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Antibiotico-resistenza, la strategia c’è ma attenzione alle Regioni. Parla Ricciardi

Di Elisabetta Gramolini

Walter Ricciardi commenta su Formiche.net la strategia del governo contro l’antibiotico-resistenza. Un’operazione positiva ma, suggerisce l’esperto, attenzione al ruolo che giocheranno le Regioni

Sulla carta il Piano nazionale di contrasto all’antimicrobico resistenza 2022-2025 sarà la strategia efficace per dare forza alla lotta contro l’antibiotico-resistenza. Sul piatto il governo ha inserito nella legge di bilancio 40 milioni di euro per ciascuno degli anni contemplati dal Piano, già ripartiti fra le Regioni. Legato a doppio filo con l’azione decisa dall’esecutivo c’è il Piano vaccinale, anch’esso di qui al 2025. Sì perché i vaccini sono una delle armi migliori per contrastare la resistenza visto che prevengono le infezioni batteriche e concorrono a limitare l’uso degli antibiotici. Un esempio pratico viene dal vaccino antinfluenzale che può ridurre le prescrizioni inappropriate e le infezioni batteriche, che spesso si sovrappongono a quelle virali e richiedono trattamenti antibiotici. Le azioni del governo convincono anche Walter Ricciardi, ordinario Igiene all’Università Cattolica di Roma, presidente dell’Istituto superiore di sanità, che però sottolinea l’incognita sull’attività delle Regioni, che dovrebbero allinearsi alle intenzioni del governo.

Professore, il Piano nazionale per la lotta all’antibiotico resistenza la convince?

Sì. Finalmente c’è una strategia. C’è un piano, ci sono le intenzioni. Chiaramente bisogna realizzarle. Estremamente positivo è che ci sia la consapevolezza del fenomeno, talmente grave, impellente e ingravescente che è necessario affrontarlo. Il fatto che ci sia questa consapevolezza, delle idee e un piano è confortante.

Si deve puntare sulla vaccinazione, ha dichiarato il ministro Schillaci. In Italia però l’anagrafe vaccinale non è ancora completata, partiamo svantaggiati?

È quello a cui mi riferivo quando dicevo che bisogna passare dai piani all’azione. Le raccomandazioni sono tutte condivisibili ma bisogna realizzarle. Non c’è dubbio che noi abbiamo un duplice problema nella realizzazione: il primo è nazionale, il secondo è regionale perché di fatto il livello nazionale ha solo la responsabilità della programmazione, del finanziamento e del controllo, ma tutto quello che significa realizzazione è nelle mani delle Regioni. È chiaro che la capacità realizzativa è molto eterogenea e sappiamo ormai da 50 anni che le Regioni vanno in maniera sparsa. Un esempio tipico è l’anagrafe vaccinale. Abbiamo i fondi, la volontà ma non si riesce a farla. Abbiamo ancora Regioni che hanno i documenti cartacei.

Mancano poi gli investimenti del pubblico per produrre nuovi antibiotici.

È un problema di ordine pubblico. L’ospedale è diventato ormai il luogo più pericoloso dove stare. Qualsiasi intervento è un rischio altissimo, soprattutto per i pazienti fragili. Questo non è tanto un problema di consapevolezza delle persone, che purtroppo se ne rendono conto solo quando ne sono vittime, ma dovrebbe essere un tema di responsabilità del governo, che mi pare stia andando nella giusta direzione, ma soprattutto delle Regioni. L’allineamento in Italia è molto difficile. Non è soltanto in sanità. L’Italia sta rischiando brutto perché non pratica l’evidenza scientifica in tutte le sue decisioni, nelle politiche manageriali, gestionali e cliniche. In qualsiasi settore. Sull’inquinamento atmosferico, per esempio, non è un caso che i dati dell’Agenzia europea dell’ambiente siano, non dico allarmanti, ma sconcertanti perché sulle prime 32 città inquinate, 15 sono italiane, 16 polacche. Vuol dire che l’evidenza scientifica non viene applicata per la prevenzione dell’inquinamento. La stessa cosa avviene per la sanità. L’Italia per salvarsi e salvare i suoi cittadini deve praticare l’evidenza scientifica nelle sue decisioni. Oggi il governo si sta muovendo nella giusta direzione ma anche il sistema-Paese lo deve fare.

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