La crescita della Cina nei settori delle tecnologie digitali e delle energie rinnovabili. Conversazione con il direttore di Sfide (UnitelmaSapienza). “Usa e Ue non hanno colmato ancora questo evidente gap con la Cina, impegnandosi poco nel disegno di efficaci politiche industriali orientate al sostegno della ricerca, delle produzioni ad alto contenuto tecnologico e al contenimento di consumi dipendenti dalle importazioni da Paesi a regimi autocratici”
La vera forza di un Paese e di un continente, oggi, si misura nella capacità di saper innovare, investire e moltiplicare le risorse. Lo scorso 6 dicembre 2022, in occasione della presentazione a Bruxelles del report I-Com dal titolo “Fast track to EU Strategic Autonomy. Speed check for digital, green and health”, è stato illustrato il posizionamento dell’Unione europea nel contesto globale. Diversi gli spunti di interesse, in particolar modo le iniziative decise dalle istituzioni per rafforzare la competitività e conseguire l’autonomia strategica europea rispetto al resto del mondo nei settori energia, salute e digitale. In un mondo che va sempre più veloce qual è la dimensione europea oggi? Ne abbiamo parlato con Roberto Pasca di Magliano, direttore della School of Financial Cooperation and Development SFIDE di UnitelmaSapienza.
Per almeno un paio di decenni gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno assistito alla tumultuosa avanzata cinese nei settori delle tecnologie digitali e delle energie rinnovabili. Quali prospettive?
Stati Uniti e Unione europea non hanno colmato ancora questo evidente gap con la Cina, impegnandosi poco nel disegno di efficaci politiche industriali orientate al sostegno della ricerca, delle produzioni ad alto contenuto tecnologico e al contenimento di consumi dipendenti dalle importazioni da Paesi a regimi autocratici.
Dopo la fine dell’economia pianificata succeduta alla fine dell’Unione Sovietica, l’Occidente si è adagiato sulla speranza che il libero mercato – grazie al principio della concorrenza – avrebbe prima o poi influenzato anche le istituzioni autoritarie verso un cammino ispirato alla libera democrazia. Questa previsione è stata smentita dalla realtà?
Sì. Il mercato è cinico e, come tale, è capace di adattarsi a qualsiasi sistema, anche alle dittature più rigide e capaci di trarne maggiori benefici proprio per la loro capacità di controllare i costi del lavoro. Ed è proprio la capacità di “sfruttare” le forze del libero mercato a proprio vantaggio che ha permesso alla Cina di attrarre investimenti nei settori dell’elettronica avanzata (semiconduttori, batterie, micro chips, reti telefoniche, intelligenza artificiale, maxi computer).
Lo scorso anno la Cina ha superato gli Usa come primo partner commerciale dell’Unione europea. Che cosa ne pensa?
Il sorpasso è avvenuto a seguito di un aumento delle importazioni dalla Cina del 5,6%, per un totale di 383,5 miliardi di euro, e di un incremento delle esportazioni europee del 2,2% (202,5 miliardi di euro). L’export italiano è cresciuto del 3,7% a fronte di un balzo dell’import di ben il 54,4%: un saldo negativo causato da un forte incremento dell’import di prodotti elettronici ed elettrici, strategici per l’economia. Peraltro, la Cina va rafforzando i legami commerciali con la Russia, da cui importa petrolio, gas, carbone e materie agricole ed esporta, non sono beni di consumo, ma anche diversi tipi di macchinari industriali. All’opposto le importazioni dagli Stati Uniti sono diminuite del 13,2% scendendo a 202 miliardi di euro e le esportazioni hanno registrato una flessione dell’8,2% attestandosi sui 353 miliardi di euro. Anche se il fenomeno pare attenuarsi per effetto dei condizionamenti politici che spingono le imprese verso un reshoring, molte multinazionali americane ed europee hanno trasferito parte della loro produzione in Cina che si è avvantaggiata del know-how tecnologico facendola diventare, tra l’altro, leader della produzione di auto elettriche con una quota pari al 30% del totale (Unione europea 20%, Stati Uniti 7%), delle energie rinnovabili e delle componenti elettroniche ed elettriche.
L’Italia in Cina. Quali i numeri?
