo russo” si sovrappone e scontra con un’identità nazionale ucraino-etnica particolaristica basata sul distanziamento dalla Russia, l’identificazione con l’Europa e l’acceso nazionalismo – che Mosca accosta al nazi-fascismo e al banderismo. D’altronde in Ucraina la narrazione del “mondo russo” ha dovuto confrontarsi con una narrazione alternativa promossa dall’Ue basata sull’idea di “Grande Europa”, ossia sull’idea dell’appartenenza storica dell’Ucraina all’Europa, rimarcando la superiorità normativa dei valori liberaldemocratici associati al progetto di integrazione europea insieme a più ampie prospettive di sviluppo economico. Il rifiuto del “mondo russo” e l’accettazione dell’Ucraina come parte di una “Grande Europa” hanno avuto seguito soprattutto presso la popolazione dell’Ucraina occidentale, storicamente vicina alla Polonia, e presso molti rappresentanti della Chiesa ortodossa ucraina autocefala (Patriarcato di Kiev) e della Chiesa greco-cattolica uniate. Questa volontà di distanziamento dalla Russia, tanto laica che religiosa, trovava delle giustificazioni storiche in azioni considerate criminali e oppressive, tra cui la carestia del Holodomor, le persecuzioni staliniane, la campagna sovietica antireligiosa e la sistematica distruzione della “nazione ucraina” a vantaggio dell’identità sovietica. Al contrario, l’identità collegata all’idea di “mondo russo” è stata accettata in particolare dalla popolazione della Crimea e del Donbass e più in generale dalla popolazione russofona del sud-est del paese e presso la Chiesa ortodossa ucraina alle dirette dipendenze del Patriarcato di Mosca.

Ciononostante, in linea generale, il soft power russo in Ucraina non è stato particolarmente efficace, non riuscendo a convincere quei settori dell’opinione pubblica ucraina che consideravano comunque “il mondo russo” come qualcosa di diverso rispetto a sé. Partiti politici, chiese locali, gruppi di pressione russo-scettici, inclinazioni euro-atlantiste e la controproposta “grande-europea” hanno contribuito a marginalizzare o addirittura a contrastare il concetto del “Russkij Mir” in Ucraina, ricollegato a progetti russi neo-imperiali e a forme di malcelata volontà di dominio su alcuni settori dello spazio post-sovietico. D’altronde, negli ultimi anni Mosca ha ripetutamente utilizzato strumenti di hard power per portare avanti la propria politica estera. L’attacco manu militari contro l’Ucraina ha dimostrato ancora una volta l’insufficienza del soft power russo, riconfermando in modo evidente come la Russia necessiti del ricorso all’hard power per tentare di raggiungere i propri obiettivi di politica estera.

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