Le elezioni in primo luogo si sbilanceranno se Kılıçdaroğlu, candidato dell’opposizione, riuscirà a ottenere tutti i voti del suo fronte o se andranno a mancare quelli degli elettori dei partiti diversi dal suo Partito popolare repubblicano. Poi bisogna domandarsi se il leader riuscirà a tenere sotto controllo la lira turca o se il Paese dovrà affrontare un altro shock valutario. L’analisi di Özgür Ünlühisarcıklı, direttore dell’ufficio di Ankara del German Marshall Fund, pubblicata sull’ultimo numero della rivista Formiche
Le elezioni che la Turchia si appresta ad affrontare saranno un possibile game changer per gli equilibri nel bacino mediterraneo. Le elezioni nel Paese sono sempre più inique a causa delle limitazioni alla libertà di espressione e di riunione, del controllo governativo su una sempre più ampia fetta dei media e dell’accesso virtualmente illimitato alle risorse pubbliche da parte dell’attuale presidente.
Tuttavia, esse hanno la caratteristica di essere anche molto competitive e, come dimostrato dalle elezioni locali del 2019, l’opposizione può effettivamente vincere quando ha la giusta strategia. La prossima battaglia elettorale sarà una delle più difficili per il presidente Recep Tayyip Erdoğan, che si troverà ad affrontare un fronte di opposizione unito, il cosiddetto Tavolo dei sei, in un momento storico in cui il Paese è alle prese con gravi problemi economici e con le conseguenze del terremoto che il governo non è riuscito a gestire in modo tempestivo ed efficace.
L’esito del voto dipenderà però da due fattori principali. In primo luogo si sbilanceranno se Kemal Kılıçdaroğlu, il candidato presidenziale dell’opposizione, riuscirà a ottenere tutti i voti del suo fronte o se andranno a mancare quelli degli elettori dei partiti diversi dal suo Partito popolare repubblicano, Chp. In secondo luogo c’è da chiedersi se Erdoğan riuscirà a tenere sotto controllo la lira turca o se il Paese dovrà affrontare un altro shock valutario prima del voto.
I due candidati sembrano però entrambi molto fiduciosi. Vi sono sondaggisti che da un lato rilevano una probabile sconfitta di Erdoğan, mentre altri sostengono che non possa perdere. È verosimile, invece, che la tornata elettorale sarà molto più competitiva rispetto a quanto sostenuto da entrambe le parti. In tale scenario, la politica estera della Turchia sarà di certo influenzata indipendentemente dal risultato delle elezioni.
Qualora il presidente Erdoğan vincesse la tornata, egli non si presenterà più come presidente che sta affrontando la sua ultima e più difficile conferma, ma si sarà lasciato alle spalle l’ultima elezione. Sarà, probabilmente, meno preoccupato dalla politica interna e più invece da quella che sarà la sua eredità. Potrebbe quindi dimostrarsi più flessibile.
Se a vincere fosse invece Kılıçdaroğlu, il leader dell’opposizione, sarebbe più probabile un cambiamento in politica estera. Dato che i partiti di opposizione si sono impegnati nel loro memorandum d’intesa sulle politiche comuni potremmo aspettarci, in questo caso, un approccio più istituzionalizzato alla politica estera, con il ministero degli Esteri al timone.
Inoltre, dato che i partiti si sono impegnati a realizzare ambiziose riforme di democratizzazione, le relazioni con l’Ue entrerebbero in una fase più positiva. Gli Stati Uniti e la Turchia avrebbero maggiori probabilità di trovare soluzioni di compromesso a problemi come quelli sorti con la crisi degli S400. Una Turchia in migliori rapporti con l’occidente potrebbe prendere, dall’altro lato, le distanze dalla Russia.
In ogni caso non bisogna aspettarsi una revisione totale della politica estera turca. Il Paese rimarrà attento alla sicurezza e alla sovranità e continuerà a perseguire l’autonomia strategica indipendentemente dall’esito delle elezioni. È probabile che la Turchia ratifichi l’adesione della Svezia alla Nato anche prima del voto di maggio 2024. C’è da aggiungere poi che, una volta terminate le elezioni, le considerazioni interne che complicano il dossier si attenueranno.
Tuttavia, il prossimo Parlamento sarà frammentato e chiunque venga eletto presidente difficilmente avrà la maggioranza. Ciò potrebbe complicare il processo legislativo, compresa la ratifica dell’adesione della Svezia.