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Dall’economia alla geopolitica. Il ritorno dei Brics spiegato da Mastrolitto e Scanagatta

Di Domenico Mastrolitto e Giovanni Scanagatta

Forse la guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina ha rimesso in moto un meccanismo sul piano geopolitico che può rilanciare il gruppo legando economia e geopolitica. L’intervento di Domenico Mastrolitto, direttore generale di Campus Bio-Medico SpA, e Giovanni Scanagatta, docente di Politica economica e monetaria presso UnitelmaSapienza di Roma

Negli ultimi vent’anni del secolo scorso, si parlava molto della eccezionale performance economica dei Brics, cioè di Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica. Il prodotto interno lordo di questo gruppo di Paesi cresceva a ritmi annui tra il 5 e il 10 per cento in termini reali. Anche il prodotto pro capite ha mostrato una dinamica molto elevata, rispetto ai Paesi “ricchi” che evidenziavano invece un trend decrescente. Poi, per una serie di ragioni, questa specie di golden age dei Brics è cessata.

Se prendiamo in considerazione il periodo 2015-2020, i tassi di crescita reale dei Brics mostrano un trend negativo. India e Cina scendono ampiamente al di sotto del 10%, passando da un tasso di crescita annua intorno al 7% a uno del 5-6% di fine periodo. La performance peggiore mostrano Brasile e Russia con tassi negativi intorno al 4% nel 2015 e valori positivi poco al di sopra dell’1% nel 2020. Il Sudafrica si colloca intorno a tassi annui dell’1% in tutto il periodo.

Di fronte a questa performance negativa dei Brics assistiamo nel periodo a una sostanziale stagnazione della crescita del reddito nei Paesi sviluppati. Gli Stati Uniti d’America si collocano nella media al di sopra del 2% e superano gli altri Paesi maggiormente industrializzati. La Germania e la Francia viaggiano in media intorno all’1,5%, mentre la performance peggiore viene registrata dall’Italia con un valore medio al di sotto dell’1%. Il Regno Unito tende a posizionarsi tra Germania e Francia da una parte e Italia dall’altra.

La Cina, ai tempi dell’eccezionale performance economica dei Brics, aveva lanciato il grande progetto della “via della seta”, con grandissimi investimenti nelle infrastrutture materiali e immateriali, soprattutto nel campo delle nuove tecnologie.

Forse la guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina ha rimesso in moto un meccanismo sul piano geopolitico che può rilanciare il gruppo dei Brics, un tempo caratterizzato dall’omogeneità dell’eccezionale sviluppo economico rispetto ai Paesi maggiormente industrializzati, a partire dagli Stati Uniti d’America e, in generale, dai Paesi aderenti alla Nato tra loro legati non da un rapporto di tipo multilaterale ma dalla leadership americana. In questo modo l’economia si lega alla geopolitica come mostra l’atteggiamento della Cina, dell’India e del Brasile rispetto alla guerra.

In tutto questo quadro in grande evoluzione e caratterizzato da un’enorme incertezza, come mostra la corsa all’oro delle principali banche centrali, si è inserita una nuova crisi finanziaria scoppiata nei Paesi occidentali come mostrano i due crac bancari avvenuti negli Stati Uniti d’America, a cui sono seguiti problemi enormi riguardanti due grandi banche europee: il Credit Suisse e la Deutsche Bank. Il tutto è certamente frutto della eccessiva liberalizzazione in campo bancario e finanziario introdotta anni fa negli Stati Uniti d’America e in Europa e del modello della banca universale, abbandonando il saggio principio della specializzazione del credito.

A distanza di quindici anni dalla grave crisi finanziaria internazionale del 2007-2008, i mercati finanziari e le speculazioni continuano a rappresentare la fonte di enormi squilibri di tutto il sistema economico occidentale.

Da questo sistema in cui la finanza è il cervello dell’economia, i Brics vogliono con tutte le loro forze distaccarsi e allontanarsi. Anche questo potrebbe contribuire a stringere i legami economici e politici tra i Brics.

Nonostante alcune regole introdotte negli anni successivi alla grande crisi finanziaria internazionale, le banche e i mercati finanziari hanno continuato a funzionare allo stesso modo. Anzi, i principali esponenti delle grandi banche internazionali hanno continuato a fare pressione per eliminare ogni regolamento e controllo, salvo poi costringere gli Stati e le banche centrali a intervenire perché quando si è troppo grandi non si può fallire. Sono così aumentati enormemente i rischi di “azzardo morale” da parte delle banche e delle istituzioni finanziarie.

I rischi di bolle finanziarie dalle conseguenze incalcolabili non sono affatto spariti e continueranno a esistere fino a quando non si stabilirà un quadro di regole e di comportamenti etici più solido. Troppo spesso si dimentica che l’etica è fortemente legata alla finanza perché è alla base della fiducia. E senza fiducia il sistema bancario e finanziario non può funzionare correttamente ed è soggetto a una instabilità di tipo sistemico.

In occasione del summit dei Brics svoltosi a Pechino a metà dello scorso anno, è stato annunciato che i Paesi membri si stanno preparando a creare una valuta di riserva internazionale. La corsa all’oro in atto delle grandi banche centrali, soprattutto di Russia e Cina, conferma la volontà di staccarsi progressivamente dal dollaro come mezzo internazionale degli scambi e riserva mondiale di valori. La quota di oro nelle riserve valutarie della Cina è fortemente cresciuta nell’ultimo anno e in Russia ha superato la quota detenuta in dollari.

L’Europa continua a sottovalutare il ruolo economico e politico dei Brics, e a ignorarli come sistema multilaterale che pesa per il 18% del commercio mondiale e il 25% degli investimenti esteri diretti.

I Brics stanno lavorando alacremente per sviluppare e integrare economicamente l’intero continente africano che nel 2050 conterà 2,4 miliardi di persone, mentre l’Unione europea di fatto se ne disinteressa non mostrando, in concreto, una visione strategica sull’Africa da perseguire nel medio e lungo periodo, a fronte di migrazioni che diventeranno sempre più incontrollabili. Su quest’ultimo fronte, l’Italia è naturalmente la più esposta costituendo una specie di ponte sul mediterraneo verso l’Africa, con tutti i connessi rischi e opportunità.

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