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Taiwan e Via della Seta. Il bivio che attende Giorgia Meloni

Di Gabriele Carrer ed Emanuele Rossi

La Farnesina ha suggerito il rinvio a data da destinarsi della visita a Taipei di una delegazione parlamentare (a maggioranza FdI) a causa delle esercitazioni di Pechino. Che però non hanno impedito la partecipazione a una fiera internazionale ad Haikou, di cui l’Italia è ospite d’onore. In questo contesto internazionale segnato anche dalle parole di Macron, il governo deve decidere sul rinnovo del memorandum. Ecco cosa si muove a livello diplomatico

Manca poco tempo: il governo Meloni deve decidere che fare della Via della Seta. Rinnovo o meno il memorandum firmato nel 2019 dal governo Conte? Intanto, però, le esercitazioni militari cinesi attorno a Taiwan hanno fermato la delegazione parlamentare italiana diretta verso Taipei. Ma non la missione di Maria Tripodi, sottosegretaria agli Esteri, ad Haikou, nell’isola cinese di Hainan, per la terza edizione della China International Consumer Products Expo, cui l’Italia partecipa in qualità di Paese ospite d’onore.

Visita rinviata

A Taipei erano attesi alcuni esponenti del Gruppo interparlamentare di amicizia Italia-Taiwan presieduto e promosso da Lucio Malan, capogruppo al Senato di Fratelli d’Italia. Come aveva raccontato lo stesso Malan a Formiche.net sottolineando l’importanza della diplomazia parlamentare con Taiwan, lui non avrebbe dovuto far parte della delegazione per impegni a Roma. Ma erano pronti a partire Marco Osnato, Augusta Montaruli, Salvatore Caiata, Ylenia Lucaselli e Giangiacomo Calovini, tutti di Fratelli d’Italia, e Naike Gruppioni, esponente del Terzo Polo.

“Eppure, all’ultimo momento, ieri, è stato deciso di rimandare il viaggio, dopo consultazioni con la Farnesina, a causa delle ‘tensioni internazionali’ e della ‘situazione d’attrito’ tra Cina e Taiwan”, scrive il Foglio. Racconta la Stampa: “Quando era tutto pronto, però, la missione è stata rinviata a data da destinarsi. Dopo un consulto con la Farnesina, si è preferito evitare il viaggio in un momento di forti ‘tensioni internazionali’”.

Il contesto

Negli ultimi giorni l’incontro tra Tsai Ing-wen, presidente taiwanese, e Kevin McCarthy, e lo speaker della Camera statunitense, ha notevolmente riacceso le tensioni tra Stati Uniti e Cina che si snodano attorno all’isola. Nella mattinata, ora locale, di Taipei, aerei da guerra e navi della marina cinese erano ancora nelle acque intorno a Taiwan, ha dichiarato il ministero della Difesa dell’isola, nonostante i tre giorni di esercitazioni – iniziati in ritorsione per gli incontri americani della presidente Tsai – dovessero finire lunedì.

Sulla sua pagina Facebook poco prima della mezzanotte di lunedì, Tsai ha affermato che, in qualità di presidente, “rappresento il mio Paese al mondo” e che le sue visite all’estero, comprese quelle negli Stati Uniti, non sono una novità e sono ciò che i taiwanesi si aspettano. “Tuttavia, la Cina ne ha approfittato per lanciare esercitazioni militari, causando instabilità a Taiwan e nella regione”. Pechino usa queste situazioni per modificare via via lo status quo, spostandolo a proprio vantaggio – ossia producendo un equilibrio dove le pretese militari di conquista dell’isola possano diventare lentamente più accettabili.

Narrazioni e interessi 

È stato lo stesso presidente francese Emmanuel Macron a dichiarare nella super discussa intervista a Politico – fatta sull’aereo presidenziale mentre era di ritorno dalla Cina – che “la cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dobbiamo diventare dei seguaci su questo tema (Taiwan, ndr) e prendere spunto dall’agenda degli Stati Uniti e da una reazione eccessiva della Cina”. Pechino punto a questo: a rendere l’argomento Taiwan qualcosa che non riguarda gli altri Paesi – nel caso gli equilibri tra democrazie e autoritarismi, esattamente come la guerra russa in Ucraina – ma rappresentarlo come un affare interno.

Il Partito/Stato rivendica un’amministrazione dell’isola che non c’è mai stata, e considera il Paese – che di fatto ha acquisito sempre maggiore autonomia nel corso della sua storia –  una provincia ribelle da annettere, o “riannettere” secondo predicazione del Partito comunista cinese. Per farlo cerca innanzitutto di tagliarne la rappresentatività internazionale. Creare i presupposti per limitarla all’interno dei meccanismi multilaterali che si occupano della governance globale è una delle tattiche. Rendere il clima attorno all’isola avvelenato è un’altra.

