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Le strane distinzioni tra la Resistenza italiana e quella ucraina. Scrive De Tomaso

Non si può, proprio il 25 Aprile, esaltare l’antifascismo e, nello stesso tempo, condannare il sostegno militare al governo di Kiev. Come si fa a respingere un invasore? Il commento di Giuseppe De Tomaso

Celebrato il 25 Aprile, abbassati i toni, un interrogativo rimane aperto. Si può resistere a un invasore senza imbracciare le armi? Se i partigiani italiani ed europei, 80 anni addietro, avessero dato una risposta affermativa a questa domanda, la Resistenza ai nazifascisti non sarebbe neppure iniziata, le munizioni degli anglo-americani sarebbero servite a poco e il Vecchio continente si sarebbe consegnato mani e piedi al demoniaco tiranno tedesco. Per fortuna quegli amanti della libertà, sostenuti anche dagli alleati anglosassoni, diedero una risposta di tutt’altro tenore al quesito di cui sopra e la democrazia poté fare ritorno in molti Paesi dell’Europa occidentale. Morale: la libertà è un bene troppo prezioso per arrendersi ai suoi attentatori, quando la libertà è in pericolo è necessario, addirittura doveroso, difenderla con tutti gli strumenti a disposizione, compresi i mezzi militari. Non ci sarebbe stato alcun 25 Aprile, alcuna Festa della Liberazione, se gli antifascisti del tempo avessero optato per il disarmo, per un pacifismo assoluto, rinunciatario e autolesionistico.

Eppure, proprio su alcune pagine dei giornali in edicola il 25 aprile 2023 balzava agli occhi di chiunque la contraddizione tra l’esaltazione della Resistenza (armata) italiana coronata dalla vittoria della libertà nella primavera del 1945 e le perplessità, se non la contrarietà, nei confronti del sostegno armato fornito dall’Occidente all’Ucraina dopo l’invasione da parte delle truppe russe. E, paradossalmente, erano proprio molti intransigenti custodi della memoria della Resistenza italiana a contestare l’invio di armi a Volodymyr Zelensky, di fatto intaccando indirettamente la giustezza dell’allora controffensiva (armata) promossa dai capi partigiani per liberare la Penisola dalla tenaglia del nazifascismo.

Ha provveduto Liliana Segre, simbolo vivente della lotta all’Olocausto, a richiamare, prima della lettera di Giorgia Meloni al Corriere della Sera, l’attenzione sulla tragedia dell’Ucraina, collegando le atrocità hitleriane dei suoi anni verdi con le efferatezze commesse oggi dai russi nel cuore dell’Europa. Della serie: non ci si può salvare dall’assolutismo, dalla tentazione totalitaria che alberga in numerosi cervelli ostili alla libertà e alla tolleranza, affidandocisi solo alle preghiere, agli slogan, agli appelli, alle buone intenzioni o alla retorica. La lezione della Resistenza italiana sta a dimostrare il contrario. Sta a dimostrare che la polvere da sparo non può essere scartata a priori quando è in gioco la vita democratica di un Paese.

Invece. Invece le lezioni della Storia raramente lasciano il segno, per cui, di fatto, accade che, nello stesso giorno, si dia un giudizio diametralmente opposto su due fatti, tutto sommato, simili, accomunati dal medesimo atto di sopraffazione: ieri l’invasione dell’Italia a opera dell’esercito tedesco, oggi l’invasione dell’Ucraina a opera dell’esercito russo. Eppure la libertà è indivisibile, non è declinabile, né distingue tra invasori buoni e invasori cattivi: o c’è o non c’è. E se, e quando, la libertà non c’è, tutto si può accettare tranne che equiparare vittima e aggressore, come purtroppo accade in diversi salotti televisivi quando si discute della guerra di Putin contro l’Ucraina. Parificare aggredito e aggressore, significa abbandonare il primo a sé stesso e sposare la causa del secondo, dell’assalitore. Così come biasimare l’invio di materiale bellico alla vittima di un attacco, nell’auspicio di un fantomatico negoziato di cui, però, solo ora, dopo 14 mesi di guerra, si comincia a vedere un piccolo, sottilissimo spiraglio (cinese), significa consegnare la nazione stuprata ai voleri del nemico, alla dura legge dell’occupante che impone il proprio dominio.

Era questa l’eredità politica e morale di quanti, 80 anni fa, combatterono fino all’ultimo per evitare che l’Italia e l’Europa si trasformassero in un lager sterminato, in un universo concentrazionario privo di un briciolo di umanità e di pietà? Bah. Chi aveva davvero combattuto per una società libera e aperta di sicuro oggi non ammetterebbe e non concepirebbe reticenze e tentennamenti sulla questione ucraina, pena la negazione che, decenni addietro, lo avevano spinto ad adoperare il fucile pur di scacciare dalla penisola i violentatori della libertà.

Ha fatto bene Giorgia Meloni, nell’intervento sul Corriere della Sera, a ricordare il dovere di “attualizzare” il messaggio del 25 Aprile, appoggiando senza esitazioni la battaglia dell’Ucraina per la libertà e l’indipendenza. Così come ha fatto molto male chi, dopo aver dato atto alla presidente del Consiglio di aver pronunciato parole inequivocabili contro il fascismo mussoliniano, ha criticato l’accostamento, sempre ad opera del premier, tra la passata Resistenza italiana e l’odierna Resistenza ucraina. Come si può rimanere equidistanti o equivicini tra preda e predatore? Come si può formulare una distinzione tra due Resistenze accomunate dall’obiettivo di salvaguardare i valori dell’autonomia nazionale e della liberaldemocrazia? Se si mette in discussione una delle due Resistenze, vuol dire che anche l’altra non è ben valutata nel giudizio di settori influenti della comunità internazionale.

Conclusione. L’eredità morale e culturale della Resistenza e dell’antifascismo non va ricordata a rate o recepita dopo aver effettuato il calcolo delle convenienze politiche interne e internazionali. La lezione della Resistenza e dell’antifascismo contro ogni totalitarismo non è materia per alcun dottor sottile, semmai merita di essere accolta, dappertutto, come un promemoria universale e disinteressato, da ricordare e applicare senza se e senza ma in tutte le circostanze segnate da soprusi e oppressioni. Altrimenti si scade e si cade nella perorazione insincera, nella retorica vacua, se non nella narrazione caricaturale di qualsiasi atto di ribellione alla tirannide. Ci sono stati e ci sono momenti e movimenti storici, che nonostante alcune contraddizioni, hanno saputo e sanno tuttora scrivere pagine gloriose a beneficio della libertà. Non deprimiamoli. Non declassiamoli. Non deformiamoli. Di tutto ha bisogno l’Occidente democratico tranne che di una difesa a intermittenza dei suoi princìpi fondativi di libera convivenza.

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