Boris Johnson nel 2022 ha lanciato un piano per inviare in Ruanda i richiedenti asilo che arrivano nel Regno Unito. Quel protocollo è stato sospeso in via cautelare dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, portando alla minaccia da parte dei ministri del governo Sunak di abbandonare la Convenzione. Filippo Fontanelli, docente di Diritto internazionale (Università Luiss ed Edimburgo) e Paolo Busco, barrister e avvocato internazionalista, spiegano le conseguenze di una mossa simile, anche sull’accordo post-Brexit
I tentativi del Regno Unito di contrastare l’immigrazione clandestina creano una situazione critica sotto il profilo del diritto internazionale e, potenzialmente, nei rapporti con il resto d’Europa, e nel processo di pace in Irlanda del Nord.
Il piano Ruanda
Nel 2022, Boris Johnson ha lanciato il cosiddetto “piano Ruanda” per gestire i migranti che, arrivati nel Regno Unito con “metodi illegali, pericolosi o non necessari”, contino di evitare l’espulsione richiedendo asilo all’arrivo. Il governo annovera tra le proprie priorità il contrasto del flusso crescente di migranti che attraversano la Manica su piccole imbarcazioni (meno di 2.000 nel 2019, più di 45.000 nel 2022).
Secondo il piano, i richiedenti asilo saranno trasferiti in Ruanda, che ha assunto l’onere di subentrare al Regno Unito nella gestione delle loro richieste, e accettare sul proprio territorio i richiedenti meritevoli di protezione (per gli altri, scatterà il rientro verso il paese di origine). L’accordo con il Ruanda prevede, da parte del Regno Unito, un pagamento ingente oltre al sostenimento delle spese, tra cui quelle per la costruzione delle strutture di accoglienza, quasi completata.
L’intento del piano è di scoraggiare i migranti diretti verso il Regno Unito: anche quelli in principio meritevoli di protezione non avrebbero infatti alcuna prospettiva di rimanere nel paese. Questo deterrente sarebbe poi decisivo per i cosiddetti “migranti economici”. Il trasferimento automatico in Ruanda, secondo il Regno Unito, garantirebbe protezione sufficiente (e dovuta) a chi sfugge da guerre e persecuzioni, ma priverebbe il Regno Unito di qualsiasi attrattiva per gli altri migranti in cerca di un futuro migliore – dirottandoli presumibilmente verso destinazioni più accoglienti, tra cui i paesi dell’Unione Europea.
Il contenzioso del Regno Unito alla Corte di Strasburgo
Il piano Ruanda è stato oggetto di azioni legali che mirano al suo annullamento. In via cautelare – cioè compiendo una valutazione preliminare, e per scongiurare danni irreparabili – la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo nel giugno 2022 ha ingiunto al governo di sospenderne l’attuazione, bloccando i primi voli di trasferimento. La Corte Europea ha dubitato che il processo di valutazione delle richieste di protezione in Ruanda fornisca garanzie procedurali sufficienti e che il Ruanda possa ritenersi un “paese sicuro”, verso cui uno Stato membro della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo può trasferire persone nella propria custodia senza violarne i diritti fondamentali.
Invece, nel dicembre 2022, una corte inglese ha considerato legittima la designazione del Ruanda come paese sicuro, in mancanza di informazioni che indichino il contrario. Questa decisione è stata impugnata in appello, e una sentenza è attesa per giugno 2023.
Si profila così un possibile scontro tra il governo britannico, che potrebbe appoggiarsi al parere delle proprie corti, e la Corte Europea di Strasburgo, che sovrintende all’applicazione della Convenzione Europea, il principale trattato sui diritti umani tra i paesi del Consiglio d’Europa. In questo scenario, la decisione finale che prenderà la Corte Europea ha un peso politico enorme. Lo sa bene il governo del Regno Unito, che ha lanciato ammonizioni plateali a Strasburgo. Nel luglio 2022, l’attuale Ministro dell’interno Braverman, allora Ministro della giustizia, aveva suggerito di abbandonare la Convenzione. Nell’ottobre 2022, assunta la gestione del piano Ruanda, Braverman ha ribadito il proposito. Nel febbraio 2023, è trapelata la notizia che il primo ministro Sunak considererebbe l’abbandono della Convenzione se la Corte emettesse una condanna contro il Regno Unito. Nel marzo 2023, il progetto di legge sull’immigrazione clandestina presentato in parlamento recava in prima pagina la dichiarazione che non era possibile certificarne la compatibilità con la Convenzione Europea.