Questione sicurezza

Intasare cieli e acque attorno a Taiwan serve anche a questo. Già la scorsa primavera il Pentagono aveva considerato altamente rischiosa la visita dell’allora speaker Nancy Pelosi, perché il contesto di caoticizzazione prodotto da Pechino per rappresaglia – contro i collegamenti internazionali taiwanesi – avrebbe potuto produrre incidenti. Tanto più in un contesto di scarsità di comunicazioni come quello tra Washington e Pechino. Incidente che avrebbe potuto avere effetti difficilmente prevedibili e controllati.

Lo stesso è successo in questi mesi, quando è stato chiesto a McCarthy di rinviare il viaggio che voleva fare a Taiwan. Ragioni di sicurezza e di opportunità. Meglio ricevere Tsai in California, anche per rendere meno complicati contatti come il viaggio di una delegazione del dipartimento del Commercio statunitense, che sarà a Pechino e Shanghai nei prossimi giorni per organizzare una possibile visita della segretaria Gina Raimondo – e riaprire discussioni specifiche in mezzo allo scontro tra potenze. Qualcosa di simile ha mosso la scelta italiana di rimandare il viaggio parlamentare, mentre nuovi contatti con Taiwan sono comunque in rafforzamento secondo le informazioni di Formiche.net, ma sempre senza alterare eccessivamente il clima con Pechino.

Il valore di Taipei e di Pechino

È infatti la stessa Farnesina che, annunciando la missione della sottosegretaria Tripodi, in una nota riecheggiava le sottolineature del ministro Antonio Tajani sull’export e sottolineava: “La Cina è il secondo mercato di sbocco extraeuropeo per le nostre esportazioni, dopo gli Stati Uniti, e il primo in Asia. Nonostante le restrizioni legate alla pandemia, nel 2022 le esportazioni italiane in Cina hanno raggiunto il valore record di 16,4 miliardi di euro”. L’aumento delle esportazioni era stato annunciato come uno degli benefici per l’Italia della firma del memorandum d’intesa con la Cina sulla Via della Seta nel marzo del 2019. Ma il rapporto commerciale non è mai decollato. L’export italiano in Cina è cresciuto ma senza l’accelerazione promessa: 13 miliardi nel 2019, 12,8 nel 2020, 15,7 nel 2021, 16,4 lo scorso anno. Ma sono aumentate incredibilmente le importazioni di merce cinese in Italia: dai 31,7 miliardi del 2019 ai 57,5 del 2022 (in particolare elettronica, abbigliamento, macchinari). Così rende la Cina il secondo maggiore fornitore dell’Italia ma lascia l’Italia a livello di partner commerciale secondario per la Cina: 22° cliente e 24° fornitore.

Il governo italiano deve decidere entro fine anno sul futuro del memorandum. Il rinnovo è automatico a meno che una delle due parti non comunichi all’altra la volontà di recedere. Tradotto: è per uscire che Roma deve fare una mossa, non per rimanere. È uno dei lasciti più ingombranti dell’intesa siglata quattro anni fa da Giuseppe Conte, sul quale pesa anche l’accusa di uno scarso coordinamento con gli alleati in Europa e oltre Atlantico – che Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, sta oggi cercando di evitare.

Come gestire il rapporto con la Cina?

Come sintetizzano le cronache recenti riguardanti Taiwan e il commercio con la Cina, sul rinnovo del memorandum si stanno definendo due correnti: una alla Farnesina, l’altra a Palazzo Chigi. La prima predica prudenza, sostenendo che un passo indietro dalla Via della Seta potrebbe scatenare una dura reazione di Pechino come quelle avute, a suon di misure coercitive,nei confronti dell’Australia (proprio sulla Via della Seta) e della Lituania (su Taiwan). Il memorandum, sostengono i fautori di questa linea, sarebbe di fatto lettera morta visto, come si legge nel documento sottoscritto nel 2019, esso “non costituisce un accordo internazionale da cui possano derivare diritti ed obblighi di diritto internazionale”.

Dunque, rinnovarlo sarebbe la scelta migliore in quanto meno rischiosa. La seconda definisce i paragoni con Lituania e Australia eccessivi (l’Italia è un Paese del G7 e una simile risposta otterrebbe una durissima contro-reazione da parte del club, è il ragionamento) ed è decisa a portare a termine quanto promesso da Meloni in campagna elettorale (e dunque prima del bilaterale con il leader cinese Xi Jinping a novembre, a margine del G20 di Bali, in Indonesia): in un’intervista all’agenzia di stampa taiwanese Cna, aveva definito quell’intesa un “grosso errore” aggiungendo che “se mi trovassi a dover firmare il rinnovo di quel memorandum domani mattina, difficilmente vedrei le condizioni politiche”.

Palazzo Chigi vuole prendere una decisione prima di metà maggio, quando Meloni incontrerà a Hiroshima gli altri leader del G7, club all’interno del quale l’Italia è l’unico membro ad aver aderito al progetto espansionistico di Pechino. Un altro test per il ruolo e la postura internazionali dell’Italia.


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