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Morawiecki parla all’Atlantic Council e Pechino insorge

Una luna di miele durata tre giorni. Così può essere sintetizzata la permanenza di Mateusz Moraweicki negli Stati Uniti. Il discorso pronunciato dal premier polacco nella sede dell’Atlantic Council ha ribadito la fase costituente della leadership polacca in Europa e ha innescato l’ira di Pechino…

Armonia. Per gli antichi tale effetto si manifestava nella concordanza tra elementi diversi con il fine di appagare desideri uniti dalla medesima intensità, ma divisi dalla natura eterogenea delle rispettive soggettività. L’armonia del potere che intreccia il sovranismo polacco con l’apparente multilateralismo americano conduce proprio alla massima kissingeriana power is the ultimate aphrodisiac.

Ed è questa l’atmosfera, il vento che spira durante la visita di Mateusz Morawiecki negli Stati Uniti. Una luna di miele di tre giorni, nel corso della quale il premier polacco ha incontrato la vicepresidente Kamala Harris presso la Casa Bianca, ha visitato lo stabilimento Lockheed Martin e la base del deposito dell’esercito di Anniston, ha preso parte a un dibattito svoltosi all’interno della sede del Fondo Monetario Internazionale, e infine è stato ospitato dall’Atlantic Council per offrire una nuova prospettiva geopolitica per l’Europa, ovviamente attraverso il binocolo di Varsavia. Tutto combacia alla perfezione, forma e sostanza.

A introdurre il numero due del PiS (Prawo i Sprawiedliwość) è toccato a Frederick Kempe, presidente e ceo del think tank americano, nonché ex inviato del Wall Street Journal per seguire l’ascesa di Solidarność e decorato dal presidente di Polonia per il suo lavoro volto a consolidare il partenariato transatlantico. Inoltre, il discorso di Morawiecki non è solo servito a ribadire gli sforzi sostenuti da Varsavia nel rafforzare le proprie capacità militari e per accentuare e assolvere alla funzione di catalizzatore della sicurezza continentale.

“La Polonia vuole diventare il fondamento della sicurezza europea. Perché abbiamo interessi di sicurezza comuni, ed è pronta ad assumere il ruolo di leader e garante della sicurezza nella regione” ha affermato Morawiecki. “Aumentiamo costantemente le nostre spese per la difesa, quest’anno fino al 4% del Pil. Questo è uno dei livelli più alti nell’intera struttura dei paesi membri della Nato. Quando si tratta di fondi per le forze armate, siamo tra i leader dei paesi dell’Alleanza del Nord Atlantico”.

Il messaggio ormai è assodato, anzi è salmodiabile. Si recita facilmente a mo’ di rosario. Il punto vero, da rintracciare in questa interlocuzione privilegiata, è che lo scopo dell’Atlantic Council (e dell’intera politica estera statunitense), ovvero quello di “promuovere la leadership americana e gli accordi internazionali basati sul ruolo centrale della comunità atlantica nell’affrontare le sfide del XXI secolo”, si esplica al meglio, in tutta la sua sincera volontà di potenza e di contenimento, irradiando la sua luce sul vecchio continente dai palazzi manieristi della Varsavia rinata. Da qui, gli Stati Uniti intendono incoraggiare la cooperazione tra nord America ed Europa. Una strategia semplice, lineare, a impatto immediato: Washington illumina, Varsavia proietta, l’Europa assorbe. Un processo, appunto, armonioso, dove le dimensioni impari degli interessi nazionali dei rispettivi Paesi assicurano convergenze e azioni complementari.

Quella polacca è un’adesione talmente fideistica ai piani del Pentagono e alle traiettorie geopolitiche tracciate dalla Casa Bianca che Morawiecki si lascia prendere la mano, entrando a gamba tesa negli affari di Pechino e dimostrando di voler condividere anche i rischi della minaccia che cresce ad Oriente. “Se Kiev cade, Pechino potrebbe attaccare Taiwan il giorno successivo. Vedo una connessione molto grande qui, molta dipendenza tra la situazione in Ucraina e la situazione a Taiwan e in Cina”.

L’ambasciata cinese non ha perso tempo a buttar giù una replica altrettanto ferma e netta nell’indignazione. Nella nota speciale il premier Morawiecki viene citato come semplice “funzionario”, vale a dire non degno di menzione, e si legge: “Il 13 aprile, un funzionario del governo polacco, durante un incontro con i rappresentanti di un think tank americano, ha tenuto un discorso durante il quale ha equiparato apertamente la questione di Taiwan a quelle dell’Ucraina, affermando in maniera del tutto infondata che se l’Ucraina perde la guerra, la Cina continentale attaccherà Taiwan il giorno successivo (…) Qualsiasi tentativo di utilizzare l’Ucraina per insinuare relazioni con Taiwan sono ulteriori motivi di manipolazione politica, tentativi di calpestare sconsideratamente il principio del rispetto della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale e flagrante interferenza negli affari interni della Cina. Perciò chiediamo al funzionario polacco coinvolto in questo caso di comprendere appieno l’elevata delicatezza della questione di Taiwan, di aderire diligentemente al principio di una sola Cina, di esercitare cautela nei fatti e nelle parole riguardo alla questione di Taiwan ed evitare di interrompere le relazioni sino-polacche”.

Nell’agire la Prawdziwa Polska è così. Provoca per far saltare e implodere le contraddizioni che orientano e costituiscono l’azione del nemico. Ma il premier polacco ne ha per tutti, e nel suo intervento segnala i cinque pilastri sui quali “i vicini occidentali” hanno basato il modello macroeconomico condiviso con la Russia putiniana. “In primo luogo, energia molto economica dalla Russia, in secondo luogo, il basso costo del capitale dovuto alla credibilità della Bundesbank prima che fosse istituita la Banca centrale europea. Pilastro numero tre, manodopera a basso costo dall’Europa centrale e da tutto il mondo. Sicurezza del pilastro numero quattro esente dagli Stati Uniti. Pilastro numero cinque: prodotti ad alto margine venduti in Cina dai paesi dell’Europa occidentale “.

Ora questi pilastri sono ridotti a un cumulo di macerie, ma i cugini tedeschi sembrano voler ripetere gli errori del passato, traslando il modello sopracitato da Mosca a Pechino. “L’autonomia europea suona bene, vero? Ma significa spostare il centro di gravità in Cina e recidere i nostri legami con gli Stati Uniti”.

Più chiari di così si muore. Ormai quello tra Washington e Varsavia è un patto esistenziale, saldato da necessità convergenti e da un parallelismo di aspirazioni. Persino Kissinger è stato costretto a rivedere il suo innato realismo politico, il suo sguardo lungo e profondo per aderire alla linea della Nato che unisce i due Paesi sull’altare della contingenza. Il conflitto-russo ucraino ha prodotto anche questo: la priorità della vittoria come unica soluzione per trascinare l’Occidente fuori dalla sua crisi sistemica.

Un’armonia di poteri erra per questa valle. O meglio per la nuova regione guidata da Varsavia e protetta dalla bandiera a stelle e strisce.


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