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La coerenza politica dei cattolici? Solo con i propri “maestri”

Quando si parla di “coerenza” politica e culturale di chi continua, oggi, a riconoscersi nelle linee fondanti delle grandi esperienze politiche del passato, non si tratta di replicare goffamente ciò che non è più replicabile perché la storia scorre velocemente e non si ripete meccanicamente. Semplicemente, si tratta semmai di affrontare le grandi sfide del presente con la sensibilità e i valori del passato. Il commento di Giorgio Merlo

Spesso si parla della coerenza politica dei cattolici. E spesso, purtroppo, non mancano anche coloro che pensano di rappresentarli in modo esclusivo ed esaustivo. Ora, tutti sappiamo che il voto dei cattolici, da ormai molto tempo, segue e riflette l’orientamento generale dei cittadini/elettori del nostro Paese. Certo, l’assenza di un partito politico di ispirazione cristiana – che sia la Dc, il Ppi o l’Udc poco importa – non è una variabile indipendente ai fini del consenso elettorale complessivo dei cattolici stessi. Ma è altrettanto indubbio che in un clima caratterizzato ormai storicamente da un forte e marcato pluralismo politico, la potenziale coerenza dei cattolici nella cittadella politica contemporanea la si misura solo e soltanto con quella dei rispettivi “maestri” politici. E questo non per un richiamo puramente nostalgico ma anche perché le culture politiche hanno un senso, un significato e una prospettiva solo se riescono ad essere interpreti di un filone di pensiero che va certamente aggiornato e rivisto ma che non può essere tradito o, peggio ancora, travisato per opportunismo o convenienza personale o di gruppo. E il modo migliore per cercare di essere coerenti con la propria storia è quello di rileggere con attenzione e particolare dedizione il “magistero” politico, culturale ed istituzionale dei rispettivi “maestri”. E, soprattutto, tenendo conto di come si sono comportati concretamente nella loro stagione storica e quali scelte hanno compiuto nel partito e nelle istituzioni.

Per fare un solo esempio, i grandi leader della sinistra sociale di ispirazione cristiana del passato si sono sempre caratterizzati su alcuni tasselli di fondo. E cioè, fieri ed orgogliosi della loro identità culturale e politica; politicamente e culturalmente, ma mai dogmaticamente, anticomunisti; nessun cedimento al clericalismo confessionale ed integralista; socialmente avanzati perché l’emancipazione, la promozione e la difesa degli interessi e delle istanze dei ceti popolari è sempre stata al centro della loro azione politica, culturale e legislativa.

E, per fermarsi a questa storica e gloriosa esperienza politica e culturale, si tratta di un percorso profondamente diverso da chi, sempre all’interno dello stesso mondo del cattolicesimo politico, si è caratterizzato invece per altri elementi e su altri versanti. Li esemplifico: scarsa disponibilità alla difesa e alla promozione dei ceti popolari; maggior propensione al dialogo e alla convergenza con la sinistra post o ex comunista; una maggior frequentazione – per dirla con un eufemismo – con i cosiddetti “poteri forti” e, in ultimo, una più raffinata “cultura del potere”.

Due modelli politici e culturali profondamente diversi che nella storia hanno avuto altrettanti riferimenti politici molti diversi tra di loro. Quando parlo della sinistra sociale di ispirazione cristiana penso a leader e statisti come Carlo Donat-Cattin e Franco Marini. Quando, invece, si parla di una sinistra cattolica più tecnocratica, legata ai tradizionali “poteri forti” e meno interessata a marcare la propria identità, il pensiero corre immediatamente al pensiero e al percorso di altri leader e statisti come ad esempio Romano Prodi e a tutti coloro che gravitavano – e gravitano – attorno alla cosiddetta “scuola bolognese” che rappresentava un’altra variante della sinistra cattolica.

Per questi semplici motivi, quando si parla di “coerenza” politica e culturale di chi continua, oggi, a riconoscersi nelle linee fondanti delle grandi esperienze politiche del passato, non si tratta di replicare goffamente ciò che non è più replicabile perché la storia, come tutti sanno, scorre velocemente e non si ripete meccanicamente. Semplicemente, si tratta semmai di affrontare le grandi sfide del presente con la sensibilità e i valori del passato. Cioè, detto in altre parole, senza rinnegare la storia da cui si proviene. Per queste ragioni non è possibile oggi – per fare un solo esempio concreto e contemporaneo – per i cattolici popolari e sociali riconoscersi passivamente in una destra ancora fortemente identitaria o in una sinistra radicale e massimalista o, peggio ancora, in un populismo anti politico e qualunquista. Ne va della credibilità, della coerenza e della trasparenza di una tradizione e di una cultura politica. Semmai, va studiata, e al più presto, un’altra modalità di presenza politica e di coerenza culturale.


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