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Tagliare (oppure no)? Il dilemma dei tassi in Cina

Ancora una volta Pechino non tocca il costo del denaro. Eppure, per far carburare la crescita ed evitare la deflazione, una ripresa dei consumi a mezzo allentamento monetario sarebbe opportuna​. Ma qualcuno preferisce aspettare, forse anche per impedire nuovi guai alle banche

La Cina ha un problema. E non solo una crisi conclamata del mattone, dalla quale non si sa se il Dragone ne uscirà. Ora al taccuino degli orrori va aggiunta anche un’altra trama, quella dei tassi. Mentre il mondo intero alza il costo del denaro, nella Repubblica Popolare si rimane nell’immobilismo. Sono ormai sei mesi che la Banca centrale, la Pboc, non tocca i tassi. E non lo ha fatto nemmeno in queste ore, quando un barlume di speranza effettivamente c’era verso il board della vigilanza c’era.

E invece nulla. Anche stavolta i tassi cinesi di riferimento restano invariati, come ha deciso la Pboc. Ciò suggerisce che Pechino è soddisfatta dell’attuale ritmo della ripresa economica del Paese guidata dai consumi. In particolare, il tasso primario dei prestiti a un anno è rimasto stabile al 3,65%, mentre quello a cinque anni è rimasto invariato al 4,3%. Questo significa che la Banca centrale cinese non ha tagliato i tassi. Eppure, a guardare da vicino, le autorità avrebbero molte ragioni per allentare la politica economica a causa dell’aggravarsi delle pressioni deflazionistiche.

Sì, perché la Cina è in deflazione, vale a dire che i prezzi sono troppo bassi per generare una considerevole spinta dei consumi. E allora, abbattere il costo del denaro potrebbe permettere l’immissione nel sistema di grandi quantità di liquidità, sotto forma di prestiti bancari. Ma a Pechino non sembrano averlo capito. “La Cina sta entrando in un ciclo di deflazione atipico, che significa prezzi bassi in mezzo alla ripresa economica”, ha dichiarato Jinyue Dong, economista senior di Bbva research.

Insomma, nonostante il rimbalzo della crescita, il rialzo dei prezzi al consumo sta rallentando bruscamente, fino a trasformarsi in deflazione, con i costi di produzione in caduta libera, aumentando la pressione sulla People’s Bank of China affinché tagli i tassi o immetta più liquidità nel sistema finanziario. Lo stesso Dong, però, fa una precisazione. “È inutile fornire più denaro, perché la liquidità è sufficiente ma la domanda non cresce: è un problema strutturale. La crescita dei consumi delle famiglie è in ritardo rispetto all’espansione degli investimenti e dell’industria manifatturiera da decenni, e ci sono pochi segnali che questa tendenza stia per cambiare”.

Attenzione, però, a non calcare la mano, qualora la Cina decidesse di tagliare i tassi. Abbassandosi il costo del denaro, infatti, le rate dei mutui contratti per l’acquisto di un’abitazione sono improvvisamente diventate più leggere e, conseguentemente, molti nuclei hanno deciso di velocizzare il rimborso dei prestiti per evitare che, un nuovo e possibile rialzo dei tassi, possa un domani rendere il debito nuovamente troppo pesante. In altre parole, finché costa meno onorare gli impegni con la banca, è il ragionamento di fondo, tanto vale ridurre il più possibile l’esposizione con gli istituti. Un bel dilemma.

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