Non sarà certamente facile neanche per un abile navigatore come Xi Jinping trovare una soluzione che salvi la faccia a Putin e rispetti il diritto internazionale, ma oggi è solo lui che può provarci. Anche a costo di rinunciare al consolidamento del nuovo scenario, che non gli dispiacerebbe, di quel bipolarismo tra democrazie e autocrazie che si profila minaccioso all’orizzonte dell’ordine mondiale
Non v’è dubbio che la telefonata tra Xi Jinping e Zelensky rivesta un particolare rilievo, a questo punto del conflitto in Ucraina.
In un articolo di quasi un anno fa, evidenziavo come la Cina avesse nelle proprie mani le chiavi di questa guerra, per tre ragioni legate alla sua immagine internazionale, ai suoi interessi economici e alla sua strategia geopolitica.
Le evoluzioni degli ultimi mesi, fino alla formulazione del cosiddetto “piano di pace”, hanno mostrato, da parte cinese, un atteggiamento oscillante tra l’”eterna amicizia” con Mosca e qualche presa di distanza, intravvista qua e là. Lo stesso piano di pace, pur nel suo carattere sostanzialmente propagandistico, contiene qualche elemento interessante, ad esempio lo stop non solo all’impiego, ma anche alla minaccia delle armi nucleari, più volte praticata dal ventriloquo di Putin, l’ineffabile Medvedev.
Xi Jinping, da raffinato stratega, ha dovuto barcamenarsi in questi anni tra i giganteschi problemi interni, plasticamente emersi con le proteste di piazza per le politiche anti-Covid, la necessità di ottenere una riconferma plebiscitaria al Congresso del Partito Comunista Cinese, l’esasperazione della guerra commerciale Usa messa in atto da Donald Trump e la spregiudicata linea di politica internazionale ormai intrapresa da Pechino in ogni parte del mondo, in particolare in Africa. Tutti temi estremamente impegnativi e dispendiosi, pur per un colosso come quello cinese, che deve affrontare anche la minaccia costante della esplosione di una bolla speculativa che potrebbe compromettere la strategia volta a fare dello yuan la reale alternativa al dollaro.
Insomma, l’idea cinese di un nuovo ordine mondiale richiedeva un grande equilibrio, che è stato messo a repentaglio proprio dall’esplosione della guerra in Ucraina.
Una guerra inizialmente sostenuta, anche in chiave antiamericana e antioccidentale, dalla stessa Cina, la cui politica di espansione nel mar cinese Orientale e Meridionale e verso Taiwan non è concettualmente diversa dalle aggressioni russe perpetrate da Putin fin dal 2008 in Georgia e Ucraina, per tacere degli altri cosiddetti conflitti congelati, a partire dalla Transnistria e dal Nagorno-Karabakh. La guerra doveva risolversi in tempi molto brevi, ma è presto sfuggita di mano al suo ideatore Vladimir Putin e al suo supporter Xi Jinping.
Occorre aggiungere che l’alleanza russo-cinese, che appare a parole salda ed eterna, è in realtà un asse che non ha basi storiche né culturali, anzi il contrario. Si configura dunque come un puro matrimonio di interesse, che per la Cina è di tipo assai più geopolitico che non economico, vista l’entità tutto sommato modesta degli scambi commerciali tra i due Paesi (non altrettanto per la Russia, che senza l’appoggio cinese resterebbe politicamente isolata ed economicamente allo stremo).
Di fronte al protrarsi del conflitto, l’interesse cinese sta scemando rapidamente, almeno sotto i tre profili che già segnalavo e che riprendo.
L’aspetto che potremmo definire culturale
Alla Cina non piace il pugno di ferro, il cinese preferisce sempre l’approccio sorridente a quello aggressivo. L’uso dell’hard power non è mai stato esibito dalla Cina, che ha sempre preferito mostrare al mondo la parte soft della propria politica. Continuare ad associare la propria immagine a quella del guerrafondaio inquilino del Cremlino alla lunga non può non infastidire l’opinione pubblica cinese e mondiale, e con esse lo stesso establishment di Pechino. Una Cina che continui a sostenere Putin rischia di vedere seriamente compromessa la propria immagine di colosso economicamente temibile, ma non rischioso per la sicurezza globale.
Va aggiunto che il cinese non è insensibile agli atti di eroismo, e la resistenza inaspettata e – appunto – eroica del popolo Ucraino non può non destare ammirazione nel Paese e, forse, nello stesso Xi.
