Il leader cinese vede Macron e von der Leyen ma ha già fatto una scelta politica, quella di “rafforzare il legame con la Russia a scapito della difesa dei suoi tradizionali principi di politica estera”, osserva Giuseppe Gabusi, docente di International political economy e di Political economy dell’Asia orientale all’Università di Torino. Potrebbe essere “un’occasione persa”: “Se avesse fatto la scelta opposta, il suo soft power sarebbe aumentato notevolmente”
Che cosa possono ottenere davvero Emmanuel Macron, presidente francese, e Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, dal leader cinese Xi Jinping sull’Ucraina? “Temo assai poco, a parte le generiche affermazioni di principio già contenute nel cosiddetto ‘piano di pace’ proposto da Pechino”. Risponde così, interpellato da Formiche.net, Giuseppe Gabusi, docente di International political economy e di Political economy dell’Asia orientale all’Università di Torino, tra i fondatori del Torino World Affairs Institute e curatore del volume “L’Asia al centro del cambiamento” (Treccani).
“La Cina ha compiuto una scelta politica”, osserva Gabusi, cioè “rafforzare il legame con la Russia, perché entrambi i Paesi sono sottoposti alla stessa pressione dell’Occidente – degli Stati Uniti in particolare –, a scapito della difesa di tradizionali principi della politica estera cinese quali il rispetto della sovranità e dell’integrazione territoriale, e della non interferenza negli affari interni”. Il docente crede che questa possa passare alla storia come “un’occasione persa” per Pechino: “Se avesse fatto la scelta opposta, credo che il suo soft power, non solo tra i Paesi in via di sviluppo ma anche in Europa, sarebbe aumentato notevolmente”, spiega. E invece, “Pechino non ha nemmeno espresso parere favorevole alla risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che chiede il ritiro delle truppe russe”, ricorda.
Prima di partire per Pechino, Macron ha ricordato come dalla posizione che la Cina avrà sugli sviluppi della guerra in Ucraina dipenderà la natura delle future relazioni con l’Europa. La posizione della Cina sulla guerra, ha affermato von der Leyen, sarà il “fattore determinante” delle stesse. “Difficilmente Xi prenderà decisioni immediate che possano apparire una conseguenza diretta delle pressioni europee”, afferma Gabusi. “A meno che non sia disposto a fare piccole concessioni pubbliche – dal costo limitato, come una telefonata al presidente ucraino Volodymyr Zelensky – in cambio di una ripresa degli scambi economici. Macron, infatti, viaggia con 53 dirigenti d’azienda, e quindi la missione ha anche un obiettivo commerciale molto chiaro”, aggiunge.
La scorsa settimana von der Leyen ha pronunciato un importante diverso al Merics, centro studi di cui, come ricorda Gabusi, Pechino ha sanzionato alcuni ricercatori. “A differenza degli Stati Uniti, l’Unione europea ha una posizione più articolata, anche se ferma, nei confronti della Cina”, spiega il docente. Il recente discorso della presidente della Commissione europea “ha usato il bastone e la carota, da un lato segnalando che il decoupling non è nell’interesse di Bruxelles, ma dall’altro evidenziando come una ‘sana relazione’ (healthy engagement) bilaterale si debba basare sulla franchezza”, commenta.
“Malgrado abbia manifestato la preoccupazione per la nuova era di “sicurezza e controllo” inaugurata dal Partito comunista, allo stesso tempo ha segnalato la volontà di adottare una diplomazia di riduzione del rischio di fallimento delle relazioni”, prosegue. “In principio, Pechino può apprezzare questa intenzione, ma in pratica essa è accompagnata da una strategia di riduzione del rischio economico in quattro parti, tutte evidentemente basate sull’identificazione della Cina come minaccia: rendere l’economia europea più competitiva e resiliente, soprattutto nei settori tecnologici; utilizzare al meglio gli strumenti commerciali disponibili; adottare nuove misure di difesa dei settori sensibili dell’economia; fare squadra con i partner democratici. Nella sostanza, quindi, è lecito attendersi diffidenza da parte della leadership cinese, che ha spesso criticato l’Unione europea per essere, in ultima analisi, allineata sulla posizione americana di contrasto all’ascesa della Cina in un ordine internazionale nuovo o almeno rinnovato, più in linea con il nuovo status di Pechino nell’economia globale”, conclude Gabusi.