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Cosa vuol dire “aprire la scienza” secondo Floridi, Stazi e Verona

Che cos’è la scienza aperta e perché è uno strumento di ricerca da non sottovalutare, questo il tema al centro del live-talk di presentazione della rivista Formiche con Luciano Floridi, Gianmario Verona e Andrea Stazi. L’incontro è stato moderato da Flavia Giacobbe

Che cosa si intende per scienza aperta? Si tratta di un orientamento della ricerca che ha l’obiettivo di estendere il libero accesso al sapere scientifico, alle metodologie, agli strumenti e ai dati della ricerca.

Un approccio che porta con sé notevoli benefici per tutta la comunità, avvicinando la scienza ai cittadini. E questo si è reso quanto mai necessario dopo la pandemia che ha fatto emergere pericolose derive anti-scientifiche in una parte dell’opinione pubblica.

Questi i temi al centro della rivista Formiche che è stata presentata nel corso del live-talk “Open science. I vantaggi di una scienza (aperta)” con Luciano Floridi, professore di Filosofia ed etica dell’informazione presso l’Università di Oxford e di Sociologia della cultura e della comunicazione presso l’Università di Bologna, Gianmario Verona, presidente della Fondazione Human Technopole e Andrea Stazi, professore di Diritto comparato e nuove tecnologie presso l’Università Europea di Roma e visiting professor in Bio-technology law presso la National University di Singapore. Ha moderato l’incontro Flavia Giacobbe, direttore della rivista Formiche.

La scienza aperta nell’era dell’accesso

Negli Stati Uniti la Casa Bianca, insieme con la Nasa e altre agenzie federali, ha scelto il 2023 come anno della scienza aperta, per accelerare le scoperte scientifiche e costruire una “società della conoscenza”. Si tratta di un orientamento anche europeo: in effetti, dal 2015, la Commissione promuove la scienza aperta con il programma Horizon Europe.

Come procedono negli Usa? Ad esempio, promuovendo videogiochi che fanno partecipare i cittadini ai processi di ricerca scientifica.

“La scienza per natura deve essere aperta, è la conoscenza che ci permette di fare innovazione e ha un investimento di carattere pubblico – ha ricordato Gianmaria Verona – è una conoscenza che aiuta i cittadini e la società a vivere meglio ed evolversi”.

Purtroppo però per sua natura la scienza ha dei limiti, derivanti in primo luogo dal fatto che “gli scienziati parlano un linguaggio tecnico. Inoltre, per essere pubblicati devono passare attraverso il vaglio di tutta una serie di percorsi valutati da un processo chiamato peer review” ha sottolineato il professor Verona.

Questo crea ermetismo e chiusura della scienza, ma visto che viviamo nell’era dell’accesso, del paradigma della comunicazione si pone ancora di più il problema di come far fluire questa conoscenza in modo più orizzontale rispetto al passato.

I costi dell’Open science

Per migliorare questo approccio alla scienza, serve una visione strategica e di governance molto precisa. Cosa manca al sistema di ricerca per facilitare l’affermazione della scienza aperta?

L’Open science può avere due significati secondo Luciano Floridi, “la scienza aperta degli scienziati per gli scienziati e la scienza aperta come divulgazione, cioè aperta a tutto e tutti”. In questi due aspetti ci sono difficoltà notevoli legate a costi e mentalità non sempre allineati.

“C’è un’asimmetria nei finanziamenti che sostengono la ricerca aperta – ha ricordato Floridi – di conseguenza le grandi istituzioni e fondazioni cercano di sostenere l’apertura della scienza lì dove non ci sono i fondi”.

La scienza aperta degli scienziati per gli scienziati è necessaria ma insufficiente affinché la scienza sia fruibile da parte della società civile, come sottolineato dal professor Floridi. E qui entra in gioco la buona divulgazione, che rappresenta l’incontro tra la società civile informata e la scienza aperta.

“La società aperta chiede alla scienza di essere aperta, la scienza risponde aprendosi, ma chi fa il ponte è fondamentale. Si tratta di un aspetto da non sottovalutare, solo con la buona divulgazione la società potrà trarre vantaggio dalla scienza aperta” ha sottolineato Floridi.

La scienza pura come bene pubblico

Durante la pandemia si è toccato con mano il valore dell’Open science, perché il genoma del virus è stato reso pubblicamente disponibile, consentendo alle società farmaceutiche di sviluppare vaccini anti-Covid in tempi record.

Un esempio pratico di successo. Ma la scienza pura che peso riveste in questo scenario? “Il circolo virtuoso tra scienza, tecnologia e innovazione, la combinazione tra la ricerca di base e applicata oltre a una intensa cooperazione in ambito internazionale e tra pubblico e privato rappresentano approcci essenziali per affrontare grandi sfide attuali e future” ha affermato Andrea Stazi.

Inoltre, è importante riconoscere la valenza di bene pubblico della scienza pura che poi porta ai risultati importanti raggiunti dalla scienza applicata, come ricordato dal professor Stazi. “L’istruzione e la divulgazione hanno un ruolo cruciale per promuovere le iniziative di scienza aperta e dare opportunità ai ricercatori di talento”.

“La scienza come molte delle attività umane procede con un delicato equilibrio tra competizione e collaborazione. È necessario che si verifichi uno spostamento di dove e quando avviene la competizione” ha concluso il professor Floridi.

Oggi, il cambiamento sistemico verso l’apertura delle fonti e dei risultati della scienza è sempre più dibattuto, però per raggiungere il traguardo servirà l’impegno costante di tutti i settori a tutti i livelli. Staremo a vedere se anche il nostro Paese e la comunità scientifica riusciranno a cogliere questa importante opportunità di sviluppo.


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