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Ucraina, Africa, Usa e Cina. Cosa (non) ha detto Meloni al “Foglio”

Nel lungo colloquio pubblicato oggi, il presidente del Consiglio ribadisce il sostegno a Kyiv, rilancia il tema della stabilità alla frontiera sud, propone nuove partnership commerciali transatlantiche e parla dei rischi della dipendenza da Pechino sull’elettrico. Ma non del memorandum sulla Via della Seta

Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, in una lunga intervista con Il Foglio ha parlato di presidenzialismo, di Ucraina (“Daremo all’ucraina tutta l’assistenza di cui ha bisogno per esercitare il diritto alla legittima difesa”), di Cina (“Fare il disaccoppiamento dal gas russo per poi dipendere dalle terre rare della Cina sull’elettrico non è una scelta saggia”) ma non di Via della Seta mentre si avvicina la scadenza per una decisione sul rinnovo del memorandum d’intesa, di immigrazione (“Il problema della frontiera sud non è solo dell’Italia, ma dell’intera Europa”) e di Pnrr (tornando a puntare il dito verso i predecessori, Giuseppe Conte e Mario Draghi: “Il Pnrr è una sfida per tutti, ma alcune cose vanno dette: lo abbiamo ereditato dai precedenti governi e il tentativo di mettere sulle spalle del mio esecutivo il peso di scelte sbagliate e ritardi ha il fiato corto”).

L’IMMIGRAZIONE

“L’immigrazione non è un tema ‘a parte’ rispetto al quadro geopolitico che ho cercato di descrivere”, ha dichiarato Meloni definendolo “un fenomeno che va regolato” e spiegando che “non possiamo permettere che siano i trafficanti a scegliere chi arriva in Italia”. “Il conflitto in Sudan, la presenza del gruppo Wagner in Africa, come ha ricordato il presidente Mattarella, sono un altro capitolo della ‘lunga guerra’ tra potenze vecchie, nuove, emergenti. La guerra in Ucraina ha un impatto multidimensionale – pensi alla crisi alimentare e delle materie prime che impatta sul destino di milioni di persone nelle aree più povere dell’Africa – che solo ora comincia a essere compreso nella sua pienezza”.

LA FRONTIERA SUD

“Il problema della frontiera sud non è solo dell’Italia, ma dell’intera Europa”, ha detto ancora. La situazione in Tunisia mi preoccupa ogni giorno che passa, ha bisogno di una risposta urgente, i servizi ci dicono che una potenziale ondata di 900 mila persone si prepara a sbarcare sulle coste dell’Europa. La Tunisia è uno stato che rischia il collasso economico e voglio ricordare – a futura memoria – che dalle città tunisine partirono le ‘primavere arabe’ che una politica sbagliata di nation building ha poi trasformato in drammatici inverni. Aggiunga la Libia dopo la caduta di Gheddafi, l’area del Sahel che è la prima porta d’ingresso verso l’Europa, la crescita demografica che prevede un aumento della popolazione africana di centinaia di milioni di persone e il quadro della crisi migratoria è completo, sotto gli occhi di chi vuol vedere. Se le aspirazioni al benessere e alla giustizia sociale non trovano risposte concrete – finanziamenti e riforme, assistenza che va declinata in presenza – il fallimento e il caos sono dietro l’angolo.

LA TUNISIA

“La nostra diplomazia è impegnata con determinazione in tutte le sedi diplomatiche: va sbloccato il finanziamento di 1,9 miliardi del Fondo monetario internazionale alla Tunisia, devono muoversi l’Unione europea e la Banca mondiale. Visti i soggetti coinvolti, è chiaro che serve una collaborazione che va oltre i confini dell’Ue: l’Africa ha bisogno di un’azione anche degli Stati Uniti, degli alleati”, ha spiegato ancora Meloni.

IL PIANO MATTEI

“Stiamo lavorando a un ‘Piano Mattei’ per l’Africa e lo mettiamo sul tavolo delle azioni concrete: un modello di cooperazione non ‘predatorio’ che dia la possibilità alle nazioni africane di cogliere con il nostro aiuto le grandi opportunità che derivano dalle loro risorse”, ha dichiarato Meloni in merito al piano che dovrebbe essere presentato a ottobre.

