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Phisikk du role – Vi spiego la dottrina Mattarella

Negli otto anni e tre mesi di presidenza abbiamo avuto un Capo dello Stato che ha saputo rappresentare l’unità della nazione forse come nessuno prima di lui, risultando la personalità delle istituzioni più amata dagli italiani e tracciando le direttrici di una dottrina incardinata nel dettato costituzionale che non ha potuto evitare di proporsi anche come baedeker della politica politicante. E meno male. La rubrica di Pino Pisicchio

Ci sarà occasione per i costituzionalisti di approfondire il significato della presidenza Mattarella nel continuum che, dal 2015, ha costruito un percorso di rara coerenza istituzionale vissuta con un imprinting personale indiscutibile. Alla luce di un’analisi rigorosa, allora, potranno emergere aspetti che racconteranno del come profili assai peculiari della sua personalità – vocata al riserbo e alla “riduzione” piuttosto che all'”esuberanza” -abbiano potuto agire in modo specialissimo nel descrivere il suo rapporto con la politica, esaltandone le possibilità di moral suasion, per riequilibrare il chiasso talvolta volgare del conflitto politico.

Perché l’azione di un Presidente, nel nostro ordinamento è tanto più efficace quando non si vede. Ma anche quando era impossibile esercitare la discrezione istituzionale cara a Mattarella, quando la politica scivolava nel default e occorreva metterci mano secondo la teoria dei poteri presidenziali “a fisarmonica” (che si apre quando la politica fallisce e si chiude quando, invece, funziona), il Presidente l’ha fatto avendo riguardo alle prerogative degli organi costituzionali, mai forzando la mano. Negli otto anni e tre mesi di presidenza, allora, abbiamo avuto un Capo dello Stato che ha saputo rappresentare l’unità della nazione forse come nessuno prima di lui, risultando la personalità delle istituzioni più amata dagli italiani e tracciando le direttrici di una dottrina incardinata nel dettato costituzionale che non ha potuto evitare di proporsi anche come baedecker della politica politicante. E meno male.

Mattarella, infatti, è il garante dell’europeismo e dell’atlantismo più leali, non rinunciando peraltro a rammentare il destino mediterraneo dell’Italia e dell’Europa; ha sottolineato a chiare lettere il valore antifascista della Costituzione Italiana compiendo anche gesti  istituzionali importanti, come la nomina a senatore a vita di Liliana Segre; ha declinato, con tutti gli strumenti di cui poteva disporre, il valore della solidarietà che attraversa le culture politiche italiane – dalla cattolica alla socialista – per diventare la grundnorm della Costituzione, sostenendo come mantra le ragioni dei più fragili e dei meno garantiti, dei giovani, degli anziani, dei disoccupati, delle famiglie, dei migranti; ha posto la questione femminile al centro delle sue esternazioni così come si è fatto carico di porre all’attenzione della politica la questione fondamentale dell’informazione e della letalità cui possono essere condotte le democrazie con le sue alterazioni; ha offerto la sua carica per dare continuità istituzionale nella rappresentazione internazionale del nostro Paese, quando l’alternarsi forsennato delle maggioranze di governo tendeva a spezzarlo, garantendo quella stabilità d’interlocuzione  che consente oggi all’Italia di svolgere una politica estera piena di dignità. C’è una “dottrina Mattarella”, forse preterintenzionale, perché in realtà appare come il distillato di una cultura costituzionale vissuta toto corde, che però risuona forte nella politica nazionale che spesso inciampa nella sua insufficienza. La dottrina Mattarella lascia, dunque, il segno, e questo segno è buono, perché somiglia alla politica nobile.

Una politica che deve riconnettersi alle sue fonti culturali, imperativo che vale per la dimensione domestica ma anche per quella internazionale. Il Presidente commentava ieri in un’intervista rilasciata al Corriere: “Lo scambio apre le menti… Consente di rimuovere pregiudizi e nozioni artefatte che ostacolano la conoscenza, ricacciandoci in confini neo-tribali. Il progresso del mondo è avvenuto anche, se non soprattutto, grazie agli scambi con le culture ‘altre’”.

Il punto sotteso a questa preziosa sottolineatura è che per poter essere scambiate le “culture” debbono esistere. L’Italia è un monumento alla cultura, e questo è noto. È così anche per la politica italiana?


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