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Quale traiettoria per l’autonomia strategica europea. L’intervento di Chiapello

Di Giancarlo Chiapello

La traiettoria politica non può che essere rappresentata dalla riscoperta della tradizionale linea delle democrazie cristiane europee, che hanno dato vita a questa straordinaria costruzione radicata nel mito della pace, che negli anni si è andata o disfacendosi a sinistra o smontandosi per una rincorsa a destra. La riflessione di Giancarlo Chiapello, segreteria nazionale Popolari/Italia Popolare

Il corsivo di Andrea Cangini su Formiche.net dal titolo “Si può essere filoeropei senza essere antiamericani” è assai interessante perché sottolinea l’importanza della questione posta dal presidente francese Macron: al netto delle citazioni sulla “grandeur”, non si può non ritenere argomento fondamentale quello dell’”autonomia strategica” dell’Europa.

Certamente si potrebbe rivangare il passato, dal voto del Parlamento francese contrario alla Comunità europea di difesa, la Ced, su cui si spese con lungimiranza Alcide De Gasperi, alla valutazione sull’ingresso del Regno Unito nella Comunità europea da parte di De Gaulle, all’intervento in Libia, ma guardando avanti già porre la questione può aiutare a sanare errori e a costruire il futuro di una Ue che deve saper giocare, grazie alla forza dell’unità nella diversità delle sue nazioni, dei suoi popoli, un ruolo protagonista e non subalterno rispetto a nessuno in un mondo multipolare in cui essere un polo capace, anche di fronte alla competizione con gli altri, di dare peso politico ad una grande forza economica che non va azzoppata da parte di nessuna pulsione ideologica.

Da questo punto di vista rispetto alla riflessione di Cangini serve un salto nominale, che però è anche qualitativo fondamentale, da filoeuropei a europeisti convinti alla maniera proprio di De Gasperi, Adenauer, Schuman, Fanfani, Colombo, Moro. Servono dunque delle traiettorie, identitaria e politica che diano gambe evidenti e popolari, nel senso di ampiamente sostenute, ai trattati diplomatici come quello del Quirinale. La prima è stata ben delineata da papa Francesco nel dialogo con i giornalisti sul volo da Bratislava a Roma il 15 settembre 2021: “In genere l’Europa deve – lo dico sempre, questo, lo ripeto – prendere i sogni dei grandi, dei padri fondatori dell’Unione europea. L’Unione europea non è – diciamo – una riunione per fare le cose…, è un fatto molto spirituale, c’è uno spirito alla base dell’Unione europea, che hanno sognato Schuman, Adenauer, De Gasperi, questi grandi: tornare lì. Perché c’è un pericolo: che sia soltanto un ufficio di gestione l’Unione europea e questo non va. Deve andare proprio alla misitca (allo spirito), cercare le radici dell’Europa e portarle avanti. E credo che tutti i Paesi debbano andare avanti. È vero che alcuni interessi, forse non europei, cercano di usare l’Unione europea per le colonizzazioni ideologiche e questo non va. No, l’Unione europea dev’essere indipendente in sé stessa e tutti i Paesi, allo stesso livello, ispirati dal sogno dei grandi fondatori”.

Quelle radici vanno ridestate perché urge il rinnamoramento degli europei per la Comune Casa Europa che deve dare loro la certezza di una identità e non quella di una burocrazia tendente alla tecnocrazia agnostica: gli altri poli mondiali come quello riassumibile nell’anglosfera, senza citare naturalmente la Cina, non sono forse portatori di visione valoriale, idee, strategie e pure ideologie oltre che di interessi? In aggiunta può essere utile, nel confermare questa necessaria riscoperta delle fondamenta, anche un pensiero del filosofo polacco Leszek Kolakowski tratto da “Gesù. Saggio apologetico e scettico”: “Dopo secoli di diffusione della cultura illuminista ci siamo risvegliati improvvisamente nella confusione culturale e mentale, spaventati davanti ad un mondo che, così sembrava, stava perdendo la sua eredità religiosa. La nostra paura è ben giustificata. I miti perduti non vengono sostituiti da una razionalità illuminata, ma da orribili creature secolari”.

La traiettoria politica non può che essere rappresentata dalla riscoperta della tradizionale linea delle democrazie cristiane europee, che hanno dato vita a questa straordinaria costruzione radicata nel mito della pace, che negli anni si è andata o disfacendosi a sinistra o smontandosi per una rincorsa a destra: in vista delle elezioni europee ripensare il sistema politico italiano in crisi e aprire il confronto per ridare forza al popolarismo europeo vuol dire proprio ragionare di rilancio dell’europeismo e dell’Europa che ha bisogno di una “autonomia strategica” a trecentosessanta gradi per la quale, dunque, non è utile limitarsi al solo discorso militare ma serve proprio quello politico come guida per quello istituzionale ed economico per il quale è evidente l’antieuropeismo di una austerità ottusa e prona di fronte al totem delle percentuali.

Non si è anti qualcuno, ma si fa una scelta: tra l’approccio politico di un Henry Kissinger e quello di un Aldo Moro, che quella linea ha incarnato ad esempio alla Conferenza di Helsinki, è oggi evidente che all’Europa serva il secondo anche per costruire il suo ruolo equilibratore sullo scacchiere mondiale e una dimensione autenticamente democratica tenendo a mente le parole del grande statista democristiano “se non si avvicina il Parlamento Europeo nei suoi poteri e nelle sue decisioni alla volontà popolare, l’Europa non potrà mai decollare in maniera compiuta e totale”. L’Italia potrebbe giocare un ruolo fondamentale in questa partita europea perché può ridare spinta all’asse carolingio come motore e esercitare il suo tradizionale soft power che deriva dall’essere il ponte tra Europa e bacino Mediterraneo. Dove sta il problema? Innanzitutto nel reperire fresca, autonoma, non compromessa e coraggiosa classe dirigente popolare e democratico cristiana che torni protagonista nel dibattito europeo.

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