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Gian Maria Volonté, ritratto di un volto del cinema contro

Ritratto del più potente attore cinematografico italiano, a 90 anni dalla nascita, attraverso alcuni dei suoi più bei monologhi

Nel giorno di Pasqua avrebbe compiuto 90 anni, Gian Maria Volonté. Il volto del cinema contro. Uno dei massimi attori del Novecento. Poliforme interprete di figure vere e immaginarie, spesso emblematiche del potere o del contropotere. Antagonista, radicale, furente anche se via via sempre più asciutto, prossimo all’immobilità quasi giapponese di un Eduardo. Attore autore: un film diventava anche il suo, per il carisma raro della sua presenza. Memorabile per molte, diverse prove che ha offerto. Legate da molti fili rossi: a partire dal senso di violenza che incombe su questi personaggi, come vittime o come carnefici. E la giustizia, nel doppio e contrario movimento dell’aspirazione e del fallimento. E il ruolo della Storia, forza motrice che non è mai solo contesto: il cinema di Volonté è spesso un corpo a corpo con la Storia.

Proponiamo questa parziale galleria, isolando i monologhi o le più famose battute che Volonté ha interpretato: alcune scolpite nella memoria collettiva, alcune da scoprire.

L’UOMO COL FUCILE

Nel 1964 ha già fatto tanto teatro e un po’ di sceneggiati televisivi. Ma Volonté non è ancora un divo. Al punto che viene ancora doppiato, anche se ha la voce forte e curata d’accademia. Per ragioni quasi del tutto alimentari, accetta di partecipare a un western di un regista romano, Sergio Leone. Il titolo è “Per un pugno di dollari”, protagonista un attore americano, Clint Eastwood, che poi si rivelerà uno dei più decisivi registi contemporanei. Volonté è Ramón, un criminale che si esalta con sigarette di marijuana e spara solo col fucile. In questo film, a Volonté tocca quella che diventa la battuta forse più celebre di tutto il cinema di Leone. Sta parlando con Joe (Eastwood).

  • Quando si vuole uccidere un uomo, bisogna colpirlo al cuore. Un Winchester è l’arma più adatta.
  • Sì, forse… ma io preferisco la pistola.
  • “Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto”. È un vecchio proverbio messicano.

(“Per un pugno di dollari”, 1964; regia di Sergio Leone; sceneggiatura di Sergio Leone, Duccio Tessari, Fernando Di Leo).

IL POPOLO È MINORENNE

“Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” arriva nei cinema nel 1970. Si sovrappone al clima survoltato della società italiana, ma incarna un’inquietudine anche più ampia: anche in America viene subito amato, al punto da vincere l’Oscar per il miglior film straniero. L’idea di un uomo di legge che si sente a tal punto forte in ciò che rappresenta da voler misurare la propria forza infrangendo i limiti della legge stessa, è certamente un’idea forte. Ma il film si regge soprattutto su valori formali clamorosi. Quelli più evidenti: la musica di Ennio Morricone. E l’interpretazione di Volonté, la più iperbolica di tutta la sua carriera.

6.000 prostitute schedate, un aumento del 20% degli scioperi e occupazioni degli edifici pubblici e privati, 2.000 case d’appuntamento accertate, in un anno 30 attentati dimostrativi contro le proprietà dello Stato, 200 stupri in un anno, 50.000 studenti delle scuole medie in corteo per le vie della città, un aumento del 30% delle rapine e degli assalti alle banche, 10.000 schedati in più fra le fila dei sovversivi, 600 omosessuali schedati, più di 70 gruppi di giovani sovversivi che agiscono al di fuori dei limiti parlamentari, un aumento del 50% delle bancarotte fraudolente e dei protesti cambiari, un numero indescrivibile di riviste politiche che invitano alla rivolta!