L’UE E L’AFRICA

Sono tre i punti in cui l’Unione europea deve impegnarsi sono una conseguenza logica: “deve dar vita a un’operazione navale e aerea per la sorveglianza del Mediterraneo centrale e orientale e il contrasto dei trafficanti di esseri umani, in stretto coordinamento e appoggio con i paesi di partenza, che a loro volta devono essere dotati di tutti i mezzi necessari per stroncare la tratta”; “deve disporre di una robusta capacità finanziaria per gli investimenti economici nel continente africano, i finanziamenti dovranno essere erogati sulla base di accordi vincolanti, misurabili per obiettivi e risultati, prima di tutto con gli stati che sono oggi le basi di partenza dei migranti e con i paesi più poveri che hanno bisogno di aiuto immediato: cooperazione virtuosa in cambio di impegno a combattere l’immigrazione illegale”; deve avere una “presenza capillare” in “formazione, istruzione e ricerca per i giovani del continente africano”, aiutando “l’apertura concreta alla partecipazione delle donne alla vita delle istituzioni, la crescita culturale e consapevole dei diritti (penso anche al grande tema della libertà religiosa in paesi in cui ancora si muore perché cristiani) e dei doveri di ogni essere umano che costituisce il patrimonio più grande dell’Africa”.

IL PNRR

“Il Pnrr è una sfida per tutti, ma alcune cose vanno dette: lo abbiamo ereditato dai precedenti governi e il tentativo di mettere sulle spalle del mio esecutivo il peso di scelte sbagliate e ritardi ha il fiato corto”, ha dichiarato. “Stiamo lavorando con la Commissione europea e intendiamo avvalerci di tutti i mezzi a nostra disposizione per realizzare le opere e fare le riforme necessarie. Il Pnrr soffre degli stessi problemi di altri strumenti concepiti prima del cambio dello scenario geopolitico. Siamo in un’economia di inflazione alta, rialzo dei tassi e guerra, non più di emergenza post pandemia. Il Pnrr ha problemi di costi delle opere – aumentati a causa del rialzo dei prezzi dei materiali da costruzione, non solo dell’energia – e ha un approccio ideologico di cui risente una certa transizione green calata dall’alto che ha bisogno di una correzione di rotta: difetta di pragmatismo e per calarlo nella realtà italiana (come in quella di altri stati) servono determinazione e calma, velocità e ponderazione. Una cosa è scriverlo (in qualche parte, male) a tavolino, un’altra è realizzare i progetti”, ha aggiunto. La priorità è una: “non perdere soldi. E noi questo faremo, riportando le cose alla loro dimensione di progettazione e fattibilità”.

TRA USA E CINA

“Il protezionismo di Washington non sparisce, ma a esso si risponde con la concorrenza aperta e leale tra noi e gli Stati Uniti, con nuove partnership commerciali transatlantiche, con politiche allineate delle banche centrali sui tassi e la gestione delle crisi (ricorrenti e sempre più ravvicinate), di collaborazione virtuosa dell’occidente per contrastare il vero pericolo per le nostre economie trasformatrici, la Cina e le altre economie non più emergenti, ma emerse e in piena rivoluzione industriale”, ha spiegato.

DIPENDENZA CINESE

“Sulla transizione, la nostra politica è quella di usare al massimo il mix energetico delle fonti, rispondere al principio della neutralità tecnologica ed evitare dipendenze come in passato. Fare il disaccoppiamento dal gas russo per poi dipendere dalle terre rare della Cina sull’elettrico non è una scelta saggia, la transizione deve essere graduale, senza rischiosi balzi in avanti”, ha dichiarato. “In questa chiave lavoriamo con l’Unione europea, abbiamo salvato il motore endotermico e aperto un negoziato sui biocarburanti, siamo sulla strada giusta. La sicurezza nazionale non è solo quella dell’approvvigionamento energetico diversificato, ma la difesa dei posti di lavoro nella nostra manifattura, in particolare nel settore dell’automobile dove l’Italia è un grande produttore. Dobbiamo sviluppare la ricerca, investire in tecnologia, attrarre investimenti. Sono le linee guida di una politica che seguiamo in tutti i settori. In questo senso, la continuità, quando è nel solco dei risultati positivi raggiunti, è un valore”.