L’Italia è presente in Cina con circa 2.300 imprese che impiegano più di 60.000 lavoratori e generano un fatturato di almeno 5 miliardi di euro. I settori di maggiore interesse sono la meccanica e il tessile. Gli investimenti diretti cinesi, nonostante l’ostruzionismo verso la Lituania, le controversie sui brevetti e il congelamento del Comprehensive Agreement on Investment nel 2022, sono cresciuti del 3% (96 miliardi di euro) e continuano a crescere; dai porti, alla sanità, all’automotive, a molti comparti strategici. Guardando all’Italia, la State Grid Corporation è in Cdp Reti, società che racchiude le quote di controllo di Snam, Italgas e Terna e investe in infrastrutture strategiche nei settori del gas e dell’energia elettrica.
A seguito della pandemia e della successiva guerra in Ucraina lo scacchiere internazionale è andato via via modificandosi, frammentandosi in nuove alleanze che vedono i Paesi occidentali, spesso, confusi in primi al loro interno. Tutto questo si traduce in politiche estere spesso insicure a vantaggio di nuove alleanze.
Lo scenario mondiale di “potenze contrapposte” è andato ulteriormente deteriorandosi a seguito alla pandemia e ancor più con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Le autocrazie, sostenute da cinici oligarchi, hanno alzato il tiro inasprendo la dipendenza tecnologica dell’Occidente e quella energetica dell’UE e ostacolando la ricerca di compromessi con le liberal-democrazie. Gli Stati Uniti reagiscono scegliendo la via del protezionismo. Con l’Inflation Reduction Act (370 miliardi di dollari) e la manovra aggiuntiva del Chips Act (69 miliardi di dollari) intendono agire sul reshoring e ancor più sull’attrazione di nuovi investimenti strategici nella transizione tecnologica concedendo generosi aiuti sia a consumatori sia a imprese nei settori high-tech strategici (pannelli solari, turbine eoliche, batterie e altre componenti per i veicoli elettrici), purché l’intera filiera sia realizzata negli Stati Uniti o anche in Canada e Messico.
La globalizzazione subirà un rallentamento?
Pensare a uno stravolgimento della globalizzazione è seriamente difficile, e peraltro non auspicabile, ma attuare politiche industriali capaci di accrescere l’indipendenza tecnologica ed energetica è diventata oggi una necessità per riscattare le democrazie dall’aggressività delle autocrazie. La globalizzazione ha spinto alla creazione di un unico grande mercato mondiale nel quale potessero circolare capitali, merci, servizi e informazioni, ma ha anche accresciuto l’interdipendenza tra intere zone del pianeta. Grazie alle tecnologie digitali si esaspera liberalizzazione del mercato, che spinge alla de-regolazione economica e alla delocalizzazione della produzione verso paesi ove costi per unità di prodotto sono più bassi.
Protagoniste sono le multinazionali che delocalizzano, anche parte della produzione, verso paesi dotati di capacità tecnologiche anche se caratterizzati da bassi standard di tutela del lavoro. Che cosa ne pensa?
Globalizzazione e concorrenza hanno reso disponibili prodotti e servizi a prezzi più bassi, ma hanno anche accresciuto la dipendenza tecnologica da paesi governati da autocrazie e dittature. Queste in sintesi le ragioni che rendono necessaria e urgente un’efficace politica industriale europea capace di concedere sussidi alla crescita delle tecnologie strategiche, dalla R&S agli investimenti in comparti digitali ed energetici. Obiettivi e strumenti di un’efficace politica industriale europea, da sviluppare in una prospettiva di stretta collaborazione con gli Stati Uniti, devono rispettare la sostenibilità economica, sociale, istituzionale e insieme accrescere l’indipendenza energetica e tecnologica.
E poi c’è il Next Generation Eu.
Determinante il programma di aiuto varato dell’Unione europea il 14 dicembre 2020, tradotto in programmi nazionali (Pnrr) ai nuovi obiettivi di indipendenza tecnologica ed energetica. Inoltre per contrastare la concorrenza cinese e rispondere efficacemente alla pioggia di sussidi americani, l’Unione europea annuncia un Green Deal Industrial Plan inteso a rinnovare il quadro normativo a sostegno a sostegno dello sviluppo sostenibile (Net-Zero Industry Act) e far leva in una prima fase su risorse esistenti (REPowerEU, InvestEU, Innovation Fund) cui dovrebbe seguire la costituzione di un fondo comune (European Sovereignty Fund) per sostenere gli investimenti nella transizione energetica e tecnologica a favore di imprese più promettenti sul piano tecnologico e più redditizie. Se, quindi, non è possibile né auspicabile contrastare la globalizzazione perché generata da tecnologie e non da scelte politiche, pandemia e guerra insegnano che non si può lasciar fare solo al mercato ma occorre un ruolo guida dello Stato per disegnare adeguate ed efficaci politiche industriali tra paesi affini, uniti da valori comuni.