L’uso della libertà minaccia da tutte le parti i poteri tradizionali, le autorità costituite… L’uso della libertà, che tende a fare di qualsiasi cittadino un giudice, che ci impedisce di espletare liberamente le nostre sacrosante funzioni. Noi siamo a guardia della legge. Che vogliamo immutabile. Scolpita nel tempo. Il popolo è minorenne!, la città è malata! Ad altri spetta il compito di curare e di educare. A noi, il dovere di reprimere! La repressione è il nostro vaccino! Repressione è civiltà!

(“Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, 1970; regia di Elio Petri; sceneggiatura di Elio Petri, Ugo Pirro).

INNOCENZA ALLA SBARRA

Un calzolaio e un pescivendolo, italiani emigrati in America, anarchici, processati per un attentato, vengono ingiustamente condannati alla sedia elettrica. Sono Bartolomeo Vanzetti e Nicola Sacco. Una delle pagine più nere della giustizia internazionale, esempio palese di processo alle idee e non agli atti (mai commessi). Giuliano Montaldo affida la parte di Sacco a Riccardo Cucciolla e a Volonté quella di Vanzetti. Questo è il suo discorso davanti alla corte, prima di essere mandato a morte.

Ho da dire che sono innocente. In tutta la mia vita non ho mai rubato, non ho mai ammazzato, non ho mai versato sangue umano, io. Ho combattuto per eliminare il delitto. Primo fra tutti: lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. E se c’è una ragione per la quale sono qui è questa, e nessun’altra. Una frase, una frase, signor Katzmann, mi torna sempre alla mente: “Lei, signor Vanzetti, è venuto qui nel paese di Bengodi per arricchire”. Una frase che mi dà allegria. lo non ho mai pensato di arricchire. Non è questa la ragione per cui sto soffrendo e pagando. Sto soffrendo e pagando perché sono anarchico… e me sun anarchic! Perché sono italiano… e io sono italiano. Ma sono così convinto di essere nel giusto che se voi aveste il potere di ammazzarmi due volte, e io per due volte potessi rinascere, rivivrei per fare esattamente le stesse cose che ho fatto.

(“Sacco e Vanzetti”, 1971; regia di Giuliano Montaldo; sceneggiatura di Giuliano Montaldo, Fabrizio Onofri, Mino Roli).

LA DIGESTIONE DEI POTENTI

Di Volonté è spesso ricordata la eccezionale capacità mimetica applicata alla resa di un personaggio davvero esistito: non un’imitazione, ma una ricostruzione, eretta su basi psicologiche, capace di situare il carattere su una scala più che biografica, quasi epocale. La prima prova di questo tipo è con Enrico Mattei in “Il caso Mattei” di Francesco Rosi, che ricostruisce la morte del capo dell’Eni, il più drammatico cold case della storia d’Italia del dopoguerra. Il Mattei di Volonté è un uomo di potere, di un potere che si è creato da sé, un potere che finisce col porsi come contropotere nel grande scacchiere dei massimi interessi economici del mondo.

Il petrolio fa cadere i governi, fa scoppiare le rivoluzioni, i colpi di Stato, condiziona l’equilibrio nel mondo… Se l’Italia ha perso l’autobus del petrolio è perché gli industriali italiani, questi grandi industriali, non se ne sono mai occupati, non volevano disturbare la digestione dei potenti… Il destino di milioni e milioni di uomini nel mondo in questo momento dipende da 4 o 5 miliardari americani. La mia ambizione è battermi contro questo monopolio assurdo. E se non ci riuscirò io, ci riusciranno quei popoli che il petrolio ce l’hanno sotto i piedi.

(“Il caso Mattei”, 1972; regia di Francesco Rosi; sceneggiatura di Tito Di Stefano, Tonino Guerra, Nerio Minuzzo, Francesco Rosi).

LEZIONI DI GIORNALISMO

Il Giornale di Indro Montanelli compare nelle edicole nel 1974. Ma già due anni prima, con “Sbatti il mostro in prima pagina” che nei primi minuti mostra una breve immagine di un comizio del giovane missino Ignazio La Russa, Marco Bellocchio mette in scena “Il Giornale”, quotidiano milanese di destra rivolto alla maggioranza silenziosa, impaurita dal piombo e dalla contestazione. Il direttore si chiama Giancarlo Bizanti, e qui sta discutendo col suo redattore Roveda.