LA GUERRA IN UCRAINA

“In Ucraina è in gioco non un’astratta libertà, ma quella dell’Europa, i nostri confini materiali e ideali sono minacciati dalla guerra d’aggressione della Russia”, ha dihciarato. “Siamo di fronte alla più grave crisi mondiale degli ultimi decenni, abbiamo ogni giorno la prova della competizione durissima tra l’occidente e quel ‘resto del mondo’ che di fronte a un segnale di ‘resa’, un rallentamento dell’azione a supporto della resistenza di Kyiv, potrebbe pensare che in fondo si può giocare d’azzardo con la guerra per centrare l’obiettivo più grande: indebolire l’ordine liberale e rafforzare il potere e l’influenza globale di dittature, democrature e regimi autoritari. Questo non lo possiamo permettere, per l’Europa è una prova della Storia che non ha alternative: dobbiamo ‘vincere la pace’. E, per vincerla, dobbiamo sostenere l’Ucraina sul piano politico e militare con fermezza e saggezza. Ho visto in Parlamento chi agita la bandiera di una pace astratta accusare il governo di trascinare l’Italia verso la guerra, di spendere soldi per le armi. Niente di più falso, sbagliato e pericoloso per il nostro futuro. Sulla spesa, diamo a Kyiv sistemi di difesa che già abbiamo e aggiungo che ogni vita salvata grazie al nostro supporto per me non ha prezzo”, ha aggiunto. Il sostegno italiano “all’indipendenza dell’Ucraina non mancherà mai, sarà sempre coordinato con gli alleati, in un quadro di multilateralismo. Daremo all’Ucraina tutta l’assistenza di cui ha bisogno per esercitare il diritto alla legittima difesa, secondo quanto stabilisce la Carta delle Nazioni Unite, secondo quello che ci detta la nostra coscienza di europei, di italiani che amano e difendono la libertà”, ha proseguito.

LE DIFESE AREE A KYIV

“Difese aeree e munizioni sono lo scudo di cui ha bisogno Kyiv per difendere la vita dei civili, la Russia bombarda la popolazione in maniera indiscriminata, punta a distruggere le infrastrutture (acqua, luce, riscaldamento, trasporti) necessarie per la vita quotidiana di uomini, donne, bambini”, ha dichiarato.

VERSO IL PRESIDENZIALISMO

Riprendendo il tema dell’elezioni diretta del vertice dell’esecutivo citato durante l’intervento al congresso della Cgil, Meloni ha spiegato: “Viviamo in una realtà accelerata, le sfide sono multiple e su vari livelli, ci confrontiamo con altre nazioni che agiscono con rapidità. Rafforzare la democrazia significa renderla più efficiente e vicina ai bisogni immediati dei cittadini della Repubblica. Il presidenzialismo è la risposta a questi bisogni. La forma sarà oggetto di discussione parlamentare, ma la sostanza è un tema chiaro a chiunque viva nella realtà di ogni giorno, possiamo riformare tutte le leggi, avremo sempre il problema di riscrivere quella fondamentale che poi le governa tutte”. La democrazia italiana, ha continuato, “può divenire ancora più forte e solida attraverso una riforma in senso presidenziale dello stato. Con due obiettivi: maggiore stabilità di governo e rapporto diretto tra elettori e capo dell’esecutivo. Su questi presupposti sono disponibile a ogni ipotesi. Una riforma che io considero fondamentale e che può rappresentare anche una potente misura di sviluppo economico. Avere istituzioni più stabili ed efficienti significa poter godere di una maggiore affidabilità a livello internazionale e riuscire a concentrare le energie su grandi obiettivi strategici e di lungo termine”.

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