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Stretta sui dati dall’estero. La mossa di Xi per rafforzare il suo bunker

Pechino ha deciso di limitare l’accesso alle fonti aperte dopo alcuni rapporti pubblicati dai centri studi statunitensi su questioni critiche per il regime. Mentre riapre le frontiere, la Cina si chiude

Pechino ha deciso di limitare l’accesso dall’estero ai dati cinesi. Lo spiega il Wall Street Journal, raccontando anche che si tratta di una risposta ad alcuni rapporti pubblicati dai centri studi statunitensi su questioni critiche per il regime. Per esempio, dal 1° aprile è stato limitato l’accesso anche al database China National Knowledge Infrastructure, una risorsa frequentemente utilizzata dai ricercatori non cinesi che fornisce una biblioteca di documenti governativi, documenti accademici e dataset cinesi.

Mentre riapre le proprie frontiere dopo tre anni dall’inizio della pandemia Covid-19, la leadership del Partito comunista cinese teme che il Paese possa essere più vulnerabile. E così, nelle ultime settimane ha annunciato un ampliamento della legge anti-spionaggio e ha aumentato le pressioni sulle società straniere specializzate nella raccolta di informazioni, come revisori dei conti, consulenti di gestione e studi legali. Inoltre, l’accesso alle banche dati cinesi, tra cui quella di Wind Information con sede a Shanghai, è stato reso più difficile per i think tank, le società di ricerca e altre entità non finanziarie straniere.

“Lo scopo della campagna, di più ampia portata, è quello di garantire il controllo del Partito-Stato sulle narrazioni relative alla Cina”, scrive il Wall Street Journal citando funzionari cinesi secondo cui alcuni rapporti basati su fonti aperte realizzati da centri studi statunitensi hanno contribuito a formare una politica americana dura nei confronti della Cina (come l’inasprimento delle restrizioni sui chip). Tra i documenti che hanno allarmato Pechino dal Center for Security and Emerging Technology della Georgetown University e dal Center for a New American Security, co-fondato da Kurt Campbell, a capo del desk Indo-Pacifico al Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca. “Utilizzando i dati open-source, molti dei rapporti si sono concentrati su aree che Pechino considera sensibili, come quella che chiama fusione civile-militare, ovvero l’interazione tra la ricerca civile e i settori commerciali della Cina e il settore della difesa per sviluppare le capacità militari del Paese”, si legge ancora.

Come detto, mentre si ri-apre la Cina di Xi Jinping si chiude. Nelle scorse settimane sono giunti altri segnali: il raid negli uffici di Shanghai della società di consulenza americana Bain & Company, la chiusura degli uffici a Pechino della società americana di due diligence Mintz Group (con tanto di perquisizione e cinque dipendenti arrestati) e l’indagine di cybersicurezza avviata su Micron Technology, azienda statunitense che produce chip e che possiede diverse sedi in Italia. Ma soprattutto, l’ampliamento della legge contro lo spionaggio. “La Cina si sta aprendo e questo la rende molto più vulnerabile” agli occhi dei leader cinesi, ha dichiarato Yasuhiro Matsuda, professore di relazioni internazionali all’Università di Tokyo, alla CNN. Secondo gli analisti la nuova legge potrebbe causare ulteriori rischi legali o incertezze per aziende, giornalisti e accademici stranieri.

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