Chi è il nostro lettore? È un uomo tranquillo, onesto, amante dell’ordine, che lavora, produce, crea reddito. Ma è anche un uomo stanco, Roveda, scoglionato. I suoi figli, invece di andare a scuola, fanno la guerriglia per le strade di Milano. I suoi operai sono sempre più prepotenti, il Governo non c’è, il Paese è nel caos. Apre Il Giornale per trovare una parola serena, equilibrata, e che cosa ci trova? Il tuo pezzo, Roveda. Ho copiato parola per parola il tuo occhiello e il tuo titolo: “Disperato gesto di un disoccupato. Si brucia vivo padre di cinque figli”. Ora, io non sono Umberto Eco e non voglio farti una lezione di semantica applicata all’informazione, ma mi pare evidente che la parola “disperato” è gonfia di valori polemici. Se poi me lo unisci alla parola “disoccupato”, “disperato disoccupato”, beh, allora ci troviamo di fronte a una vera e propria provocazione. Compiuta la quale, tu prendi questo pover’uomo di lettore e gli sbatti in faccia cinque orfani e un cadavere carbonizzato. No, dico, cosa vogliamo farne di questo pover’uomo di lettore, un nevrotico? Gli ha forse dato fuoco lui? Vogliamo vedere di rifare insieme questo titolo? Può capitare a tutti di sbagliare, no? Scrivi: ”Drammatico suicidio”. “Drammatico suicidio”, due parole. “Di…” Cos’è, un calabrese, il poveretto?

(“Sbatti il mostro in prima pagina”, 1972; regia di Marco Bellocchio; sceneggiatura di Sergio Donati, Goffredo Fofi).

INFINITI MONDI

Dopo Vanzetti, Giuliano Montaldo manda nuovamente al patibolo Volonté, stavolta nei panni di Giordano Bruno. La più famosa vittima dell’Inquisizione, che ordina il rogo del domenicano in Campo de’ Fiori del 1600. Un altro uomo che perde la vita per le sue idee. Un’altra potentissima prova di Volonté.

La natura tutta è governata da una profonda armonia. Invisibili linee collegano le piccole cose della Terra, come per esempio il potere degli uomini, agli astri, agli infiniti mondi che ancora non conosciamo. A una nuova visione del cosmo deve per forza corrispondere una nuova concezione dell’uomo. Se è la Terra a girare intorno al Sole, così come gli altri pianeti girano intorno al Sole, se esistono altri soli, altri sistemi solari sparsi nell’universo, se ciò è vero, ed è vero, allora Dio non è in alto, sopra di noi, fuori dal mondo, ma ovunque, in ogni particella di materia, inerte o vivente che sia. È la materia stessa!

(“Giordano Bruno”, 1973; regia di Giuliano Montaldo; sceneggiatura di Piergiovanni Anchisi, Lucio De Caro, Giuliano Montaldo).

LE STIGMATE DEL PRESIDENTE

“Todo modo”, prendendo le mosse dal romanzo apologo di Leonardo Sciascia, voleva essere nelle intenzioni del regista Petri un processo alla Dc. Alla Dc di Moro. È Moro infatti quel Presidente interpretato da Volonté, emblema di un potere sordo e chiuso in sé stesso, incapace di relazionarsi nel profondo col Paese flagellato da una misteriosa epidemia (il terrorismo? la corruzione? o forse uno per tutti i mali d’Italia). Due anni dopo l’uscita del film, l’eccidio di via Fani e l’assassinio del capo democristiano avrebbero messo questo film in una luce sinistra. Anche se, come in un cortocircuito, a leggere le accuse scritte dal vero prigioniero Moro contro il suo stesso partito, sembra di riascoltare certi strali di questo film.

Qui il Presidente è a colloquio privatissimo con lo spietato don Gaetano (Marcello Mastroianni), confessore e insieme accusatore di tutti i capi del partito, riuniti in un albergone isolato per fare degli esercizi spirituali sul modello di quelli di Ignazio di Loyola, e destinati, i capi, tutti, a brutta fine.

