Giovanni Paolo II ha fatto tantissimo per la libertà. Se la sua vita privata non fosse stata irreprensibile, i regimi dell’Est sovietico avrebbero cercato di ricattarlo a colpi di dossier. Il commento di Giuseppe De Tomaso
Meno male che papa Francesco ha posto fine, con parole secche e definitive, alle vergognose insinuazioni sulla figura di Giovanni Paolo II (1920-2005). Altrimenti chissà quali altre maldicenze avrebbe prodotto la fabbrica del falso che, si sa, non va mai in vacanza. Meno male che l’attuale Pontefice ha detto “basta”, non già in nome della lesa maestà o della lesa santità nei confronti di uno tra i papi più amati e fondamentali della storia, ma perché è inammissibile che accuse così gravi vengano rivolte, più o meno con nonchalance, nelle agorà televisive ed internettiane, peraltro senza lo straccio di una prova, di un nome, di un fatto, di un indizio, di un particolare. Il che, ovviamente, se vale per il più semplice tra i cittadini, deve valere anche o soprattutto (dipende dai punti di vista) per un Santo Padre.
E però desta stupore l’amara constatazione che malignità e illazioni varie non vengano bloccate sul nascere, alle prime sillabe ascoltate via etere, per manifesta infondatezza e inverosimiglianza delle tesi sostenute. Ipotizzare il doppio standard di un Pontefice, specie in campo sessuale, può appagare le pulsioni morbose di retro-scenisti e calunniatori vari, ma di sicuro costituisce un oltraggio alla verità, alla giustizia, oltre che alla memoria di una persona non più in grado di difendersi.
Se c’è, nel mondo, un uomo impossibilitato a concedersi frammenti temporali di vita privata al di fuori del suo alloggio in Vaticano, questi è il papa. Qualunque cosa egli decida, tutto avviene quasi sempre sotto i riflettori. Qualunque cosa egli faccia, non passa mai inosservato a collaboratori e interlocutori vari. E anche se egli volesse eludere la filiera della scorta e dei controllori, l’<evasione> dal Vaticano, già complicata di suo, verrebbe svelata al grande pubblico nel giro di poche ore, se non di pochi minuti. Già un segreto non può essere conservato se ad esserne al corrente è più di una persona. Figuriamoci se questo segreto vaticano, per forza in possesso di qualcuno, dal momento che nessun Pontefice potrebbe mai allontanarsi da solo da Piazza San Pietro, dovesse riguardare l’autorità religiosa e morale più importante del globo. Solo una mente dotata di perverse fantasie potrebbe mai concepire uno scenario o una trama di tal fatta.
Ma nel caso di Karol Wojtyla, l’inverosimiglianza delle allusioni alle poco canoniche escursioni notturne è avvalorata da un’altra considerazione, che pure avrebbe dovuto lampeggiare immediatamente nella mente dei più. Nessun Pontefice ha inciso negli equilibri politici mondiali come il polacco già presule di Cracovia. Il che significa che poche persone, sulla Terra, sono state spiate, seguite passo-passo, minuto per minuto, come l’artefice forse principale del crollo dell’impero sovietico. Anche per molto meno di un’occasionale fuoriuscita romana, il Pontefice si sarebbe esposto al pericolo di un pesante ricatto da parte degli 007 degli Stati a lui più ostili. Il che non è mai avvenuto, perché Wojtyla, grazie alla sua condotta irreprensibile, non ha mai dato modo ai suoi antagonisti dell’Est di organizzare operazioni intimidatorie ed estorsive degne della peggiore filmografia del ramo. Semmai, non potendo neutralizzarlo con il ricatto, qualcuno ha pensato bene di farlo sopprimere con la polvere da sparo. E per poco non c’è riuscito. Ma ciò dimostra, appunto, l’assoluta impossibilità di condizionare Giovanni Paolo secondo con gli strumenti classici dei dossier e dei fascicoli <riservati> da agitare per assicurarsi il silenzio e l’inazione della vittima.
Certo, si possono anche confezionare documenti falsi. Che, però, prima o poi vengono smascherati. Siamo inclini a pensare però che, al Cremlino, decenni fa, avrebbero folleggiato come al carnevale di Rio in Brasile, se avessero appreso dagli agenti o dagli infiltrati del Kgb che il papa polacco aveva qualche peccato da farsi perdonare. Invece. Invece, sin dall’inizio del pontificato wojtyliano, la nomenklatura sovietica ebbe la sensazione che Giovanni Paolo secondo non avrebbe fatto sconti ai regimi comunisti. Anzi, sarebbe stato la loro spinta nel fianco.
Raccontano alcune gole profonde che non appena fu informato dell’ascesa di Wojtyla al vertice della Chiesa cattolica, il leader dell’Urss, Leonid Breznev (1906-1982), indicasse in Zbigniew Brzezinski (1928-2017), politologo anticomunista americano di origini polacche, diventato consigliere per la sicurezza nazionale durante la presidenza (1977-1981) di Jimmy Carter, il regista del Conclave decisivo. Ovviamente non era vero nulla, era roba da fantapolitica patologica, ossessiva. Ma questa fissazione moscovita, sul presunto tandem polacco in azione, la diceva lunga su come a Mosca era stata sùbito avvertita la grande statura di Wojtyla e su come i contraccolpi della di lui elezione avrebbero potuto minare la solidità del Patto di Varsavia.
Lo stesso Brzezinski confermò l’originalità del suo amico Pontefice quando si lasciò sfuggire questo parallelo tra i due protagonisti del tempo: <Carter è un capo politico, ma sembra un capo religioso. Wojtyla è un capo religioso, ma sembra un capo politico>. E siccome la percezione della grandezza politica di Giovanni Paolo secondo non poteva certo passare inosservata davanti agli occhi dei pezzi da novanta del Cremlino, solo un ingenuo poteva pensare che Breznev e colleghi non avrebbero dato filo da torcere al neo-eletto successore di Pietro. E solo un ingenuo avrebbe potuto pensare che Mosca sarebbe rimasta ferma come un palo se fosse venuta a conoscenza di particolari scabrosi sulla vita del papa. Particolari scabrosi che non esistevano. Di conseguenza, Mosca non li poteva utilizzare per tacitare Wojtyla.
Una ragione in più per ritenere assurde e folli, oggi, le insinuazioni sul Pontefice che più ha lottato per la libertà dei popoli.