Il profilo geopolitico
Il disegno strategico per la costruzione di un nuovo ordine mondiale da parte cinese passa attraverso la via del neocolonialismo economico-finanziario. Una strategia che ha avuto successo in Africa (complice la colpevole sottovalutazione occidentale del fenomeno), ma che mirava a raggiungere l’Europa stessa, accerchiandola da nord con le rotte artiche, da est passando attraverso l’Asia Centrale e il Medio Oriente, da sud con la rotta marittima attraverso l’Africa. Una strategia che aveva come strumento il progetto Belt and Road, la nuova via della seta. Il più grande progetto geopolitico mai concepito nella storia, con un investimento totale di circa 10.000 miliardi di dollari, sostenuto dalle banche cinesi, da fondi di investimento controllati dallo stato cinese e da istituzioni finanziarie dell’est (Asian Development Bank, Asian Infrastructure Investment Bank, New Development Bank).
A marzo 2022 avevano sottoscritto i Memorandum of Understanding ben 146 Paesi: 34 in Europa e Asia Centrale, 25 in Asia orientale e Pacifico, 18 in Medio Oriente e Nord Africa, 43 in Africa sub-Sahariana, 6 nel sud-est asiatico e 20 in America Latina e nei Caraibi.
Questo gigantesco progetto, destinato a coinvolgere 5 miliardi di persone, completamente sottostimato nella propria valenza strategica dai commentatori occidentali, è oggi sostanzialmente bloccato proprio a causa della guerra in Ucraina: basta pensare che tra Paesi-chiave per le mire espansionistiche della Cina, 18 fanno parte dell’Unione Europea e 18 sono Paesi membri della Nato. E già le banche cinesi non sanno come recuperare centinaia di miliardi di dollari di prestiti che stanno diventando inesigibili.
Tuttavia, assai più grave del pur consistente danno economico è il danno provocato a Pechino dal blocco di un’ intera strategia di espansione geopolitica. Né sfugge agli attenti osservatori cinesi l’importanza geostrategica delle conseguenze della guerra provocata da Mosca: in Europa l’allargamento della Nato a Finlandia e Svezia e l’aumento delle spese militari, a est il rafforzamento del Quad+, il riarmo del Giappone e ora anche di accordi sul nucleare tra Usa e Corea del Sud.
Gli aspetti economici
Dal punto di vista economico, oltre ai danni provocati al progetto Belt and Road, Pechino non può avere contro l’intero Occidente. Già le politiche di re-shoring manifatturiero da parte di numerosi Paesi e le tensioni con gli Usa stavano iniziando a ridisegnare in modo significativo gli equilibri economici. La Cina non può permettersi ulteriori tensioni con l’Occidente legate al sostegno dato a Putin nella sua guerra all’Ucraina. In questo senso, la compattezza dell’Europa sta dando a Pechino un segnale assai più significativo di quello della ormai accertata rivalità con gli Usa, dal momento che l’Unione Europea è il primo partner commerciale della Cina. In questo senso occorre, almeno per una volta, dare merito alle istituzioni europee e a (quasi) tutti i governi dei suoi Paesi di aver dato inequivocabili segnali di unità politica a Xi Jinping.
Infine, in queste condizioni non sarà facile per la Cina entrare nel business della ricostruzione dell’Ucraina.
Questo è il contesto all’interno del quale va letta la telefonata tra il leader Cinese e il presidente Ucraino. Una telefonata che mette in difficoltà sia la Russia che gli Usa, alla quale Zelensky ha risposto con il sano realismo di chi ha la responsabilità del destino di un popolo, ma anche con la determinazione di chi sa che il suo popolo non vuole più arretrare rispetto alla riconquista della propria integrità territoriale.
Integrità territoriale il cui rispetto è stato ribadito da Xi, anche in evidente ottica Taiwan, che la Cina da sempre considera parte del proprio territorio.
Vedremo a breve le conseguenze che la telefonata “del secolo” avrà sugli sviluppi della guerra. Non sarà certamente facile neanche per un abile navigatore come Xi Jinping trovare una soluzione che salvi la faccia a Putin e rispetti il diritto internazionale, ma oggi è solo lui che può provarci. Anche a costo di rinunciare al consolidamento del nuovo scenario, che non gli dispiacerebbe, di quel bipolarismo tra democrazie e autocrazie che si profila minaccioso all’orizzonte dell’ordine mondiale.
La cosa importante è che l’Occidente non si stanchi di sostenere l’Ucraina, anche se questo ha un prezzo per ciascuno di noi. Del resto, come sottolineato anche da Giorgia Meloni, gli Ucraini rischiano ogni giorno di pagare con la propria vita per festeggiare un giorno, speriamo non lontano, la propria liberazione, ma anche per difendere la nostra stessa libertà.
Freedom is not free, la libertà non è gratis.