  • Devo dire tutto quello che ho scoperto? Far crollare il castello? Ci dobbiamo consegnare al nemico? Rovesciare la piramide? I rapporti di classe? Cambiare, cambiare, cambiare? Cambiare cultura, cambiare tutto? Cambiare veramente?
  • “Todo modo para buscar la voluntad divina”.
  • Ah… e che cos’è la volontà divina? Io sono un politico, ho bisogno di indicazioni concrete.
  • Tu sei un uomo come tutti gli altri… ami il potere?
  • Sì, magmaticamente.
  • Sei pronto a cederlo?
  • Ehhh… e a chi? Non ce ne sono meglio di me… Sai, io credo di avere una missione da compiere, sì…
  • Hai le stigmate?
  • Eh… sì, sì, a volte mi pare di vederle, sì sì sì, guarda, anche adesso, vedi?
  • Io non le vedo… Tu sei come gli altri, segui il loro esempio. E non fingere più
  • E no! Io non sono come gli altri! Io sono diverso dagli altri! Io non sono arrogante, io non sono ipocrita, io sono una persona perbene! Sono una persona onesta, non rubo, io, non manco ai patti, io, non rubo, io!

(“Todo modo”, 1976; regia di Elio Petri; sceneggiatura di Elio Petri, Berto Pelosso).

PICCOLO FILIPPIDE

La galleria di Volonté non è fatta solo di personaggi epici, di mattatori del destino. Negli Ottanta, Luigi Comencini gli offre la parte di un uomo comune, un autista di corriera, nel Sud del 1960, un comunista zoppo, baffuto come Vanzetti, appassionato di atletica, che aiuta un ragazzino, Mimì, dalle grandi doti di corridore ad affermarsi nello sport nonostante un ambiente a lui profondamente ostile. È il riscatto della povera gente, degli Abebe Bikila italiani.

Era l’anno… adesso non mi ricordo più esattamente che anno era, avanti prima di Cristo… Però, proprio in quell’anno lì, i Persiani tentarono l’invasione della Grecia. A Maratona, ci fu una battaglia terribile, che vinsero i Greci. A portare la notizia della vittoria ad Atene, Mimì!, fu Filippide! Che fece i 42 chilometri che separano Maratona da Atene di corsa, e senza fermarsi mai… E lì nacque la maratona.. Eh, Mimì, è la più bella di tutte le gare… È la gara per i disgraziati come noi, abituati a faticare fin dalla nascita… È la tua gara, Mimì.. È la gara che tu devi vincere… Tu quando corri, corri sempre per lunghe, lunghe distanze… Domenica, a Roma, alle Olimpiadi, c’è la maratona. E corre un negro senza scarpe. Come te.

(“Un ragazzo di Calabria”, 1987; regia di Luigi Comencini; sceneggiatura di Demetrio Casile, Francesca Comencini, Ugo Pirro).

IL RAGIONARE

Frutto dell’ultima stagione creativa di Sciascia, segnata da un pessimismo metafisico senza speranza, “Una storia semplice” viene portata sul grande schermo da Emidio Greco come racconto del fallimento di ogni possibile giustizia. Volonté è un vecchio professore di italiano, che incontra un suo vecchio allievo: un uomo di nessun talento, perfetta tessera di un sistema deragliato.

  • Nei componimenti di italiano lei mi assegnava sempre un 3, perché copiavo. Poi una volta mi ha dato un 5. Ma perché?
  • Perché quella volta aveva copiato da un autore più intelligente.
  • Ahahah… Eh già, l’italiano… ero piuttosto debole in italiano. Ma come vede, non è stato un gran guaio. Adesso sono qui. Procuratore della Repubblica.
  • Veda, l’italiano non è “l’italiano”… è il ragionare! Con meno italiano, lei sarebbe forse ancora più in alto.

(“Una storia semplice”, 1991; regia di Emidio Greco; sceneggiatura di Andrea Barbato, Emidio Greco).

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