Se negli Usa, nel 2024 venisse eletta una figura di destra isolazionista meno sensibile a guidare (con costi importanti) l’alleanza globale delle democrazie, l’Ue e il Giappone avrebbero il problema di poter contare meno sull’America come era successo durante l’amministrazione Trump. L’analisi di Carlo Pelanda, professore di Economia e politica economica presso l’Università degli studi Guglielmo Marconi di Roma e membro dell’Oxford institute of economic policy
Sta montando l’attenzione sui possibili effetti delle elezioni del Parlamento europeo nel 2024 sull’orientamento dell’Ue, in particolare in relazione al conflitto in Ucraina, ma – forse più importante – in riferimento alla postura europea con la Cina. Al momento, non ci sono segnali di una possibile divergenza forte, nonostante alcune frizioni tra Stati Uniti e Ue che tocchi la compattezza del blocco G7 contrapposto a quello sino-russo, a livello di relazioni tra governi e del tavolo intergovernativo dell’Ue, cioè del Consiglio, dotato del vero potere per le decisioni finali comunitarie.
Gli analisti hanno dato peso al recente diverbio tra la presidente della Commissione europea e il presidente di questo Consiglio scatenato dal fatto che la prima, a seguito di un incontro a Washington, abbia inserito nella comunicazione finale un passaggio ostile nei confronti della Cina, convergente con l’impostazione statunitense, ma non gradito ad alcuni governi europei. In effetti, Ursula von der Leyen, da sempre, tiene un atteggiamento molto atlantico e determinato contro Russia e Cina.
Ed è difficile che lo faccia senza il consenso di almeno parte del governo tedesco che è elemento-chiave per l’orientamento di tutta l’Ue in certa divergenza da Parigi. Il quadro corrente mostra che la minaccia russa ha compattato il blocco delle democrazie e reso subordinata l’Ue agli Stati Uniti perché priva di capacità difensiva e di deterrenza autonoma. Tale postura di necessità traina la posizione dell’Unione anche nei confronti della Cina.
La controprova è che Pechino sta tentando quasi disperatamente di mantenere aperti canali con gli europei per salvare almeno un minimo delle precedenti relazioni commerciali e diplomatiche, anche cercando di mostrarsi capace di mettere la museruola alla Russia ascarizzata o, se necessario, di scatenarla. Considerando che il Parlamento europeo non è un vero potere, che la Commissione è subordinata al Consiglio e che i governi non sono, né saranno, nelle condizioni di divergere dall’America, la probabilità di un minore sostegno all’Ucraina è bassa.
Inoltre, bisogna considerare che la Germania ha perso il mercato russo e sta cedendo posizioni in Cina per la concorrenza di aziende cinesi: tale situazione la costringe a puntare di più sul mercato americano e a una proiezione commerciale globale sotto l’ombrello G7 o non divergente da questo. Per inciso, l’Italia ha preso il medesimo orientamento.
Infine, gli europei orientali e baltici esposti direttamente alla minaccia russa vedono la partecipazione all’Ue come alleanza rilevante, ma di rango inferiore alla partecipazione alla Nato: se l’Ue a conduzione franco-tedesca prendesse una posizione di minor sostegno all’Ucraina, si formerebbero due europe. L’Italia? Nessun governo resterebbe in piedi se Roma mostrasse anche un cedimento rilevante nella postura antirussa e anticinese.
Nel gioco globale, la tendenza è quella verso un bipolarismo: pax sinica contrapposta a pax americana, cioè la Cina ha conquistato Russia e Iran e l’America l’Ue. Potrebbero movimenti pacifisti o nazionalisti-neutralisti in Europa ridurre la convergenza euroamericana e la contrapposizione con il blocco sino-russo? Niente di sostanziale. Al massimo i governi potrebbero usarli strumentalmente per ottenere dall’America più vantaggi, per bilanciare il costo politico della convergenza.
Inoltre, la guerra globale è tra democrazie e dittature, togliendo a pacifisti e neutralisti il vantaggio morale. Infatti, secondo chi scrive l’eventuale problema potrebbe crearsi nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2024: se venisse eletta una figura di destra isolazionista meno sensibile a guidare (con costi importanti) l’alleanza globale delle democrazie, l’Ue e il Giappone avrebbero il problema di poter contare di meno sull’America come era successo durante l’amministrazione Trump. In conclusione, saranno più un possibile game changer le elezioni statunitensi che quelle nell’Ue.
(Articolo apparso nel numero di aprile della rivista Formiche)