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Cosa implicano per l’Italia le parole di Macron sulla Cina? Risponde Ghiretti (Merics)

Se da un lato la narrazione del presidente francese potrebbe facilitare una decisione di rinnovare il memorandum sulla Via della Seta, dall’altra aumenta l’attenzione statunitense sul posizionamento degli attori europei, spiega Francesca Ghiretti, analista del Mercator Institute for China Studies di Berlino

Il problema principale delle parole pronunciate da presidente francese Emmanuel Macron, di ritorno al suo viaggio in Cina, sull’autonomia che l’Unione europea dovrebbe avere dagli Stati Uniti “sono proprio le parole scelte”. È quanto sostiene Francesca Ghiretti, analista del Mercator Institute for China Studies (Merics) di Berlino.

In che senso?

I concetti in sé non sono ne nuovi né vanno contro alla posizione dell’Unione europea, nemmeno alle parole del discorso sulla Cina della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen di due settimane fa. La scelta di usare frasi come “essere presi da crisi che non sono nostre” o fare un parallelo tra il desiderio di unità dell’Unione europea e quello della Repubblica popolare cinese con Taiwan rendono la comunicazione di Macron problematica.

Come mai?

Invece di comunicare che l’Unione europea dovrebbe elaborare una propria strategia così da evitare – nel limite del possibile – di essere solo vittima della competizione tra Cina e Stati Uniti o di comunicare che è necessario capire come la Cina si approccia a determinate questioni per elaborare una strategia europea efficace, finisce con il perpetrare la narrazione offerta da Pechino sia sull’autonomia strategica sia su Taiwan. Il problema però rimane più di forma che di contenuto.

Come avranno accolto negli Stati Uniti le parole di Macron?

Partiamo dal presupposto che a Washington l’autonomia strategica non è particolarmente apprezzata, e questo è spesso il risultato di una mal interpretazione di che cosa essa sia. L’intervista di Macron va a inasprire questi sentimenti piuttosto che portare a un risultato ben più desiderato, quello di far comprendere agli Stati Uniti che l’autonomia strategica, ovvero un’Europa più indipendente (anche militarmente) è esattamente ciò che la gran parte di loro chiede da anni. Purtroppo, la menzione dell’Unione europea come terzo polo complica la possibilità di cambiare la prospettiva a Washington. Indubbiamente, il modo in cui viene menzionata Taiwan, che è un punto su cui gli europei rimangono alquanto ambigui, non deve essere stato apprezzato lì.

Macron potrebbe aver aperto in qualche modo un’occasione per l’Italia, con il governo atteso entro fine anno a una decisione sul rinnovo del memorandum d’intesa sulla Via della Seta firmato nel 2019?

Non penso che né la visita né l’intervista di Macron cambino radicalmente le opzioni per l’Italia. Per quanto riguarda la parte economica, il cancelliere tedesco Olaf Scholz era già andato con una delegazione di imprese. Quindi, l’Italia poteva già fare lo stesso prima di Macron. Dal punto di vista diplomatico, Macron non ha realmente ottenuto molto di più dei suoi predecessori. Dal punto di vista geopolitico, tuttavia, la situazione per l’Italia potrebbe essere più complessa. Se da un lato la narrazione di Macron potrebbe facilitare una decisione da parte italiana di rinnovare il memorandum d’intesa sulla Via della Seta, dall’altra non ha fatto altro che aumentare l’attenzione statunitense sul posizionamento degli attori europei verso la Cina e quindi ridurre ulteriormente la possibilità che tale rinnovo possa passare inosservato o essere percepito come qualcosa di marginale. Allo stesso tempo, da qui al 2024, tutto può cambiare.



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