In altre parole, il governo britannico mostra i muscoli alla Corte di Strasburgo, senza nascondere lo strappo effettuato con il piano Ruanda, rispettando solo per il momento – e a fatica – le misure cautelari del 2022, e minacciando conseguenze irreversibili. L’abbandono della Convenzione da parte del Regno Unito sarebbe un evento senza precedenti (la Russia, nel 2022, è stata espulsa).
Le ripercussioni di un eventuale abbandono della Convenzione
È difficile valutare la serietà di questa minaccia. Tra l’altro, lasciare la Convenzione Europea infliggerebbe un duro colpo al processo permanente di pacificazione in Irlanda del Nord e al rapporto con l’Unione Europea.
L’accordo tra Regno Unito e Irlanda del 1998, il cosiddetto accordo di Belfast o “del Venerdì Santo”, è cruciale per il mantenimento della pace nell’isola irlandese. Per 25 anni, questo accordo ha garantito in Irlanda del Nord una convivenza sostanzialmente pacifica tra gli unionisti protestanti (leali al Regno Unito) e i cattolici nazionalisti (che vorrebbero invece affrancarsi, per unirsi alla Repubblica di Irlanda), componendo un conflitto politico con risvolti armati durato trenta anni. L’importanza di questo accordo è tale da aver monopolizzato l’attenzione di Regno Unito e Unione Europea in occasione della stipula dell’Accordo commerciale e di cooperazione del 2021.
L’accordo di Belfast, in più punti, impone al Regno Unito il rispetto della Convenzione Europea e la trasposizione degli standard di protezione dei diritti umani nell’ordinamento britannico. Inoltre, le corti nordirlandesi devono avere il potere di invalidare gli atti del parlamento locale in caso di violazione della Convenzione. Questa condizione cruciale di garanzia, a tutela dei cattolici, cadrebbe con l’abbandono della Convenzione, mettendo a rischio la tenuta dell’Accordo di Belfast.
Inoltre, il rispetto della Convenzione è un requisito necessario per l’attuazione dell’Accordo di cooperazione e commercio tra Regno Unito e Unione Europea, che disciplina la “cooperazione delle autorità di contrasto e giudiziarie in materia penale” tra i due contraenti. L’Accordo prevede espressamente che la cooperazione in materia giudiziaria si basi sul rispetto dei diritti fondamentali “come enunciati anche nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo.” Indubbiamente, se il Regno Unito lasciasse la Convenzione a causa di un disaccordo con una sentenza di condanna della Corte di Strasburgo, verrebbe meno la condivisione dei valori fondamentali presunta nell’Accordo, e dovrebbe ripensarsi la cooperazione tra Regno Unito e Unione Europea in materia giudiziaria e di polizia.
Il nuovo corso del Regno Unito in Europa
Il governo del Regno Unito si trova in una posizione delicata. Da una parte, l’impulso sovranista che ha portato alla Brexit e che anima l’agenda del governo conservatore si sta concretizzando in uno scetticismo verso le regole condivise, come quelle della Convenzione Europea. Dall’altra, i processi e le regole di coordinamento, come quelli previsti dall’Accordo di Belfast e dall’Accordo con l’Unione Europea, rimangono fondamentali per la stabilità del paese, perché scongiurano fratture interne e un ulteriore isolamento internazionale. Quella del piano Ruanda, perciò, è una vicenda esemplare delle scelte di politica internazionale che il Regno Unito deve affrontare per rivendicare la propria autonomia in maniera responsabile.